Volere è potere, visto dal punto di vista dell’Io [A174]

Una delle frasi più adoperate dai sostenitori del libero arbitrio dell’uomo e della sua possibilità di mettere in atto la propria forza di volontà per avere una qualche forma di potere sulla realtà in cui si trova a essere immerso è «Volere è potere» o, nella versione latina «Niente è difficile per colui che vuole».

Pur essendo – come certamente vi sarete resi conto, nel tempo – un fautore dei detti popolari che, guardati nella giusta prospettiva, quasi sempre portano all’attenzione degli individui briciole di verità, non mi sento, in questo caso, di avvallare in toto la giustezza di un tale motto.

Certo, osservandolo dal punto di vista dell’individuo incarnato e parametrandolo sugli esempi che si possono incontrare nella storia dell’uomo, esso, a prima vista, può apparire vero e giusto: come non portare a suo credito le persone che, sorrette dalla loro forza di volontà, sono arrivate a costruirsi imperi – economici o politici – partendo dal nulla (la cultura americana è zeppa di esempi di questo tipo, al punto da aver fatto diventare tale possibilità uno dei presunti cardini dello sviluppo della società americana) o quelle che contrastano e, magari, vincono, malattie apparentemente senza speranza?

In effetti la frase è osservabile secondo due diversi punti di vista, ovvero quello che fa riferimento all’Io dell’individuo incarnato e quello che, invece, fa riferimento alla Realtà nella sua accezione più ampia e, quindi, con tutte le componenti che contribuiscono alla sua esistenza e al suo dipanarsi.

Ovviamente, osservandolo dal punto di vista dell’Io è più facile rapportarsi in particolare con gli esempi pratici della vita di tutti i giorni dell’individuo mentre, adottando il secondo punto di vista è necessario fare riferimento a tutti quegli elementi (apparentemente di natura strettamente filosofica ma, in realtà, invece, totalmente attinenti anche al percorso individuale nel corso delle varie incarnazioni, cioè delle varie vite vissute) che costellano l’intelaiatura che abbiamo costruito negli anni per cercare di darvi una visione coerente di cosa sia la Realtà, di come essa si strutturi e di quali elementi e processi abbia necessità per poter continuare a esistere.

Osserviamo, per prima cosa –  e in breve – la nostra frase dal punto di vista dell’Io. Gli esempi portati per considerarla giusta e valida sono, in realtà, sempre parziali e travisanti e, per capirlo, basta fare un piccolo esempio.

Nessun individuo incarnato (tranne casi che definirei patologici) è mai contento di morire anzi, solitamente lotta con le unghie e con i denti, anche nelle condizioni magari più difficili e piene di sofferenza, per cercare di rimandare anche solo di qualche attimo il momento dell’abbandono del piano fisico.

Credo che possa risultare evidente con quanta forza di volontà qualsiasi essere incarnato cerchi di continuare a vivere, e ciò accade, a ben vedere, a tutti i livelli di evoluzione e non soltanto nella fase incarnativa come essere umano! E, questo, indipendentemente persino dal grado di evoluzione dell’individuo: il cosiddetto “istinto di vita” esiste a tutti i livelli ed è un elemento che necessariamente è presente in qualsiasi forma in via di evoluzione per aiutare e cercare di garantire la continuazione di una qualsiasi specie vivente.

Il Cristo stesso, giunto quasi alla fine del suo tormentato percorso, ha avuto un momento di destabilizzazione interiore e il suo Io ha espresso la frustrazione della sua volontà di sopravvivenza esclamando, come viene tramandato dalla tradizione, “Padre, perché mi hai abbandonato?”, esprimendo, in questa maniera tutta la sua parte più vicina all’essere umano che percorre la parabola della sua vita all’interno del piano fisico.

A coloro che sostengono la realtà della frase “volere è potere” citando i diversi casi in cui la forza di volontà di sopravvivenza ha portato l’individuo a combattere una battaglia vittoriosa contro malattie apparentemente invincibili, non posso che osservare che di fronte ai relativamente pochi casi in cui ciò è successo esiste una stragrande maggioranza, coinvolgente tutto il resto dell’umanità, in cui un’altrettanta forza di volontà di sopravvivenza non ha sortito alcun risultato.

Mi risulta difficile poter teorizzare che soltanto una piccola parte delle persone che vivono sul pianeta abbiano una volontà di sopravvivenza così forte da poter ottenere un risultato in accordo con la loro volontà!

Mi risulta poco accettabile, d’altra parte, fare ricorso alla teoria del “miracolo”, cioè dell’intervento diretto di una qualche divinità, perché non è decisamente nelle mie corde poter concepire un Dio così ingiusto e di parte da intervenire per allungare la vita soltanto ad alcuni negando agli altri la stessa possibilità, rendendo ancora più drammatica la frase del Cristo “Padre, perché mi hai abbandonato?”, pensiero di fronte al quale la fede, non trovando una giustificazione accettabile a un siffatto comportamento divino, non può che tendere a vacillare paurosamente.

È evidente che quella che traspare nell’accorata esclamazione del Cristo è la sua parte più umana, quella sua componente di Io che gli apparteneva (necessariamente, in quanto incarnato come essere umano nel mondo del divenire) e che non era ancora completamente arrivata all’abbandono al Padre, quell’abbandono fiducioso e consapevole che arriva a sfociare nella pienezza della frase “sia fatta la Tua volontà e non la mia” in cui l’Io, finalmente, assoggettato a una comprensione maggiore, non ha più il desiderio di lottare contro ciò che l’Eterno Presente porta scritto per lui.

Intendiamoci bene, creature: quella famosa frase non è da interpretare come una rinuncia alla lotta da parte dell’Io o come un sintomo di estrema rassegnazione! È, al contrario, l’indicazione che è giunto il momento in cui il sentire dell’individuo avverte che la sua lotta era una lotta senza senso e che è stata trovata, finalmente, la percezione di appartenere a un disegno armonico e coerente in cui ogni elemento ha un suo preciso collocamento armonioso all’interno del Tutto  e una sua ottimale, ben definita e indispensabile ragione d’essere nell’immane affresco disegnato per il Cosmo dalla Vibrazione Prima. Scifo

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