Tutti hanno sensi di colpa [A189-sdc13]

Continuiamo la nostra disanima ragionando ancora un po’ sull’influenza dell’Io all’interno dei movimenti interiori dell’individuo nei confronti dei somatismi e dei sensi di colpa a essi collegati.

Come abbiamo visto a più riprese, la possibilità di individuare e osservare i sensi di colpa interiori dell’individuo è gestita dalla consapevolezza di essi che l’Io lascia affiorare alla sua coscienza, ovvero da quanto esso oppone resistenza, edifica barriere, attua censure nel tentativo di non scalfire l’alta opinione che ha di se stesso, mosso dal suo desiderio di apparire al di sopra e dominante sulla realtà che gli è esterna e di cui ritiene di essere, a suo parere giustamente, il lecito padrone incontrastato.

Questo modo di porsi dell’Io ha come conseguenza l’attuazione di vari gradi di inconsapevolezza dei sensi di colpa presenti al suo interno e, quindi, conduce a delle indubbie difficoltà ad accettarne l’esistenza e a riconoscerli come tali, fino ad arrivare, nei casi estremi, a nasconderne completamente la presenza, tanto che l’individuo può anche arrivare a ritenere di essere privo di sensi di colpa di qualsiasi fatta.

Mi sembra chiaro, invece, il fatto che, come derivato dell’intero processo che vi stiamo descrivendo, non vi possa essere alcun individuo incarnato (e, quindi, con una comprensione ancora carente e infarcita più o meno largamente di decodifiche inesatte) privo di sensi di colpa: se, infatti, accettiamo come vero che i sensi di colpa scaturiscono dal raffronto – che potremmo definire anche autogiudizio – che l’individuo mette in atto tra ciò che la Vibrazione Prima gli presenta come “giusto modello” e la sua attuazione nel corso dell’esperienza reincarnativa, è palese che, a ogni discostarsi dal modello “giusto” non può che presentarsi un senso di colpa a esso correlato e che, se questo non sembra essere vero, ciò accade perché l’Io sta attuando delle censure molto forti sulla possibilità che ha il senso di colpa di arrivare alla consapevolezza (e quindi alla coscienza) dell’Io stesso.
“Ma allora – direte voi – come si esce da questa impasse?”

Potremmo affermare semplicemente che basta lasciar fare all’esperienza di vita: senza dubbio da ogni esperienza che l’individuo fa vengono ricavati piccoli elementi di comprensione i quali inevitabilmente, un po’ alla volta, ampliano o completano qualche aspetto del sentire del corpo akasico, con la conseguenza che, gradatamente, le incomprensioni si attenuano, i sintomi somatici si allentano e i sensi di colpa vengono più facilmente accettati e riconosciuti dall’Io, in quanto li sente meno portatori di problematiche che possono incrinare l’immagine che egli ha di se stesso.

Questo avviene anche in conseguenza del fatto che l’Io, essendo una risultante di azioni diverse nei processi interni dell’individuo, nel frattempo si è andato modificando e, senza che neanche esso se ne sia reso conto, si è modificata pure la percezione che esso ha di se stesso. Ovvero, in altre parole, che il grado di illusione che esso rappresenta, si è trasformato.

Dire questo significa classificare come non indispensabile per l’evoluzione dell’individuo venire a conoscenza o cercare di applicare tutto quello che ci siamo affannati a spiegarvi in questi quattro decenni. E questo, creature care, non potete non riconoscerlo, è ciò che, onestamente, vi abbiamo sempre detto. Ma a chi non si accontenta di lasciar fare all’esistenza restando in sua balia e preferisce avere un ruolo più attivo nei confronti della sua esperienza incarnativa, quanto vi stiamo dicendo indica i mezzi e i percorsi che gli permettono di essere più protagonista che spettatore della sua vita.

Il punto di partenza da cui muoversi per cercare di aumentare la consapevolezza del proprio Io è il disagio interiore, se non addirittura la sofferenza, che un senso di colpa (e il somatismo a cui esso è collegato) determinano nel rapportarsi dell’Io con la vita che sta conducendo nella vita che sta affrontando. Si tratta, quindi, di un elemento che, per quanto possa apparire fumoso ed evanescente, ha degli effetti concreti nei confronti della reattività e dei comportamenti che l’individuo mette in atto nel suo vivere quotidiano.

Non si tratta di osservare tale disagio semplicemente attivando il corpo mentale e formulando ipotesi, più o meno logiche e confuse, su di esso, ma di cercare di esaminarlo nella sua totalità, ovvero determinando le componenti fisiche che vengono messe in gioco, individuando gli effetti che esso provoca sia nei processi mentali che accompagnano il disagio e la sofferenza percepiti, che nelle reazioni emotive conseguenti alle situazioni cui si trova sottoposto, sia quelle che restano solo interiori senza sfociare in una evidente reazione esterna, sia quelle che arrivano a manifestarsi all’esterno dell’individuo e che vengono veicolate e rese palesi dalle sue azioni, dalle sue reazioni e, in definitiva, dai suoi comportamenti. 

Tramite l’osservazione di questi elementi diventa possibile portare a conoscenza dell’Io gli elementi che egli tenta di nascondere, lavorandolo “ai fianchi” fino a che si troverà in condizione di non poter negare che tali elementi gli appartengono e, di conseguenza, li porterà all’attenzione della sua consapevolezza.

È essenziale, dunque, compiere un operazione parallela tra l’osservazione di ciò che l’individuo sente al suo interno (il disagio, la sofferenza) e quella di ciò che egli manifesta al suo esterno attraverso i comportamenti e le reazioni che di volta in volta mette in atto.

In questo modo la forza dell’illusione che l’Io sta vivendo si attenuerà diventando meno rigida e le verità su se stesso che esso tenta di occultare risulteranno più facili da individuare, da accettare e, infine, da comprendere. Scifo

Ciclo sul senso di colpa

0 0 votes
Valutazione dell'articolo
Subscribe
Notificami
guest

0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
0
Vuoi commentare?x