Come abbiamo visto, l’Io non ha alcuna possibilità di agire direttamente sui sensi di colpa di cui non è consapevole, dal momento che la sua inconsapevolezza non gli permette di riconoscerli e, di conseguenza, di adoperarsi in qualche maniera per intervenire su di essi.
Questo non significa, ovviamente, che, in conseguenza del fatto che tali sensi di colpa, per l’Io, siano inconsci e non consci, essi non abbiano effetto sull’individuo incarnato e che (aspetto di cui ci stiamo occupando in questi ultimi tempi) non provochino comunque l’insorgenza di sintomi somatici nei sui corpi transitori.
La domanda che può sorgere spontanea in ognuno di voi, a questo punto, è in che modo l’individuo, nel corso della sua vita, si relaziona nei confronti dei sintomi somatici che derivano dai sensi di colpa inconsci, perché se è pur vero che egli è totalmente inconsapevole della loro presenza al suo interno, tuttavia, invece, è inevitabilmente e penosamente consapevole delle afflizioni somatiche – specialmente se di tipo fisico – che da essi derivano.
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Come certamente avrete notato, con il vostro solito acume e la vostra consueta attenzione alle mie parole, ho implicitamente differenziato i sintomi somatici fisici da quelli comportamentali perché nelle due manifestazioni c’è una differenziazione che non è sicuramente di poco conto.
Il sintomo somatico fisico, infatti, si manifesta nell’individuo con effetti che l’Io non può ignorare dal momento che essi deteriorano la conduzione della sua vita e sono accompagnati sia da sofferenze del corpo fisico, sia dalle conseguenze psicologiche che lo squilibrio fisiologico porta con sé come conseguenza del fatto di sentirsi fisicamente debilitato.
Ci si trova, così, davanti a una situazione decisamente poco equilibrata, in cui l’Io è totalmente inconsapevole dello stretto legame che esiste, sempre e comunque, tra la sua interiorità e ciò che si manifesta nel suo corpo fisico mentre ha consapevolezza del sintomo somatico che lo disturba e di cui non riconosce l’origine interna.
Questo disequilibrio lo spingerà, comunque, a cercare una soluzione esterna (attraverso la medicina tradizionale o le medicine alternative) tentando di annullare l’azione dei sintomi fisici, col risultato di ottenere magari un sollievo transitorio al disagio fisico senza, tuttavia, annullarne la causa scatenante, cosicché il sintomo si ripresenterà – o, magari, si manifesterà con sintomatologie apparentemente di tipo diverso ma, in realtà, collegate tra di loro – mettendo in atto quel processo che, come avevamo descritto in passato, conduce allo spostamento dell’organo bersaglio sul quale si scaricano gli effetti fisici del somatismo.
Per quello che riguarda, invece, i somatismi comportamentali il discorso è solitamente (anche se non sempre e non del tutto) diverso. Fermo restando il fatto che, anche in questo caso, l’Io non ha alcuna consapevolezza dei sensi di colpa interni (e, quindi, delle incomprensioni a cui sono collegati), differenti, rispetto al caso precedente, sono le considerazioni che possono essere fatte riguardo al modo in cui l’Io si relaziona in presenza del manifestarsi di sintomi somatici di tipo comportamentale che possono anche non essere accompagnati dalla manifestazione di sintomi fisici concomitanti.
Nella maggioranza dei casi l’Io non si rende neppure conto di essere affetto da un somatismo comportamentale: il gioco si svolge essenzialmente a livello psicologico (e, quindi, all’interno dei movimenti vibrazionali del corpo mentale), livello sul quale l’Io trova un terreno favorevole alla sua manipolazione della percezione della realtà, riuscendo a trovare motivi e giustificazioni apparentemente razionali e ben motivati ai suoi somatismi comportamentali.
Se non riesce il suo principale tentativo di auto giustificarsi – che è quello di attribuire al suo comportamento l’etichetta di semplice e ovvia reazione all’azione che subisce ad opera di qualche fattore a lui esterno – mette quasi sempre in atto il suo secondo metodo di auto protezione arrivando a giustificare i comportamenti messi in atto con l’attribuire il loro attivarsi a fattori caratteriali di base della sua costituzione, arrivando alle consuete considerazioni “io sono fatto così” e “non ci posso fare niente perché questo è il mio carattere”.
Ovviamente, in una tale posizione concettuale c’è un errore di base fondamentale perché nel ragionamento messo in atto non viene fatta alcuna distinzione tra carattere e personalità dell’individuo: come sappiamo è certamente vero che ogni individuo ha una sua base caratteriale che segna i limiti entro i quali il comportamento dell’individuo si muove per manifestare se stesso di fronte alle esperienze che la vita gli propone di volta in volta, tuttavia il carattere traccia il binario comportamentale dell’individuo ma non la maniera in cui egli lo percorre.
In altre parole, se è pur vero che il carattere ha connotati ben precisi e in un certo qual modo inderogabili, il modo in cui esso viene espresso – cioè la personalità che l’individuo manifesta nel compiere le sue azioni – non è a sua volta fisso ma dipende da tutti quegli elementi che rendono variabile e passibile di modifica l’espressione dell’individuo nel corso della sua vita, altrimenti egli non avrebbe alcuna possibilità di evolvere e di portare al suo sentire nuovi elementi di comprensione dal momento che, se così non fosse, le sue reazioni comportamentali sarebbero sempre identiche, così come sempre identiche sono le spinte caratteriali sulle quali esse si basano.
Il fatto che i somatismi comportamentali inconsci possano venire interpretati facilmente dall’Io come attributi costituzionali e inevitabili del suo modo di rapportarsi con la realtà e che venga spesso a mancare la spinta diretta e forte proveniente dalla concomitanza con evidenti e perturbanti sintomi somatici, rende più facile all’Io riuscire a ignorarli il più a lungo possibile, almeno fino a che le esperienze che vengono vissute dall’individuo non riescono ad acquisire quei germi di comprensione collegati a tali somatismi forzandone la transizione – peraltro lenta e combattuta con vigore dall’Io – dallo stato di inconscio a quello di conscio, avviando così il processo del loro riconoscimento, da parte dell’Io, quali elementi interni, aventi la loro genesi nell’interiorità dell’individuo e, quindi, passibili di osservazione e di tentativi di risoluzione.
Non è facile riuscire a determinare se siano più dannosi, per la vita dell’individuo incarnato, i somatismi inconsci o quelli consci, dal momento che entrambi gli elementi sono portatori di squilibri interni all’Io e alla sua manifestazione nel corso della vita dell’incarnato.
Se proprio volessimo fare una classificazione in questo senso potremmo dire che la maggiore sofferenza che l’Io avverte è quella che nasce dall’affiorare delle vibrazioni collegate alla parte dell’Io che si rapporta alle comprensioni che l’individuo ha raggiunto sino a quel punto del suo cammino e che, a causa dell’opera di censura dell’Io, non riescono a manifestarsi nei comportamenti reattivi che egli mette in atto nelle sue giornate: per quanto l’Io cerchi con grande impegno di costruirsi auto giustificazioni e crei in continuazione scusanti (spesso anche totalmente irrazionali) al suo “sbagliare sapendo di sbagliare” le vibrazioni del suo effettivo sentire non possono venire annullate ed esse entrano in evidente e continuo contrasto, accentuando i sensi di colpa dell’individuo fra ciò che ha messo in atto e ciò che, invece, avrebbe potuto fare in alternativa e in maniera più coerente con il suo reale sentire.
Da quanto abbiamo appena detto dovrebbe risultare chiaro che i principali regolatori che innescano e accompagnano la nascita dei sensi di colpa osservabili dall’Io (e stiamo parlando ovviamente, a questo punto, di quelli che ormai sono arrivati alla fase conscia o, quanto meno, preconscia) sono due: gli Archetipi Permanenti e gli Archetipi Transitori.
Gli Archetipi Permanenti in quanto è ad essi che il sentire dell’individuo incarnato deve necessariamente fare riferimento confrontando le sue reazioni con i dettami che da essi provengono, e gli Archetipi Transitori in quanto è dalla loro sperimentazione (e quindi dalle reazioni che l’individuo mette in atto sperimentando le situazioni che gli vengono proposte nel corso della vita) che l’Io può trovare gli elementi adatti a permettergli di stemperare o annullare la sofferenza che il disequilibrio interiore gli fa percepire.
Si tratta di due percorsi concomitanti e collegati tra di loro anche se l’Io, in realtà, ha la possibilità di intervenire veramente soltanto sul rapporto tra ciò che vive all’interno e la sua proiezione reattiva all’esterno: certamente non può agire direttamente sul suo sentire mentre può farlo gestendo la maniera in cui si rapporta con l’esperienza all’interno del piano fisico.
Non vi è dubbio che il circolo interno/esterno porterà alla modifica e all’ampliamento del sentire dell’individuo, ma questo risultato verrà ottenuto non con un’azione diretta, bensì come conseguenza delle azioni e reazioni dell’individuo alle esperienze incontrate nel corso della sua sperimentazione degli Archetipi Transitori a cui fa riferimento nel corso della sua vita.
Ci troviamo – volendo ampliare il discorso inserendovi un altro degli elementi che abbiamo tenuto in considerazione in interventi precedenti – di fronte a un percorso via via differenziato della gestione del potere da parte dell’Io.
La situazione in cui l’Io si trova a poter esercitare un potere quasi nullo è quella in cui egli si trova davanti a sensi di colpa inconsci: non riconoscendoli come tali e non avendo la capacità neppure di percepirli come parte di sé, non ha alcun potere diretto su di essi, ma si trova a subirne gli effetti suo malgrado, annaspando per cercare di trovare un perché il più soddisfacente possibile alla confusa e fastidiosa sensazione che ci sia qualcosa di non individuabile che sfugge alla sua possibilità di classificazione e precisazione.
Ben diversa, invece, è la situazione in cui il senso di colpa arriva alla consapevolezza dell’Io: da una parte questa consapevolezza sgretola le sicurezze che l’Io pensava di avere ormai acquisito e stabilizzato al suo interno ma, contemporaneamente, dall’altra gli fornisce la spinta a cercare di risolvere il disequilibrio interno fonte di sofferenza.
In termini di potere questa è la situazione di massimo potere che l’Io può esercitare sul senso di colpa che lo destabilizza dal momento che prende atto della sua esistenza, riconosce la sua parte di responsabilità nell’insorgenza del senso di colpa e può intervenire sulle sue reazioni all’interno del piano fisico arrivando, in questo modo, a modificare i suoi comportamenti in maniera sempre più sentita e, di conseguenza, sempre più in armonia con i dettami degli Archetipi Permanenti.
Vi è, quindi, un graduale passaggio della gestione del potere dalla parte dell’Io che manifesta le incomprensioni a quella che, invece, manifesta le comprensioni, cioè, in altri termini, l’esercizio del potere passa gradatamente dall’Io al sentire. Scifo
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