[…] Osservatela, questa vostra mente, come spesso reagisce in modo illogico, anche ai più piccoli stimoli. Basta sentire da parte vostra parlare di religione o di religiosità per ottenere una chiusura nei vostri pensieri, per ottenere già una reazione di allontanamento e di disinteresse.
Eppure questo accade più che altro perché la vostra mente si ferma soltanto ai concetti e alle parole.
“Religione” e “religiosità” non sono la stessa identica cosa, ma sono anzi due cose molto ma molto diverse.
“Religione”, ad esempio, è quella che può essere considerata creata dall’uomo in una corporazione, al fine di portare avanti degli interessi, il più delle volte egoistici; un insegnamento che viene messo come scudo per parare qualche cosa di corporativo.
“Religiosità”, invece, è sempre qualche cosa che riguarda l’individuo, che non può essere etichettata con un termine ben preciso, ma è qualche cosa che nasce dall’individuo stesso, non appigliandosi a qualche dottrina particolare, ma sentendo il senso della vita, percependo che tutto non è stato creato a caso, sentendosi unito alle altre persone, ascoltando il canto che sorge dal proprio interno e che si fonde col canto di tutti i suoi simili.
La vostra mente, come è stato detto, può creare delle grandi barriere; sempre restando in campo di religiosità, la vostra mente può reagire in modo diverso a seconda che una persona dichiari ad esempio di essere ateo e di non credere in un Dio, qualsiasi nome ad esso possa venire dato.
Eppure, figli e fratelli, noi vi diciamo: rispettate l’opinione di qualunque persona e ricordate che è molto meglio un ateo che vive la sua vita in modo giusto, in modo equilibrato, cercando di fare il possibile per un domani migliore e per la società, che invece la persona religiosa e, a volte, sconfinante nel bigottismo – che in nome di quella religione calpesta magari diritti altrui – si erge a giudice dei peccati altrui e non osserva ciò che essa stessa sta facendo tutti i giorni in continuazione.
Osservate quindi la vostra mente; se voi soltanto per un attimo riusciste a farla tacere, non potreste più avere alcun dubbio sull’esistenza di un qualche cosa che permetta tutto ciò che è creato.
Che questo qualche cosa poi possa avere un nome attribuito da una corporazione, o un nome attribuito individualmente da ognuno di voi e sempre diverso, questo non ha importanza; giunge sempre il momento in cui viene percepita la presenza del Tutto, dell’Assoluto, che viene percepita la fratellanza universale, la necessità di stringere la mano di un fratello di esistenza.
E soltanto questa stretta, basta soltanto questa stretta, per indicare l’uomo religioso, senza che quest’uomo pensi, o creda, o dichiari, di credere in un Dio o in una religione.
La religiosità non è la religione, ma è una condizione interiore di comprensione della realtà e di fusione col proprio intimo e con la propria coscienza.
Ananda
[…] Soffermiamoci per un attimo ad osservare queste parole cattive. Stranamente, chissà perché, le parole cattive sono sempre le parole che riguardano la sessualità dell’individuo. Voi direte: “Scifo è fissato, forse ha qualche problema sessuale”.
No creature, vi garantisco che non è affatto così. È semplicemente che ogni volta che osservo qualche cosa, non posso fare a meno di sorridere, a vedere il mondo come si mette delle catene che potrebbe fare a meno di avere.
Perché l’individuo, l’uomo, deve avere questo timore di tutto ciò che riguarda la sessualità? Sarebbe come se l’uomo si scandalizzasse o avesse timore per il fatto che i suoi occhi vedono, per il fatto che le sue orecchie sentono, per il fatto che le sue mani sudano, e via e via e via.
Mi sembra, creature, che nella funzione sessuale non vi sia niente di meno spirituale che in tutte le altre funzioni.
Bene, il fatto che questo, un po’ alla volta, dall’individuo venga compreso, terrorizza, in parte, il pontefice e tutta la sua nave, perché la repressione sessuale, la colpa, era una delle armi migliori che possedeva e quindi il fatto che la gente incominci a comprendere che la sessualità non è un peccato, non è una colpa, non è una cosa da nascondere, o da accennare soltanto nei boudoir silenziosi, può portare e porta il rischio che non vi sia più la possibilità di tenere sotto le masse.
Il discorso appena fatto può essere valido anche per altre parole quali le bestemmie, che vengono ascoltate il più delle volte con senso di ripulsa o di inorridimento. Io non vorrei sembrare blasfemo a chi eventualmente tra voi è particolarmente, non dico bigotto perché è un termine forse offensivo, particolarmente – diciamo – legato ad un certo tipo di religione, ma io sono sicuro, tendo ad affermare che la bestemmia in realtà è utile.
Ma vediamo un attimo: la bestemmia che significato ha? Certo vi è un comandamento che afferma “non nominare il mio nome invano”, ma siete convinti, creature, che questo comandamento sia davvero stato promulgato da Dio?
Pensate davvero che un Dio possa preoccuparsi se il suo nome viene pronunciato a proposito o a sproposito? Ma questo non è Dio, è soltanto un IO, senza la D davanti, perché vi garantisco, creature, che a Dio non importa minimamente che il suo nome venga pronunciato a sproposito e poi, se fosse solo per quello, osservate le religioni. Quanti spropositi vi si dicono in suo nome!
Ma la bestemmia che funzione ha? Il più delle volte ha la funzione di scatenare una reazione, ha quindi la funzione di equilibratore di energie, valvola di scarico, sfogo. Ma se è così, allora cosa vi è di negativo in essa?
E poi, se proprio vogliamo dare un giudizio sulla bestemmia, dovremmo andare a vedere l’intenzione di colui che bestemmia.
Già, l’intenzione. Se l’individuo che bestemmia, infatti, è un individuo particolarmente religioso, l’intenzione – direte voi – non può essere altro che quella di imprecare e maledire il Dio che l’ha creato. D’accordo, questo può essere anche vero. Però se è un individuo particolarmente religioso, in realtà mentre bestemmia potrebbe non fare altro che seguire gli insegnamenti del Cristo, il quale diceva di non essere tepidi, applicando quindi alla lettera l’insegnamento!
Perché dire: “porco cavolo”, quando si può evitare di essere tepidi lasciando uscire quello che si sente? E poi, d’altra parte, perché fare gli ipocriti trasformando le parole quando il senso interiore delle parole che escono è ben diverso?
A questo punto è molto più utile lasciare uscire ciò che esce e poi eventualmente osservare se era il caso veramente di comportarsi a quel modo.
Vi è poi chi bestemmia soltanto per abitudine: a questo punto non c’è bisogno di spendere molte parole per capire che la bestemmia non ha nessun significato particolare. Trovatemi voi, creature, un’intenzione vera e blasfema in chi bestemmia per abitudine e rinnegherò tutto ciò che ho detto!
Quello che è importante osservare, in realtà, è la reazione alla bestemmia, non tanto quella di chi la bestemmia pronuncia, quanto di chi la ascolta. Infatti, il più delle volte, le persone che stanno intorno a colui che bestemmia reagiscono non tanto perché pensano: “questo povero Dio così maltrattato”, ma semplicemente per un’abitudine di educazione o per ipocrisia o per far notare all’altro che cattivo individuo sia e via e via, al punto di arrivare a dire di questa persona che è un ateo.
E poi arriviamo all’ultimo concetto di cui vorrei parlare, per non annoiarvi troppo prima di andarmene questa sera: “l’ateo”.
Ateo, come voi sapete, significa senza Dio ed il termine viene usato solitamente per definire la persona che in un Dio non crede. Ma siete davvero sicure, creature, che possa esistere una persona che non crede in Dio? Sia che se ne renda conto o meno?
Io affermo di no.
Solitamente le persone religiose, quando pensano a qualcuno di ateo, o di antireligioso, tendono a pensare, ad esempio, ad un certo K. Marx, ritenendo costui un ateo per eccellenza. Non è così. Questo signore, invece, non soltanto non fu un ateo, ma fu una persona che aveva una particolare religiosità interiore!
Certo egli forse non dava un nome preciso a Dio, non lo chiamava Dio, non lo chiamava Jahvè, non lo chiamava negli altri mille modi con cui solitamente viene chiamato, però non può essere definita atea una persona che agisce, crede e spera, al fine di portare un bene all’umanità.
Se poi le sue azioni possono essere state giuste o sbagliate, questo è un altro discorso, ma una persona che agisce in buona fede e si pone come scopo un miglioramento per le altre persone, vi garantisco creature, che può essere definita qualsiasi cosa, ma non un ateo. Questo è un argomento lungo da trattare, su cui vi lascio meditare, per ritornarvi poi allorché vi sarà l’occasione. Scifo
Letture per l’interiore: ogni giorno, una lettura spirituale breve del Cerchio Ifior e del Cerchio Firenze 77, su Whatsapp.
(Solo lettura, non è possibile commentare) Per iscriversi
Aforismi del Cerchio Ifior, il mercoledì su Facebook
Politica della privacy di questo sito da consultare prima di commentare, o di iscriversi ai feed.
In passato mi è capitato di fare delle riflessioni sulla bestemmia nostraa e compararla con espressioni simili di altre lingue.
Per quanto posso dire l’italiano è l’unica che abbina alla divinità un animale, solitamente il porco ed il cane.
Se si guarda in maniera distaccata, la faccenda suscita una certa tenerezza, si puo capire perchè le imprecazioni siano rivolte a Dio, ma resta difficile spiegarsi che ruolo abbiano i due ignari animali.
Volendo fare delle speculazioni semantiche si potrebbe dire che l’abbinare un animale a Dio possa essere retaggio di una cultura politeistica o, tirando parecchio la corda, una sorta di metafora di “come in alto, come in basso”.
Non dimentichiamo comunque che gli egizi annoveravano tra le loro divinità Anubi, il cui volto era, appunto, quello di un cane.
E’ stata importante la distinzione fatta da Ananda tra religione e religiosità.
Interessante l’osservazione di Eddy sulla bestemmia.
Trovo semplicistica la definizione di religione. Come tutte le generalizzazioni del resto, non tiene conto della complessità. Che poi spesso siano state trasformate, o anche siano state mosse, da interessi corporativi lo condivido, però credo anche che quella religiosità di cui si parla non si possa tenere fuori dalla genesi delle religioni.
Sulla bestemmia condivido, alcune sono molto creative ( mio nonno lo appellava “scalz”, ossia a piedi nudi) però anche qui possiamo fare un’analisi più complessa. Provoca e manca di rispetto alla sensibilità di taluni nello stesso tempo. Dunque bene/male sono categorie inadeguate per affrontare la questione. Comunque le vere bestemmie sono altre, da più non considerate tali (offesa alla dignità della vita, al pianeta, materialismo…), ossia non vedere il trascendente
Il post riporta all’Unità dove ogni manifestazione diventa espressione del principio costituente nel quale tutto risiede: le categorie, le classificazioni fanno parte di una visione dualistica improntata nella nostra cultura che a mano a mano dobbiamo scrollarci di dosso se vogliamo assaporare il Reale. È cio che bene viene descritto nella spiegazione di “religiosità” il cui significato è trasversale e inscindibile a tutte le religioni codificate e che nell’intimo di ognuno abita.