Abbiamo visto che il complesso edipico è tipico della vostra società occidentale, che nasce da come viene presentata la famiglia, dai ruoli che al suo interno vengono attribuiti solitamente a padre e madre e che fa nascere dei problemi nel bambino, in quanto si proietta verso i genitori.
Dai genitori prende ciò che egli (nel momento in cui cerca di prendere) ritiene giusto, ed in seguito – allorché si accorge che alcune delle cose che dai genitori aveva preso non erano “belle” come lui pensava – in quel momento vi è la reazione negativa da parte sua, che si traduce nei comportamenti che così spesso alcuni di voi magari osservano nei propri figli, che è dovuta alla delusione non tanto nei confronti del genitore (anche se l’individuo non se ne rende conto e tende ad attribuire la colpa al genitore) quanto alla delusione verso se stesso e verso il fatto di non aver saputo essere obbiettivo nei confronti del genitore e aver quindi preso da lui quegli stessi difetti che imputa al genitore.
D’accordo? Questo era più o meno, molto succintamente, quanto avevamo detto fino a questo punto. È questo l’aspetto negativo del complesso edipico, che peraltro (avevamo detto) non apparterrebbe invece ad altri tipi di società.
Vi è poi l’aspetto positivo, che è quello di far sì che l’individuo incarnato sposti la sua attenzione fuori dal proprio Io e quindi cominci a rendersi conto che esistono altre persone, con altri bisogni, con altri sentimenti, con altre necessità, con le quali egli deve confrontarsi e dalle quali egli può “prendere” qualche cosa; perché ricordate che l’individuo si rivolge agli altri per prendere, inizialmente, in questo spostamento del complesso edipico dall’interno della famiglia all’esterno, no?
E’ questo l’aspetto positivo, perché volgersi verso gli altri significa certamente allargare le possibilità di esperienza, allargare la possibilità di comprendere, di evolvere, di ampliare il proprio sentire.
Ma, così come avevamo parlato fino a questo punto, era sembrato ad alcuni miei amici “di qua del velo” che potesse nascere la falsa impressione di dare una brutta immagine, più che altro, dei genitori. Ricordate la famosa favola di Ananda, che così vi aveva colpito? Certamente i genitori hanno, come avevamo detto, una grossa responsabilità, quella di far sì che i figli vedano in loro le cose giuste, sappiano quali sono le cose giuste da scegliere, da imitare, da far proprie per costruire un migliore se stesso.
Questo però non deve finire col colpevolizzare i genitori in quanto la responsabilità – questo tipo almeno di responsabilità – cessa allorché il figlio è cresciuto ed ha gli strumenti per poter comprendere quali sono stati i suoi errori, per poterli accettare.
In quel momento le tracce del complesso edipico all’interno del figlio diventano tutte una responsabilità sua poiché il corpo akasico è allacciato (all’incirca verso il ventunesimo anno di età, ndr), gli strumenti per comprendere ciò che deve modificare in se stesso li possiede e, se non riesce a farlo, non è più responsabilità del genitore, il quale è ciò che è, ma responsabilità sua che vuole continuare ad essere ciò che deriva da quel genitore.
Siete d’accordo?
D – I genitori hanno il compito di incanalare i figli nelle direzioni che riescono, ma i canali sono già fatti.
Senza dubbio. I figli hanno, invece, la responsabilità di arrivare al punto di accettare questo incanalamento, questo condizionamento dei genitori, però di riuscire poi ad arrivare a comprendere quand’è il momento di cambiare canale, se loro ritengono che il canale non sia quello giusto per loro, al di là di quello che i genitori possono pensare.
Quanti giovani arrivano alla fine a drogarsi, o a commettere qualcosa che non è propriamente giusto, semplicemente per andare contro agli indirizzi, a ciò che vogliono, ai desideri dei genitori!
Purtroppo i casi sono parecchi. E, se da una parte vi può essere stata la responsabilità dei genitori di non aver saputo offrire il canale nei modi giusti, ripeto: vi è poi la responsabilità da parte dei figli di non saper scegliere a loro volta il canale giusto, ma di trovare molto più facile attribuire le colpe agli altri senza uscire dagli errori che essi fanno o hanno fatto.
D – Si tratta di una cernita fra i pezzi che sono tuoi e quelli che non ti appartengono, quindi ad un certo punto deve finire questo meccanismo di identificazione.
Senza dubbio. Il figlio deve sempre essere cosciente e grato, tutto sommato, di essere un figlio e di avere dei genitori, ma deve anche diventare un individuo unico in se stesso, il quale a sua volta – si ricordi – dovrà molto probabilmente essere poi genitore, e quindi imparare a rendersi conto delle sue dinamiche, poichè i suoi figli avranno gli stessi problemi e dovrà essere lui, questa volta, a non commettere gli stessi errori.
D – Quindi questo spiega perché in un processo educativo, apparentemente o anche giustamente valido, escano poi dei figli con delle devianze.
Senza dubbio.
D – A volte ci sono delle situazioni familiari in cui non si sa bene… ecco, tu hai parlato di responsabilità che poi è il figlio che non deve più, ecc.; però ci sono dei casi in cui più che di responsabilità si deve parlare di una questione karmica, o altro; si possono creare nei figli dei blocchi dovuti a situazioni pesanti vissute in famiglia.
Io a questo punto ho un attimo di confusione perché non ne vedo il lato educativo del genitore nei confronti del figlio e non vedo come, ad un certo punto, un figlio possa scegliere un tipo di comportamento se questi fatti hanno determinato dei blocchi, delle ripercussioni anche a livello di anima.
E’ un po’ difficile dare una risposta generale a un quesito di questo tipo, in quanto il caso che tu prospetti può essere anche frequente, poi, alla fin fine, magari più piccolo o più grande a seconda delle situazioni, però una genesi, i “perché”, i comportamenti delle persone implicate sono praticamente sempre diversi uno dall’altro, quindi è il tipico caso in cui dovrei parlare nel particolare di una situazione, più che in generale.
Perché se volessimo parlare in generale l’unica cosa che potrei dirti è che, evidentemente, quelle persone avevano bisogno per necessità evolutiva, per un karma, per una non-comprensione precedente, di trovarsi di fronte a quella situazione difficile, che rende le cose veramente complesse per tutte le persone implicate, e che, probabilmente, apparentemente, non capiscono cosa stia succedendo e non riescono ad uscire da questa situazione difficile, ma che nella prossima vita trarranno le somme e, certamente, avranno ottenuto qualcosa di più, quella comprensione che ora sembrano non avere. Però – ti ripeto – sarebbe un parlare generico, che non so quanto possa essere poi accettabile alla fin fine.
D – A questo proposito, l’intervento di uno psicoterapeuta ha un valore sull’immediato e un valore anche nel gruppo e poi sull’evoluzione potenziale?
Lo psicoterapeuta senza dubbio può avere un valore se (come già dicemmo tempo fa) intanto è una persona corretta (e non ce ne sono molte corrette, in giro), se veramente ama il suo lavoro e riesce a comunicare alle persone che frequenta questo amore, questa passione per il suo lavoro, e principalmente se le persone che si mettono nelle sue mani sono convinte che quello che sta facendo possa servire a qualcosa. Perché lo psicoterapeuta – così come lo psicanalista, d’altra parte – non può assolutamente fare null’altro che mostrare le vie all’individuo, ma deve essere l’individuo poi a percorrerle. Quindi è possibile fare soltanto quello che l’individuo lascia che essi facciano.
E’ un po’ lo stesso discorso di quello che accade in questi incontri: molte volte ci è stato detto “Ma perché non fate questo o quest’altro per noi?”, ma noi possiamo fare, in realtà, soltanto ciò che “voi” ci lasciate fare!
Noi potremmo anche cercare (in teoria) di farvi diventare tutti dei santi ma, se voi non lo volete diventare, non lo diventerete mai, checché noi possiamo fare!
Noi potremmo – che so – farvi materializzare un Gesù Cristo qua, al centro di questa riunione, per convincervi, ma se voi non volete convincervi neanche questo riuscirà mai a convincervi!
Troverete sempre il modo per dire: “Quello era un trucco”. E lo stesso accade per quello che riguarda la psicoterapia: lo psicoterapeuta, se è uno psicoterapeuta coscienzioso, può fare molto, può aiutare molto l’individuo, ma solo se l’individuo permette che questi l’aiuti; in quanto non può essere che l’individuo a comprendere ciò di cui ha bisogno.
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D – Quindi è possibile rimuovere questi accadimenti successi in un passato familiare e…
Più che rimuoverli, direi che sarebbe molto meglio comprenderli, arrivare ad accettarli. Rimuoverli non farebbe altro che ricacciare nel profondo tutte le pulsioni, i dolori, le sofferenze, che poi lavorerebbero all’interno provocando sintomi psicosomatici o problemi di vario tipo.
Molto meglio sarebbe invece esaminare fino in fondo questi problemi, questi blocchi, per arrivare a comprendere non soltanto le proprie ragioni ma anche le ragioni degli altri; poiché per quanto uno possa essere “cattivo” nel comportarsi, anche questo essere cattivo ha un suo perché al suo interno, poi, alla fin fine. Non vi è nessuno (come si diceva una volta) cattivo per natura. La cattiveria è semplicemente non-comprensione di qualcosa.
D – Ecco, chiedevo appunto se la funzione dello psicoterapeuta può essere catalizzante in questo caso.
Può essere catalizzante, potrebbe esserlo, senza dubbio.
D – Quanto anche l’incontro con chiunque altro, che non sia uno psicoterapeuta. Il catalizzatore può essere chiunque?
Potrebbe, ma potrebbe anche non esserci bisogno di un catalizzatore. Non è indispensabile, ma può essere uno dei mezzi messi a disposizione e da poter trovare in questi casi apparentemente di difficile soluzione.
D – Prima hai parlato di allacciamento del corpo akasico e di questo ipotetico figlio che ha il complesso verso i genitori. Volevo chiederti se si potrebbe dire che il figlio dovrebbe, ad un certo punto, dato che ha raggiunto l’allacciamento con il suo corpo akasico, potrebbe, ha i mezzi, per riuscire a capire che i genitori non sono stati che uno strumento affinché affiorassero in lui determinate problematiche, che saranno magari il tema portante della sua vita. E’ questo? Dovrebbe vedere nei genitori non tanto la causa esterna, quanto invece la funzione che hanno avuto per far salire in superficie il suo problema.
Io direi ancora di più: dovrebbe vedere non tanto la causa esterna (che sono i genitori) quanto la causa interna che è sua, e sarebbe ancora molto meglio.
D – Volevo dire infatti così. Che si debba rendere conto che loro sono stati lo strumento affinché tutto si svolgesse, affinché “la storia” si svolgesse, e quindi non è che lui stia subendo, sia vittima di questa situazione.
Diciamo che il genitore può aver scatenato la situazione, però chi l’ha percorsa poi è lui… o lei, naturalmente. Non vorrei essere tacciato di maschilismo!
D – L’altra volta hai detto che avresti parlato anche del ruolo dei fratelli, nel complesso di Edipo.
Sì, ma siete troppo stanchi; allora ve lo lasciamo per compito per la prossima volta, sperando che arriviate un pochino più concentrati, un pochino più preparati; magari, possibilmente, sperando anche di avere gli strumenti un po’ più disponibili, un po’ meno stanchi.
Ci sarebbe anche un’altra domanda curiosa, per la prossima volta: se io vi dicessi,… vi facessi tutto un bel discorso e vi dicessi “La Terra, Marte, Venere, Mercurio, la Luna, il Sole, sono dei pianeti” voi, creature, pensereste che sono impazzito o trovereste un’altra risposta? Scifo
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Ciò che accade, accede per noi, è funzionale ai nostri apprendimenti. Nelle relazioni genitoriali questo è vero in modo ancora più evidente, perché, queste, costituiscono i tracciati che domineranno parte della nostra esistenza. Il passaggio da vittima ad artefice è, anche, la comprensione del ruolo funzionale dei rapporti familiari.
Grazie.