Tutto quello che l’uomo percepisce è relativo.
Tutto quello che l’uomo percepisce è soggettivo.
La rappresentazione del mondo che l’individuo si fa è strettamente dipendente da quelle che sono le sue percezioni a livello fisico, emotivo e mentale.
Tuttavia la percezione della realtà di un individuo è diversa dalla percezione di un altro individuo e si potrebbe affermare che la rappresentazione della realtà è completamente, o in buona parte, diversa da un individuo all’altro.
“Se le cose stanno davvero così, è possibile la comunicazione tra le persone? È possibile che percezioni totalmente, o quasi totalmente, estranee della realtà possano interagire tra di loro, oppure ognuno vive nel proprio mondo soggettivo, in qualche modo autistico, nel quale porta avanti la sua vita, in realtà svincolato da tutti gli altri?”.
Ovviamente è possibile, perché sennò non saremmo qua a chiacchierare.
Secondo il processo logico, se vi sono porzioni di rappresentazione della realtà comunicabili, è ovvio che queste porzioni sono accomunate da qualcosa, altrimenti non potrebbero essere percepite nello stesso identico modo dagli interlocutori.
La questione è complessa e non scontata, un esempio: in questo momento sto cercando di comunicarvi qualcosa e lo comunico così come io, dentro di me, l’ho rappresentato; però non ho la certezza che voi lo recepiate, dentro di voi, nello stesso modo in cui “io” lo rappresento.
Ma se non lo percepite come “io” lo rappresento, allora non vi è comunicazione!
Stiamo parlando della possibilità di comunicazione tra rappresentazioni della realtà da individuo a individuo e se io non posso comunicarvi ciò che percepisco – in modo tale che voi percepiate quello stesso modo di percepire che ho dentro di me –, allora vuol dire che questo tentativo di comunicazione è destinato a fallire; vi è tutt’al più un passaggio di dati tra me e voi che poi vengono elaborati in maniera completamente diversa da voi e da me.
E allora, secondo logica, bisognerebbe rivedere quello che abbiamo detto, perché, a questo punto, non vi è possibilità di comunicazione tra due rappresentazioni della realtà.
Sembrerebbe – a questo punto – che possono passare i dati della comunicazione tra un individuo e l’altro, in seguito alla personale rappresentazione della realtà, ma non passerebbe il significato della rappresentazione della realtà, che l’individuo attribuisce alla sua percezione.
Questo è quanto siamo arrivati a stabilire usando il processo logico.
Ma, ahimè, il processo logico arriva fin dove può.
Il fatto è che la percezione della realtà non è fatta di parole; o, perlomeno, non è fatta “soltanto” di parole, ma da tutto un insieme di elementi che vanno dalla percezione fisica, all’emozione che la situazione suscita, ai pensieri, alle concatenazioni logiche che la situazione smuove nell’interiore per arrivare a tradurre, all’interno del mondo fisico che stai sperimentando, la tua reazione a questa rappresentazione.
Non dimentichiamoci che l’individuo si fa una rappresentazione, ma questa non è statica e fine a sé stessa: essa è dinamica, necessaria e indispensabile all’uomo per poter interagire con l’ambiente in cui si trova a vivere.
A questo punto, voi direte giustamente “il bambino non impara tanto dalle parole che gli vengono dette (o, perlomeno – dico io – non “solo” dalle parole che gli vengono dette) ma dall’osservazione del comportamento di chi gli sta accanto”; e, quindi, dal modello “padre-madre” o “fratello”, “sorella”, “nonno”, “nonna” per arrivare al cartone animato che, ahimè, ha preso molto spesso in questi tempi la funzione del padre o della madre!
Ma, allora, questo significa che, al di là di questo processo di percezione della realtà che coinvolge il corpo fisico, il corpo astrale e il corpo mentale (o, per dirla in termini più comuni: la fisicità, l’emotività e la sfera intellettiva), vi deve essere per forza di cose qualche elemento, da qualche parte, che fa sì che questi “simboli” che vengono usati servano da tratto di unione all’interpretazione soggettiva di ogni individuo.
È evidente che, qualsiasi parola voi usiate, quella parola non definisce in realtà l’oggetto così com’è, ma è una convenzione, accettata da tutti quelli che parlano quel linguaggio, per definire un insieme di elementi che quel termine – per convenzione, appunto, per “simbolo” – viene a definire.
Si potrebbe dire quindi che ciò che lega la percezione soggettiva della realtà di ogni individuo non è tanto l’insieme degli elementi che egli percepisce, quanto il significato simbolico che esso dà a ciò che percepisce.
Senza andare a cercare “il sentire” (che senz’altro c’entra), o il corpo akasico (che altrettanto c’entra) o l’Assoluto (che c’entra sempre e comunque), senza dubbio possiamo affermare che la comunicazione è resa possibile da questo insieme di “simboli” che sono più o meno comuni a una porzione più o meno vasta di ogni gruppo umano.
Questo non fa altro che preparare la strada per porsi le domande successive e arrivare a capire cosa esiste al di là della percezione della realtà da parte dell’individuo; la risposta, se uno compie i passi giusti anche seguendo la logica, senza bisogno di atti di fede in santoni o in grandi scienziati, non può essere che quella di presupporre l’esistenza di una parte esterna a quella comunemente conosciuta dall’individuo, che faccia da tratto d’unione tra tutti gli individui e permetta il circolare di una comune rappresentazione che collimi con quella degli altri individui, perlomeno in alcuni punti, in maniera tale che ogni individuo possa interagire in realtà con un altro.
Una parte che preesiste, e preesiste creata come vibrazione – quindi anche il simbolo è una vibrazione – da quelli che noi abbiamo chiamati archetipi transitori o permanenti.
Il comunicare, in realtà, è un donare?
Ma un donare a chi?
In ultimo forse non è una relazione?
Un donare e basta, un donare a nessuno in particolare?
Un “mettere a disposizione”?
Partecipare alla vita esprimendo un esperienza interiore?
Senza obiettivo, senza un fine?
Un urgenza pura, che chiede di essere portata alla luce e affidata alla vita
senza ricevere nulla in cambio
Grazie
Altri tasselli si aggiungono donando una veduta d’ insieme più ampia…grazie.
Post un po’ complesso… A parte la prima metà, che mi ha ricordato Pirandello.
Grazie
Il tema della comunicazione tra individui, ha sempre suscitato il mio interesse. Tanto più si è vicini nel “sentire”, tanto meno si hanno bisogno di parole per comunicare. Non nego l’importanza di comunicare attraverso la parola, ma col tempo, mi accorgo di diventare più selettiva e di quante parole siano pronunciate “di troppo”. Ho sempre più necessità di arrivare ad un linguaggio essenziale e, quando mi ascolto, spesso mi accorgo quanto anch’io abusi delle parole. Grazie di questo post, perché chiarisce alcuni aspetti ancora non sufficientemente compresi.