D – La questione è: comunque il fatto che io reagisca mi fa suonare un campanello di allarme, che mi fa chiedere perché devo reagire arrabbiandomi in quel particolare modo.
La domanda che ti devi porre non è tanto “perché devo reagire arrabbiandomi”, quanto “per quale motivo non riesco a reagire diversamente”, il che sembra la stessa cosa detta in una maniera diversa, ma non è così. Con la prima domanda, infatti, tu ti fermi soltanto alla reazione esterna, mentre con la seconda domanda ti chiedi cos’è al tuo interno che ti blocca nel saper mediare la tua reazione verso l’esterno.
Supponiamo che tu, nel tuo carattere, abbia in dotazione la tendenza a essere aggressiva, per usare ancora una volta un esempio che abbiamo sfruttato molte volte nel cercare di spiegarvi le cose. Nel tuo carattere è scritto che la tua reazione tende a essere di tipo aggressivo in determinate circostanze, sotto l’influsso di determinati stimoli esterni.
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1. Ora, se il tuo carattere è quello, la reazione che verrà espressa dalla tua personalità verso l’esterno tenderà a manifestarsi sempre con un determinato comportamento, dal quale tu non potrai prescindere perché è un passaggio diretto da quello che sei tu al manifestare esternamente quello che sei, anche se, a mano a mano che sperimenterai quel particolare aspetto del tuo carattere, avrai una sempre maggiore possibilità di operare una mediazione tra il tuo carattere e la tua personalità, in accordo con l’ampliamento graduale di comprensione che la tua sperimentazione avrà portato.
2. Nel momento, invece, in cui si tratta di somatismo comportamentale succede che su questo tuo essere aggressivo entra in gioco qualche altro fattore che dà una qualità diversa alla tua aggressività. La tua aggressività, infatti, arriverà a esprimersi sul piano fisico non adeguandosi al tuo sentire, ma adeguandosi (o contrastando) più facilmente a quello che è lo stimolo che proviene dall’esterno.
Nel primo caso qualsiasi sia lo stimolo tu reagirai in quel determinato modo e l’eventuale mediazione verrà effettuata dal tuo interno, dalla tua coscienza, nel secondo caso la tua aggressività si adeguerà a quello che è lo stimolo esterno e la mediazione verrà modulata non dal tuo intimo ma dai modelli comportamentali che ti suggeriscono gli archetipi transitori che hanno influenza su di te.
Nel primo caso la tua aggressività sarà sempre meno intensa andando di pari passo con la tua comprensione, nel secondo caso la tua aggressività potrà, invece, anche diventare sempre più intensa.
D – Però, secondo me, anche nel caso di uno somatismo c’è una minima variazione nelle varie situazioni, non è che la reazione sia sempre identica.
Questo è vero. Non dimentichiamoci che vi è l’influenza degli archetipi transitori, i quali espletano una funzione essenziale all’interno dei rapporti che si creano nella vita sociale dell’individuo incarnato. Infatti, se la tua aggressività fosse talmente forte da riuscire a esprimersi senza nessun elemento che in qualche maniera ne calmieri l’espressione, i rapporti sociali sarebbero sempre e soltanto basati sugli scontri tra le persone e, ogni volta che qualcuno dice o fa qualcosa che a un altro non va bene, le reazioni sarebbero in continuazione fonte di aggressione, spesso anche molto violenta.
Così, poiché spesso l’individuo non riesce ad attuare una mediazione con le proprie forze, ecco che vi è la necessità dell’influenza degli archetipi transitori: fortunatamente nel piano del Grande Disegno è contemplato che ci sia anche l’influenza dell’ambiente creato dagli archetipi transitori sull’individuo con le sue norme morali ed etiche che, anche se non sono definitive e sono spesso norme solo transitorie (e, talvolta, persino assurde o sbagliate), tuttavia forniscono una sorta di stimolo che opera da freno alla manifestazione senza freni del carattere dell’individuo.
Questo comporta che, grazie all’influenza degli archetipi transitori, (cioè quello che è all’esterno dell’individuo: l’ambiente, la società la religione) la reazione aggressiva che si manifesta arrivi, prima di estrinsecarsi sul piano fisico, a essere in qualche modo adeguata dall’Io a quella che è la maniera più accettabile socialmente per portarla all’esterno secondo le norme dettate, appunto, dagli archetipi transitori a cui fa riferimento.
Questo, naturalmente, non include i casi patologici, nei quali il rapporto interiorità/esteriorità è fortemente condizionato, nella sua espressione, da problemi insormontabili dall’individuo (è il caso delle cristallizzazioni, per esempio) che non ha alcun vero controllo sulla sua espressione sul piano fisico.
Senza dubbio i somatismi comportamentali sono i più difficili da esaminare: anche soltanto capire se ci si trova davanti a veri sintomi comportamentali o semplicemente a manifestazioni del carattere di una persona non è cosa da poco, però si può fare. Se qualcuno di voi ha dei comportamenti da esaminare, ci rimboccheremo le maniche e vedremo di esaminarli facendoci coraggio.
Volevo, tuttavia, sottolinearvi il fatto che abbiamo fatto tutte queste suddivisioni per comodità di insegnamento e di metodo; ricordate, però, che la realtà non è così schematica come noi vi abbiamo proposto: un sintomo di tipo non comportamentale ha in sé, comunque, anche dei riflessi comportamentali e il sintomo ha sempre una ricaduta nel comportamento sul piano fisico da parte dell’individuo, così come – nel vostro ciclo di comprensione per il raggiungimento di grandi o piccole sfumature di sentire – ciò che introiettate ha sempre una ricaduta sul vostro comportamento all’interno del piano fisico; infatti l’individuo andrebbe sempre considerato nella sua totalità, non osservando soltanto una sua porzione, è per questo che ribadiamo così frequentemente questo punto.
Questo errore è osservabile, per esempio, nella concezione freudiana che ha finito col cercare di osservare l’Io delle persone secondo una visione frammentaria dell’interiorità dell’individuo, riducendosi non a risolvere veramente i conflitti interiori dell’Io dell’individuo, ma col ritenere un caso risolto o invia di risoluzione quando si riesce a indurre l’Io ad adattarsi alla società.
Ovviamente questo non è un risolvere il problema dell’individuo, ma è soltanto un mimetizzare il problema stesso: l’individuo, magari, potrà vivere apparentemente meglio il suo rapporto con l’esterno perché avrà meno motivi di conflitto, tuttavia i problemi che creavano il conflitto al suo interno (ovvero le incomprensioni) continueranno a essere presenti e a non venire risolti, cosicché tenderanno, prima o poi a ripresentarsi, magari sotto espressioni alternative.
D – E così non vengono neanche più affrontati.
E così non vengono neanche più affrontati, certamente è un ottimo strumento, un’ottima via di fuga da parte dell’Io per riuscire a portare avanti, quasi indisturbato, il suo desiderio di onnipotenza.
D – Però magari se è usato bene può essere utile perché ti permette di vivere un momento di tranquillità mentre continui a…
Questo senza ombra di dubbio. Il problema è che bisogna entrare nell’ottica di farlo, di saperlo e volerlo fare, altrimenti la via più facile per gli individui che si trovano in questa situazione è quella di nascondere le proprie spinte interiori e proiettarsi all’esterno vivendo soltanto di esteriorità.
Se ponete attenzione alla vostra società attuale, anche grazie al tentativo di adattamento dell’Io alla società di cui parlavo poco fa, essa ha finito coll’avere dei modelli che si occupano principalmente dell’esteriorità, e questo finisce col provocare delle tensioni all’interno della società stessa, anche molto rilevanti, in quanto l’individuo ha il suo bisogno interiore di comprensione che preme e che gli dice che non basta adattarsi all’esteriorità per essere felici, ma che ci vuole qualcosa di più che magari non riesce a precisare, reagendo con sensi di frustrazione e insoddisfazione interiore.
A quel punto, inevitabilmente, cominciano a nascere i conflitti, i problemi e quei sommovimenti che qua e là pian piano, infatti, stanno nascendo. In fondo state vivendo un’epoca interessante, un’epoca che prelude a un cambiamento, a una presa di coscienza che andrà senza dubbio verso la constatazione che l’esteriorità non è la parte più importante – per quanto necessaria essa possa essere – del senso della vita umana, ma che vi è qualcosa di ben più importante e che negarla e rifiutarla non aiuta certamente a raggiungere quella serenità e quella tranquillità cui l’individuo in realtà anela ed ha sempre anelato. Scifo
Grazie a Scifo e all’amministratore che ha edito il post
Grazie