Per conoscersi: partire dai bisogni e dai desideri [io4]

A chi giunge fino a noi spinto dalla sofferenza, dal dolore, dai tormenti, noi non possiamo porgere solamente parole che, per quanto belle possano apparire, offrano la consolazione di un attimo.

Abbiamo il dovere di offrire anche la maniera per modificare il suo stato interiore, aiutandolo a far sì che la sua sofferenza, il suo dolore, i suoi tormenti perdano la connotazione di insensibile crudeltà, acquistando invece il sapore della necessità, dolorosa e inevitabile, ma tesa al fine di un raggiungimento di qualcosa di migliore che, altrimenti, non si sarebbe raggiunto.

Per questo motivo il nostro insegnamento etico trova il suo cardine nel principio millenario del “conosci te stesso”, in quanto esso è lo strumento migliore e più diretto per arrivare a eliminare le sofferenze.

E questo non tanto perché impedisce agli avvenimenti dolorosi di presentarsi nell’esistenza dell’uomo, quanto perché porta a porsi di fronte a essi in una maniera diversa, svincolata da quelle proiezioni del proprio Io che fanno della sofferenza un compagno continuo della vita umana, rendendola ancora più pressante e incombente di quanto essa possa effettivamente essere.

Abbiamo osservato in precedenza come l’individuo, sotto la spinta dei bisogni dell’Io, percepisca il mondo e la realtà in maniera distorta, illusoria, cercando di farla soggiacere ai desideri personali.

“Com’è possibile, allora, – dovreste domandarci – osservare se stessi?
Forse che anche nell’osservare se stessi non vi possono essere le proiezioni dell’Io?

Certamente che vi sono, non può che essere così, miei cari! Tuttavia se siete consapevoli e non ignari del fatto che ciò che sperimentate può non essere come voi ritenete che sia, vi trovate già a un buon punto di partenza per costruire voi stessi nella maniera migliore.

È evidente che il punto d’incontro dell’illusione individuale è proprio l’individuo stesso: in lui confluiscono e rifluiscono tutte le proiezioni che l’Io crea sulla realtà perché siete voi il campo in cui esercita direttamente la sua azione, molto più importante, per voi, di quella che può esercitare sull’esterno perché è più indiretta.

Siete, dunque, voi stessi, il perno delle vostre illusioni. Se per un attimo non mi credete, pensate a come vi raffigurate e quante volte la vostra rappresentazione di voi stessi si rivela illusoria: se cercate di immaginarvi fisicamente, ad esempio, difficilmente vi vedete come siete in realtà; quando siete felici o tranquilli tendete ad avere un’immagine di voi stessi simile a quando eravate più giovani.

Quando, invece, siete depressi, o tristi anche la vostra percezione fisica di voi stessi cambia e vi sentite, magari, addosso più anni di quanti avete in realtà.
E non solo questo è illusione ma anche la percezione di come siete: quante volte vi ritenete altruisti o umili, per esempio, e vi capita di accorgervi che il vostro altruismo era interessato e la vostra umiltà soltanto una scusa per non agire o per fare buona impressione sugli altri?

Conoscere voi stessi (o meglio: riconoscere in voi quelli che sono gli influssi dell’Io) può dunque portarvi a diminuire la percezione soggettiva di voi stessi, quindi la vostra illusione interiore e, di conseguenza, anche la percezione dell’esterno diventerà più aderente alla realtà, perché più svincolata dai vostri bisogni, dai vostri desideri insoddisfatti.

Molte volte – pur sentendo la necessità di comprendervi – restate bloccati in quanto non trovate la maniera per penetrare più profondamente nella conoscenza della vostra interiorità: spesso ciò costituisce anche una scusa per evitare di compiere il vostro lavoro interiore.

Bene, partite proprio dai vostri bisogni e dai vostri desideri: essi indicano ciò che il vostro sentire, la vostra coscienza, non è ancora arrivato a comprendere ed è da essi che potete incominciare la creazione di un nuovo “voi stessi”.

Trovato il punto di partenza in che modo muoversi, dunque?
È più semplice di quanto può apparire (pur nella sua enorme difficoltà poiché bisogna avere il coraggio di voler essere sinceri con se stessi): osservatevi nelle esperienze che affrontate, isolate in esse un elemento e poi partite da questo per andare a fondo di voi stessi.

Facciamo un esempio a metà tra il teorico e il pratico.
Voi tutti che partecipate a queste riunioni, senza dubbio vivete un’esperienza particolare che, proprio per questa sua peculiarità, può offrirvi l’occasione di capire qualcosa di voi stessi.

Allora incominciate a chiedervi (cosa che anche noi vi chiediamo, da sempre): perché partecipo? Le risposte possono essere diverse per ognuno di voi.
Quella più generica e apparentemente più difficile da approfondire è: “per migliorare me stesso”.

Allora chiedetevi: “Per migliorare me stesso interiormente o in rapporto con gli altri?”
E poi: “Migliorare per essere più vicino agli altri, oppure per sentirmi o apparire migliore degli altri?”.
O ancora: “Migliorare per essere più vicino agli altri nel caso ne avessero bisogno, o per poter essere additato come il figlio prediletto che tanto ha capito?” E così via.

Sono certo che a questo punto vi saranno principalmente due filoni di risposte:
1– una, a prima vista positiva e ottimista, che affermerà di partecipare per migliorare se stessi attraverso la conoscenza dell’insegnamento che vi porgiamo in maniera tale da poter dare aiuto a chi ne ha bisogno;
2– un’altra, a prima vista negativa e pessimista, che affermerà di partecipare per curiosità, per ottenere conoscenze strane, perché l’insolito attrae e così via.

Entrambe – e non può essere che così – potrebbero essere illusioni del vostro Io: nel primo caso, ad esempio, se ciò che potreste affermare fosse vero, allora dovreste chiedervi magari per quale motivo arrivate agli incontri impreparati, oppure siete pronti a contrastare gli altri nelle discussioni, oppure a deridere chi, per problemi interiori personali, sembra incapace di comprendere e accettare anche le cose più chiare che da noi gli vengono dette.

Nel secondo caso, invece, chiedetevi perché la vostra curiosità non è mai appagata anche dopo decine di incontri, perché le conoscenze che noi vi porgiamo, nella loro semplicità, non modificano il vostro modo di essere, perché molte volte gli incontri più semplici, più colloquiali, meno insoliti vi lasciano una maggiore soddisfazione di altri magari più fuori dal normale.

La verità, come sempre, figli nostri, sta nel mezzo e in ogni motivazione c’è una parte di illusione e una parte di realtà. Ecco, è proprio la separazione obiettiva tra queste due parti che dovete riuscire a compiere, e potete farlo solamente andando sotto il velo di apparenza di cui sono ammantate.

Senza dubbio ognuno di voi, come risultante di questa vita ma anche di quelle precedenti, possiede una personalità e un carattere diverso da quello degli altri, ma rendetevi conto – e accettatelo – che la vostra personalità e il vostro carattere nascono da ciò che non avete compreso nelle vite passate, adattati e plasmati dalle illusioni che il vostro Io attuale proietta su di essi.

Il vostro Io è ambizioso, non vuole essere una comparsa ma vuole essere il perno della realtà, il cardine intorno al quale essa dovrebbe ruotare affinché sia messa debitamente in risalto la sua importanza.

Che voi, a seconda del vostro carattere, lo lasciate fare o meno, ha un’importanza relativa per voi stessi: quello che importa è che, in entrambi i casi, sappiate osservare i suoi impulsi, cerchiate di comprenderli, di carpirne le vere intenzioni perché è a questo modo che il sipario si aprirà sulla vostra scena interiore e la trama della vostra comprensione vi sarà accessibile. Baba
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Catia Belacchi

Ad un certo punto sfumano desideri e bisogni, a meno che non sia una illusione dell’io.
Ma quando si è sufficientemente indagato su di sé lo si capisce.

Samuele

“Che voi, a seconda del vostro carattere, lo lasciate fare o meno, ha un’importanza relativa per voi stessi”. Nessuna guerra all’io.
‘sto poretto dell’io non ce lo siamo inventati noi, ce lo siamo trovati di serie su ciò che ci costituisce.
Ingombra? Distorce la realtà? La ottunde?
E chi se ne frega!
Se dovevamo nascere senza un io nascevano molluschi.
In fondo pare di capire che non è quello il punto, ovvero l’io non è un problema;
fatico anche a considerarlo una complicazione.
L’io c’è e basta.
Va guardato, compreso e lavorato perché è la cremagliera su cui si sviluppa la nostra esistenza.
Sommessamente, parmi.

Nadia

Riletto grazie!

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