Maschere: finalità egoistica od altruistica?

D – Georgei, posso chiederti una cosa? Recentemente, ho avuto modo di confrontarmi con alcune persone ed ho visto che il concetto di maschera, di mascherarsi, io lo intendo in un modo che non collima con quello di queste altre persone.

Ed allora ti volevo chiedere appunto una conferma, una spiegazione di quale può essere questa interpretazione: perché queste altre persone, con le quali non mi trovo d’accordo, dicono che – per rispettare la sensibilità altrui – è giusto non urtarle e quindi mostrarsi d’accordo su questo e su quell’altro delle cose che raccontano, anche se intimamente, invece, si è in completo disaccordo.
Io penso che non sia giusto, perché esprimere la propria opinione (non esprimerla come verità assoluta, da seguire come indicazione: “Io ti dico come devi fare”; ma dire: “Io la penso così”), mi sembrava che fosse la cosa più onesta da fare, insomma; cioè, mettere in chiaro che cosa si pensa di una determinata cosa. Mentre loro dicono che per sensibilità, per non urtare queste persone, è meglio assecondarle.

Questo è un problema difficile da risolvere; perché mi sembra una disputa che sia poi – a ben vedere – abbastanza priva di significato, perché andrebbe esaminata caso per caso: non può essere generalizzato, il comportamento da tenere nei confronti degli altri, a proposito delle proprie maschere. 

Certamente, vi sono maschere che l’individuo porta e di cui non si rende neanche conto di esserne portatore, no? E su queste maschere, l’individuo non può fare assolutamente niente, se non continuare a ricercare in se stesso, in modo che (la maschera) cada da sola, un pochino alla volta. 

Poi vi sono invece quelle maschere che l’individuo si pone all’interno della società, che gli sono necessarie nella società, che so io, nell’ambito lavorativo, per ciò che fa nel corso della giornata, che sono necessarie per la sua sopravvivenza materiale nel corso dei giorni…
Vi sono poi quelle maschere che uno si mette, a volte, come dicevi tu, per non ferire, non colpire, non provocare reazioni negative negli altri. 
Ora, questo è, forse, il punto più delicato: perché l’individuo veramente sensibile, prima di tutto, fa in modo di non trovarsi neanche nella situazione di dover ferire, nel corso di una discussione, l’altra persona. 

Supponiamo, per esempio, che l’altra persona non creda assolutamente, che so io, nello Spiritismo (visto che siamo in un ambiente qualunque, no?); allora, la persona sensibile, che sa che quella persona ha paura dello Spiritismo, o non crede o non vuol sentir parlare assolutamente dello Spiritismo, se è veramente sensibile non proverà mai a parlare di questo argomento; e non avrà quindi bisogno neanche di mettersi maschere di nessun tipo per paura di provocare reazioni di tipo negativo.

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D – Nello specifico, io parlavo di un’amica che, pur conoscendo certi insegnamenti giunti tramite la medianità, alle sue amiche che vanno dalle cartomanti – spendendo milioni, eccetera – lei non le avverte, diciamo, che possono andare incontro a determinati problemi (anche solo per il fatto di spendere tutti quei milioni); ma, per non urtarle, per non perdere la loro amicizia, la loro compagnia, lei non dice cosa pensa delle cartomanti.

Beh, quello, sinceramente – secondo il mio punto di vista – è un comportamento abbastanza sciocco, in realtà. A parte il fatto che non si tratta neanche di principi, a questo punto: si tratta semplicemente di tenersi strette delle persone per motivi personali, per motivi egoistici.
Non si tratta più di sensibilità, a quel punto: è che la persona sensibile, comunque sia, anche a costo di dire una menzogna, cerca di fare il bene dell’altra persona.

D’altronde, non si può neanche condannare quella persona senza conoscere le sue vere intenzioni; il problema, purtroppo, è sempre questo.
Come si fa a dire a quella persona: “Stai dicendo giusto” o “Stai dicendo sbagliato”? Lo potrebbe dire soltanto chi riuscisse a percepire quali sono le sue vere intenzioni: perché, se non si sa quello, non si può giudicare il suo comportamento o le sue parole.

D – Certamente, ma per aiutare questa persona a vedere in se stessa che cosa la muove… Lei dice, onestamente: “E’ per non ferirla, per non perdere un’amica”.

E’ un’intenzione egoistica, in realtà; perché, se invece lei dicesse: “La mia intenzione è quella di far sì che la mia amica faccia la sua esperienza, in modo che comprenda, che non debba più fare quell’esperienza”; allora sarebbe giustificata, sarebbe altruistica, a quel punto! Georgei


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Nadia

Questo post fa venire in mente una scena recentemente vissuta, in cui l’intenzione va indagata ulteriormente. Grazie per aiutarmi nel fare chiarezza.

Samuele

Siamo realtà complesse. Rifuggire, come fa Georgei dalle categorizzazioni e dai giudizi preconfezionati mi pare l’insegnamento principale. Grazie

Anna

Torna il concetto che il valore di un’azione dipende dall’intenzione che la muove.

Natascia

Rimane la difficoltà a comprendere la vera intenzione, anche quando analizziamo il nostro comportamento, non solo dell’alto. In me richiede sempre un tempo lungo per analizzare e comprendere e quasi mai sono soddisfatta dell’analisi. So che è frutto di comprensioni limitate e che potrebbe essere diversa domani.

catia belacchi

Concordo un po’ con tutti voi: nell’azione conta l’intenzione, ma l’intenzione che muove la nostra azione , come dice Natascia, non sempre è chiara neanche a noi stessi. Da parte mia c’è spesso una doppia faccia: generosità e protagonismo. Per quanto riguarda le maschere credo che Georgei sia stato del tutto esauriente.

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