Tra le varie armi che l’Io ha a sua disposizione per affermare se stesso e ottenere ciò che lo gratifica, ve n’è una sottile e subdola che colpisce a fondo e ottiene, quasi sempre, buoni risultati, tanto che la consiglio vivamente a tutti coloro che cercano di ottenere qualche cosa e non riescono a ottenerla attraverso vie più tradizionali e scoperte.
Devo dire che questo strumento di cui sto parlando non è dei più facili da usare poiché richiede doti collaterali a suo sostegno; tuttavia queste doti son patrimonio comune di ogni Io grazie a una lunga pratica e a un’esperienza incominciata fin dal suo primo formarsi. Occorre, infatti, una recitazione adeguata di stati d’animo particolari e dirò di più: occorre addirittura riuscire a essere davvero convinti che quegli stati d’animo sono reali, così reali da trasparire da ogni più piccolo movimento del corpo.
“Non è facile – direte voi – solo un ottimo attore riesce bene in questo”.
Certo, ne convengo, ma vi garantisco che all’occasione l’Io sa trasformarsi in un attore così eccellente che anche il più acclamato e riconosciuto calcatore del palcoscenico al suo confronto appare una comparsa inesperta!
Occorre ancora saper cogliere il momento propizio, la situazione più favorevole affinché il pubblico sia nella più adatta disposizione d’animo, e possa così venir coinvolto emotivamente dalla tragicità della recitazione; ogni buon attore sa che una pausa all’inizio del programma, sapientemente dosata e, quindi, non troppo lunga né troppo corta, provoca quella lieve, impercettibile irritazione nello spettatore che – ben lungi dall’essere un danno – fa sì, invece, che questi accolga con maggior partecipazione l’inizio della rappresentazione.
Dove voglio arrivare con questo preambolo così lungo? Voglio semplicemente arrivare a parlare di quell’insana tendenza che ogni individuo ha di fare la vittima; voglio parlare, cioè, del vittimismo.
Se dovessimo andare indietro nel tempo alla ricerca dell’inventore di questa tecnica così efficace, dovremmo arrivare a quell’ipotetica Eva che osservava in silenzio la mela appesa all’albero. Senza parlare – badate bene – perché il vittimismo più efficace è proprio quello che non fornisce elementi concreti allo spettatore, ma gli lascia la possibilità di arrovellarsi nella ricerca del perché altrui, gli dà la facoltà di partecipare direttamente – proiettando nella recita dell’altro le proprie frustrazioni – agendo, in questo modo, sui suoi sensi di colpa più o meno manifesti.
Quale maestria mette in mostra la nostra cara Eva, proprio degna di quella Prima Donna che – ipoteticamente – essa è stata! Osserviamola un attimo perché, quando si incontra un’artista di quel livello, è sempre un delitto non soffermarsi ad ammirarla.
Non parla. Ma il suo corpo non ha bisogno di parole: guardate come sta seduta sull’erba, stringendosi tra le braccia le ginocchia levigate con le mani intrecciate, vibranti di frustrazione e impotenza; guardate il suo busto, leggermente reclinato all’indietro e ondeggiante sotto l’impulso di sospiri profondi, ora estatici, ora desolati; guardate il viso proteso verso l’alto, verso l’oggetto tanto bramato, in muta e disperata aspettativa.
Non parla, creature, ma che bisogno ha di farlo? Forse che i suoi occhi leggermente velati di lacrime non esprimono già in modo più che adeguato il desiderio di quella forma rotonda, colorita e succosa che suscita in lei il desiderio?
Forse che le sopracciglia inarcate, la fronte corrugata, non evidenziano il suo immenso dispiacere per la sua bassa statura che non le permette di arrivare a far suo quel pomo così invitante, per la sua fragile corporatura che non le dà abbastanza sicurezza da indurla ad arrampicarsi sul melo per cogliere quel frutto dall’aspetto così appetitoso? Forse che le sue labbra leggermente socchiuse non mostrano, con il loro leggero tremore, quanta tristezza, quanto scoramento, quanta sofferenza riempie il suo essere?
Ditemi voi: chi può biasimare Adamo se egli, forte della sua altezza, della sua muscolatura e del suo amore ha colto quella mela per donarla alla sua amata?
Certo nessuno: io stesso non sarei riuscito a restare insensibile di fronte a tal dolore – così delicatamente nascosto.
Perché vedete, creature, la nostra Prima Donna – accortamente – dà anche mostra di voler celare il suo desiderio e la sua sofferenza, in quanto sa che un pizzico di eroismo e di orgoglio, un pizzico di “non voglio che tu ti accorga di ciò, perché non vorrei darti l’impressione di spingerti a fare ciò che io voglio” è un tocco da maestro, una stoccata che facilmente induce a dare sfogo alla generosità e all’arrendevolezza altrui.
Cara la mia Eva! E pensare che sono state create scuole di recitazione, mentre tu hai lasciato in eredità alla tua progenie le tue stesse indubbie doti naturali di Prima Donna di quell’immenso spettacolo che è la vita dell’uomo! Scifo
Grazie !!
Caro Scifo grazie per questa esposizione che di per sé è molto chiara, ma perché tirare in ballo Eva? Lei ha colto la mela e poi l’ha data ad Adamo. Non aveva da farsi compatire o mettere in mostra atteggiamenti per farsi notare dal compagno. Se mai il vittimismo di Eva emerge quando incolpa il serpente di averla indotta a cogliere la mela. Chiedo umilmente scusa per questa mia osservazione perché ti debbo veramente tantissimo. Spero tu colga queste righe con un sorriso.
In realtà mi sembra, se vogliamo essere meticolosi, che la prima vittima sia stata Adamo. Anche se poco o nulla cambia
Grazie.
Formidabile la tua ironia Scifo!
Grazie
Come primo impatto si potrebbe pensare che tirare in ballo Eva significhi additare il genere femminile quale esperto in tentazione. In realtà è la dimensione femminile ad essere chiamata in causa, presente anche nei maschi. Raccogliere il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male, riservato al Creatore, è il simbolo biblico del volersi impossessare di ciò che va accolto come dono (il serpente dice ad Eva che diventeranno come Dio). L’accoglienza è la dimensione femminile. Per questo motivo il popolo ebraico nella Bibbia viene considerato la sposa del Santo, colei che accoglie lo sposo (in una cultura maschilista, con le conoscenze scientifiche dell’epoca, i figli erano generati dal maschio, il cui sperma veniva incubato dalla femmina che partoriva il figlio). Scusate la sintesi brutale
Bella ironia Scifo, grazie. Anche questo rivolgerti la parola direttamente mi fa sorridere e mi piace.
Grazie Paolo per la tua parentesi. 🙂
Mi lascia un po’ perplessa questa lettura. Mi scuso anch’io con Scifo, ma quello che emerge e, che può alimentare un certa cultura “maschilista”, è per l’ennesima volta una la figura femminile che usa la seduzione, mascherata da “vittimismo”, per manipolare l’uomo. Scusate, ma leggendo ho sentito una certa irritazione e non ho potuto fare a meno di esternarla. Sicuramente ci sarà una lettura più profonda, perché anch’io critico l’atteggiamento vittimistico che spesso viene utilizzato, a volte anche inconsapevolmente, per condizionare gli altri a nostro piacimento, ma riproporre Adamo ed Eva per spiegare il problema, mi riporta ad una concezione un po’ bigotta e maschilista di cui la chiesa si è fatta complice. Qualcuno mi bacchetterà, per la mia irriverenza, ma c’è una parte di me che protesta. L’identità che reclama il suo spazio? Forse. Credo però che il dissenso sia utile ad approfondire il tema in questione.
E’ lampante la capacità dell’Io di interpretare il ruolo di vittima, altrettanto chiari sono i limiti ed i condizionamenti dell’individuo.
Grazie!