Gran parte delle osservazioni che abbiamo fatto fin qui sono valide anche per quanto riguarda il somatismo comportamentale, il quale, però, possiede alcune caratteristiche che lo differenziano in maniera sostanziale dal tipo precedente (quello fisico, ndr).
Un primo elemento da sottolineare è il fatto che non necessariamente il somatismo comportamentale è associato a una sintomatologia fisica e che, quando essa è presente, quasi sempre risulta incostante o di difficile interpretazione e catalogazione, tant’è vero che la medicina tende, solitamente, a catalogare tale tipologia sintomatica come effetti di situazioni di stress, catalogazione, alla fin fine, molto generica e poco utile per determinarne le cause e, di conseguenza, per individuare modalità di intervento che risultino veramente efficaci e determinanti se non attraverso l’uso di sostanze psicotrope che, tuttavia, possono avere il solo effetto di alleviare la sintomatologia senza arrivare a curarla veramente, dal momento che l’unica vera cura definitiva possibile è quella di avere risolto l’incomprensione generatrice della reazione somatica.
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Nel caso del somatismo comportamentale ci si trova ancora in presenza di un blocco vibrazionale all’interno di uno dei corpi inferiori dell’individuo, ma tale blocco è accompagnato, solitamente, dalla presenza di altri nuclei di vortici vibrazionali strettamente collegati tra di loro che sono situati anche sugli altri corpi (nella maggioranza dei casi questo avviene principalmente all’interno del corpo astrale e di quello mentale) i quali interagiscono tra di loro con varia intensità ma sono talmente dipendenti e collegati tra di loro che è difficile stabilire quale sia in realtà il vortice principale.
D’altra parte, se ci pensiamo un attimo, questo elemento scaturisce evidente dall’analisi della stessa terminologia che abbiamo usato per descrivere questo tipo di somatismo: il fatto che sia stato denominato “comportamentale” include, infatti, sia una forte componente emotiva che una forte componente mentale, senza le quali il comportamento non avrebbe le connotazioni di fissità, di ripetibilità e di fonte di disagio che lo differenziano dalla normale reazione comportamentale dell’individuo di fronte alle situazioni che la sua esistenza gli propone.
Non essendovi il chiaro appiglio della sintomatologia fisica e, di conseguenza, essendo minore la spinta a superare la sofferenza tangibile che essa procura all’Io, esso ha una maggiore facilità di creare barriere e di attivare i suoi meccanismi di difesa, al punto che, molto spesso, l’individuo non si rende neppure conto di quanto la sua reazione somatica sia un importante segnale che tenta di metterlo sulla strada della ricerca della comprensione.
Anche in questo caso la predisposizione genetica dell’individuo ha un ruolo determinante nell’espressione del tipo di somatismo, tuttavia essa risulta essere, rispetto al somatismo di tipo fisico, più direttamente indirizzata nella sua espressione all’interno del piano fisico dall’influenza esercitata dagli Archetipi Transitori, quegli archetipi, cioè, che più influiscono sulle modalità di espressione (e, quindi di comportamento) dell’individuo all’interno del piano fisico.
Se tale influenza può essere in parte individuata anche nell’espressione del somatismo di tipo fisico (può essere un esempio adeguato pensare al ciclico presentarsi di determinati tipi di somatismi in certe epoche sociali, quali l’attuale frequente insorgenza di disturbi gastrici, l’anoressia o l’assunzione di cibo molto superiore alle necessità fisiologiche dell’individuo, le crisi di panico) risulta essere, invece, molto più influente quando ci si trova davanti a somatismi di tipo comportamentale.
Come sappiamo, infatti, gli Archetipi Transitori dettano le regole comportamentali dell’individuo all’interno delle società in cui è inserito l’individuo incarnato, determinando lo spettro di reazioni entro il quale l’individuo confronta la sua “normalità” in rapporto a tali regole, delimitando, in questo modo i suoi possibili comportamenti reattivi secondo i concetti etico/morali (e, in definitiva, l’attribuzione del giudizio giusto/sbagliato) adottati dal gruppo cui è collegato.
Quest’influenza, di conseguenza, oltre a offrire uno spettro di reazioni ammissibili o accettabili all’interno del gruppo, finisce con l’aiutare l’Io a ritenere giuste o accettabili le sue reazioni comportamentali, offrendogli la possibilità di trovare continue autogiustificazioni o di arrivare a ritenere il suo comportamento “non sbagliato” in quanto accettato o parametrato sull’analogo comportamento messo in atto dagli altri individui che, insieme a lui, sperimentano un determinato Archetipo Transitorio.
È tipico il caso, per esempio, di chi giustifica il fatto di aver rubato dicendo che anche gli altri rubano, arrivando con quest’affermazione ad assolvere se stesso. Se questo è comprensibile in quanto è una conseguenza del bisogno di sperimentazione dell’Archetipo Transitorio da parte dell’individuo, ha però di frequente la conseguenza di indurlo a non rendersi conto dell’esistenza di un suo somatismo comportamentale. Ombra
Ciclo sul senso di colpa