L’evoluzione del linguaggio nell’individuo e nella Razza (l2)

Il fratello Scifo è venuto a parlarvi della lingua atlantidea, cercando di farvi comprendere come anche il linguaggio possa essere espressione dello stato spirituale di una intera Razza, nel senso che noi abbiamo dato a codesto termine.

Vorrei parlarvi del linguaggio, cercando di farvi vedere come anch’esso nel corso dei secoli non soltanto abbia subito una certa evoluzione, ma sia stato più volte oggetto dì studio da parte di pensatori di un’importanza non indifferente.

Democrito, Platone e Aristotele, tanto per citare alcuni tra i più insigni rappresentanti della filosofia antica, dedicarono molto del loro tempo a questo tipo di ricerca, cercando di scoprire il nesso logico che legava il linguaggio alla metafisica.

Certamente quello del linguaggio è un problema di non facile soluzione, anche se così a prima vista esso può apparire come qualcosa di semplice, naturale, indispensabile alla comunicazione tra gli uomini, e il cercare di spiegarlo interamente comporta la conoscenza di molte discipline a lui connesse, quindi riuscire a dare un quadro specifico, chiaro, semplice ed alla portata di tutti non è cosa da tutti i giorni.
Cerchiamo quindi di parlare di questo problema, come nostro solito, con semplicità, schematizzando il più possibile e rendendo accessibile a tutti il nostro dire.

Il linguaggio altro non è che un mezzo per poter permettere la comunicazione tra più individui, i quali, senza una forma codificata di scrittura o di parole espresse tramite fonemi, non riuscirebbero a comprendersi e vivere assieme la vita di tutti i giorni: esso è dunque un insieme di codici che trasmettono delle informazioni da un individuo ad un altro.

Tenete presente che questo discorso è valido anche per le forme di vita animale.
Voi sapete benissimo che gli animali tra di loro comunicano sia a livello di suono, sia a livello di gesto, esiste quindi anche uri’altra forma di linguaggio che non deve essere sottovalutata ed è proprio quella del linguaggio gestuale, infatti accanto ai suoni emessi esiste anche una serie di movimenti del corpo dell’individuo che ha il solo scopo di comunicare una informazione ad un altro individuo. E questa è una classica spiegazione del concetto di «linguaggio».

Una logica conseguenza di questa affermazione risiede nel fatto che la vita intesa senza un linguaggio sarebbe inconcepibile. E’ indispensabile all’uomo, così come agli animali, il poter comunicare tra di loro e per questa ragione si potrebbe quasi dire che quello del linguaggio è più un problema che interessa la psicologia piuttosto che la filosofia, almeno se lo si considera sotto questo punto di vista.

Infatti gli psicologi hanno, spesso e volentieri, posto la loro attenzione al problema del linguaggio e, se poi la loro attenzione si è rivolta in particolare allo studio dei disturbi del linguaggio, essi sono riusciti a fornire una sorta di schema sullo sviluppo del linguaggio umano.

Essi affermano che nell’animale il bisogno di comunicare è più che altro legato ad un istinto e, per questa ragione, il linguaggio è connaturato; nell’uomo, diversamente, il linguaggio subisce una sorta di sviluppo, ha nel tempo una certa evoluzione, esso viene appreso nel corso della crescita dell’individuo e, addirittura, di tutta la specie umana.

La prima fase di questa evoluzione del linguaggio è legata allo sviluppo fonetico; voi sapete che il bambino appena nato non è in grado di pronunciare fonemi, e devono passare più o meno tre anni prima che questa sua capacità sia completa. E questo può essere comparato al linguaggio semplice, elementare dell’uomo «primitivo».

La seconda fase è identificabile con lo sviluppo morfologico, e con sviluppo morfologico si intende l’acquisizione della struttura di una lingua, l’apprendimento delle leggi grammaticali e del periodare di una lingua particolare.
Una persona che, ad esempio, non ha avuto la possibilità di studiare, quindi di apprendere i principi fondamentali di una lingua, “non sa parlare”, si esprime in modo confuso, illogico a volte, riesce poi in seguito a modificarsi ascoltando chi sa parlare, traendo dall’ascolto l’acquisizione di quelle leggi che non ha potuto imparare a suo tempo.

La terza fase, infine, è assimilabile allo sviluppo semantico, che riguarda specificatamente l’acquisizione del significato delle parole.
Un bambino verso i quattro anni di età, possiede un vocabolario già abbastanza fornito che egli usa nel corso delle sue comunicazioni verbali con una certa proprietà; egli, infatti, sa dire frasi semplici ma che riescono ad esprimere correttamente quello che sta pensando, ciò di cui ha bisogno, quello che prova in un particolare momento, tuttavia possiede anche la conoscenza – badate bene: la conoscenza e non la comprensione – di altri termini che ben difficilmente usa poiché non ne conosce il significato e rischierebbe di non farsi comprendere, tanto è vero che quando le usa, lo fa evidentemente a sproposito.
Un uomo di vent’anni, invece, possiede un vocabolario molto più ampio che sa usare con proprietà, riuscendo anche a fare una scelta sull’uso di parole simili relativamente a situazioni particolari che necessitano di una sfumatura diversa di un determinato codice.

Questo sviluppo del linguaggio, saggiamente suddiviso in tre momenti fondamentali, può essere benissimo rapportato all’evoluzione dell’individuo e della razza cui egli appartiene, quindi a tutta la specie umana.

Se voi osservate, ad esempio, il linguaggio usato dai vostri avi nel corso del secolo scorso – questo per non andare troppo lontano – vedrete che il linguaggio ha subito delle modificazioni e non soltanto a livello morfologico (la costruzione delle frasi, all’epoca, era molto più complessa, più retorica, più gonfia, mentre oggi si tende a dire l’essenziale senza troppi rigiri di parole), ma anche nella qualità dei termini usati: rispetto al secolo scorso – per esempio – sono stati coniati dei neologismi per esprimere concetti, o dare nomi a cose che a quei tempi o erano inesistenti o erano inavvicinabili; le stesse «parolacce», si sono modificate e, addirittura, alcune che, all’epoca, avrebbero fatto inorridire i gentiluomini e le nobildonne, attualmente sono divenute parole comuni e sinonimi di altri termini già esistenti.

Il linguaggio, evidentemente, segue l’evoluzione dell’individuo e si adegua ad esso. L’osservare dunque lo sviluppo del linguaggio in un bambino può essere indicativo dello sviluppo del modo di parlare della Razza.

L’uomo «primitivo», così come il bambino piccolo, tendeva ad esprimersi soprattutto attraverso suoni semplici, monosillabici, e attribuiva alla mimica, e al linguaggio «gestuale» molta più importanza di quanto si tenda a fare attualmente.
In seguito venne avvertita l’esigenza di dare una struttura alle poche parole che venivano pronunciate e venne così data origine ad una «lingua» con le sue regole, i suoi principi da seguire ed applicare. Questo fatto, alla lunga, poiché si tendeva a rendere sempre più raffinata e perfetta la lingua, cominciò ad appesantire il modo di parlare.
La tendenza attuale, invece, come si diceva prima, è quella di snellire il linguaggio, di renderlo più fluido, comprensibile, vivace e «giovane», in modo che tutti possano comprendere e tutti abbiano la possibilità di farsi capire dagli altri.

Così il «linguaggio» segue i bisogni dell’individuo.
Prendendo in considerazione soltanto le tre fasi evidenziate dagli psicologi vediamo in esse raffigurati i tre momenti fondamentali dell’evoluzione.

La prima fase (fonetica) corrisponde al primo apparire dell’individuo uomo nel piano fisico; egli esperisce per riuscire a stabilire qual è il suo ruolo in quel mondo che lo circonda;
la seconda fase (morfologica) rappresenta l’individuo che ha preso coscienza del suo essere, della sua realtà (anche se apparente) e tende ad organizzarsi in un qualcosa che sappia esprimere il suo stato interiore;
la terza fase (che è molto vicina alla fase della comprensione) corrisponde all’individuo di media evoluzione che non è più attaccato alla forma delle cose, che è consapevole di ciò che veramente conta, che ama la precisione ma non l’esteriorità, che tende ad essere chiaro con se stesso e con tutti gli altri.

Si può quasi dire che un «linguaggio», una «lingua» siano la spia del livello evolutivo non soltanto di un individuo ma addirittura della specie cui l’individuo appartiene. Vito


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catia belacchi

Il post è chiaro. Grazie alle Guide.

Anna

Interessante. La conferma che qualsiasi espressione dell’umano parla di lui identificandolo
Grazie

Nadia

Come non pensare ai giovani di oggi, ultima razza incarnata, e alla loro nuova modalità di comunicazione via smartphone. Linguaggio 2.0…interessante riflessione. Grazie.

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