La sofferenza: reattività dei corpi a una incomprensione [A202-sdc26]

Ma cerchiamo di vedere come si riflette nella pratica quanto fin qui ho cercato di suggerirvi, partendo dall’osservazione di un vostro generico senso di colpa.

Abbiamo visto che, inevitabilmente, a mano a mano che le sfumature del vostro sentire trovano la loro giusta collocazione all’interno del vostro corpo della coscienza e che vengono a strutturarsi i nuovi percorsi e collegamenti con il vostro sentire, il vostro senso di colpa subisce una trasformazione rispetto alla percezione che ne ha l’individuo incarnato, a mano a mano che arriva sempre più alla portata della sua consapevolezza.

A questo punto, per voi che vi state osservando e, di conseguenza per il vostro Io, il senso di colpa che crea nuclei di vibrazioni perturbate nella vostra interiorità diventa un mezzo per risalire a quella che è la vera causa della sua esistenza, ovvero l’incomprensione che sta alla sua base e dalla quale, come abbiamo sottolineato a più riprese, è stato generato.

Inevitabilmente l’Io (perché questa è una delle sue caratteristiche costante e di base nel suo confrontarsi con la realtà) cercherà di frapporre delle barriere alla transizione del senso di colpa dallo stato di inconscio a quello di conscio costruendo una miriade di ragionamenti tendenti ad attribuire la causa della sua sofferenza non a una sua deficitaria comprensione ma, solitamente, all’opera di elementi esterni a se stesso, in maniera da nascondere ai suoi stessi occhi la sua parte di responsabilità in ciò che lo sta turbando.

È a questo punto che è possibile all’individuo intervenire sull’intero processo vigilando affinché la razionalizzazione messa in atto dall’Io sia il più obiettiva possibile e non si limiti a cercare solamente all’esterno le cause della sofferenza che avverte mantenendogli attiva e sempre presente l’ipotesi alternativa che le possibili cause di tale sofferenza possano anche essere individuate in dinamiche a esso interne.

Se la razionalizzazione che compirete sarà logica e il vostro rapporto interno/esterno sarà interpretato correttamente, l’Io non potrà che finire con l’accettarlo in quanto sarà una sua componente (il corpo mentale) che gli avrà posto dinnanzi una più completa gamma di possibilità di cui tenere conto. 

Già l’arrivare a questo punto porterà l’Io ad avvertire una diminuzione delle tensioni interiori e, quindi, un allentamento della sofferenza, e questo costituirà una spinta, una motivazione in più per continuare in quel percorso, dal momento che, non dimentichiamolo, l’intento dell’Io è e continua a essere quello di non soffrire dal momento che ogni sofferenza che avverte risuona come un campanello d’allarme per la sua stabilità e per la coerenza della sua immagine all’interno della realtà – per quanto essa possa essere soggettiva – in cui si trova a operare.

Immagino che più di uno tra di voi osserverà che per poter arrivare a questo snodo della situazione diventa estremamente necessario adoperare quell’elemento che sappiamo essenziale per una corretta osservazione di se stessi, ovvero la sincerità con se stessi, e che l’Io, invece, a causa dei suoi bisogni di espansione e di pretesa centralità all’interno della sua realtà soggettiva certamente farà di tutto affinché la sincerità non venga messa in atto in quanto avvertita come un possibile fattore di grave destabilizzazione.

Questo può anche essere considerato vero, tuttavia non dimentichiamo un fattore centrale in questa nostra analisi, ovvero il fatto che, in realtà, l’Io non esiste e che la percezione della sua esistenza è illusoriamente basata sugli effetti che l’individuo osserva nel suo rapporto con ciò che gli è esterno: l’Io, infatti, non è un’entità reale, ma un’entità fittizia che sembra illusoriamente prendere corpo sulla base della reattività che le componenti dell’individuo ha nei confronti degli accadimenti della sua vita.

In altre parole, il fatto che l’individuo incarnato reagisca di fronte alla sofferenza che avverte non è, come potrebbe sembrare, un indizio dell’esistenza dell’Io al suo interno, ma solo la prova che egli, nella sua totalità, ha delle reazioni modulate dalla qualità e dalla composizione dei corpi che adopera nel corso di quell’esistenza, fattore, questo, che non dà vita reale all’Io ma soltanto rende palesi le reattività dell’individuo incarnato nei confronti delle esperienze che gli si parano davanti.

Come abbiamo notato a più riprese nel tempo, l’Io cerca costantemente di evitare la sofferenza, e questo diventa uno stimolo per spingere l’individuo a eliminare la causa di tale sofferenza. Ma, se teniamo presente che l’Io, di per se stesso, non esiste come entità reale ma è soltanto una risposta reattiva dei corpi inferiori dell’individuo, tutta la questione acquista una nuova visuale e anche il concetto di sofferenza acquisisce una prospettiva differente.

Sofferenza e incomprensione, infatti, si rivelano essere strettamente interdipendenti dal momento che l’una è diretta conseguenza dell’altra: l’incomprensione è la genesi della sofferenza e la sofferenza è la risposta reattiva dei corpi inferiori (e quindi dell’Io) a essa.

Questo ragionamento, come mi sembra che appaia evidente, sposta l’intera questione al di là della sfera dell’Io, riportandola a contatto con quello che è il vero nucleo del processo che porta alla formazione del senso di colpa, nucleo che è posizionabile, ovviamente, all’interno del corpo della coscienza dell’individuo.

Resta, come anello di congiunzione tra incomprensione e sofferenza, la spinta verso l’annullamento di quest’ultima, annullamento che – mi sembra quasi inutile sottolinearlo ancora – può avvenire solamente nel momento in cui non la sofferenza ma l’incomprensione viene risolta positivamente.

Fatte queste considerazioni mi sembra che tutti gli elementi in gioco siano chiari e che risultino anche abbastanza comprensibili i meccanismi messi in atto e il ruolo che l’individuo incarnato può assumere attivamente all’interno dell’intero processo di risoluzione del senso di colpa, ovvero quello di adoperare le componenti del suo Io (ma forse, per chiarezza e per una vostra migliore comprensione potremo parlare non genericamente di Io bensì delle reazioni dei suoi corpi inferiori) per collegare tra loro le varie reattività, alimentando (e facilitando, ndr) il percorso vibrazionale fisico/akasico che conduce all’acquisizione di quegli elementi che risultano utili all’ampliamento della comprensione (e, di conseguenza, del sentire) all’interno del corpo della coscienza dell’individuo.

Immagino che, magari, vi avrò un po’ perso per strada e che vi sembrerà che la tanto promessa “pratica” alla fine sia sfociata ancora una volta nella “teoria”. D’altra parte spero che vi rendiate conto che dissociare pratica e teoria risulta, in questo ambito, praticamente impossibile: se non si conoscono le meccaniche che portano alla formazione dei sensi di colpa e non si individuano quali sono le componenti che inducono le conseguenze collaterali della loro presenza all’interno dell’individuo, risulta difficile anche al più benintenzionato osservatore di se stesso cercare di operare attivamente per essere meno in balia della sofferenza, se non muovendosi a caso tra le sue molteplici dinamiche interiori, col rischio di complicare ancora di più la sua situazione interna. Vito

Ciclo sul senso di colpa

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