È molto facile porsi nello stato d’animo che scarica la responsabilità di quello che accade sulle altre persone, riuscendo bellamente ad evitare di trovare anche soltanto il più piccolo perché che riguarda se stessi!
Siete maestri in questo, così come lo fummo noi ai nostri tempi! Eppure, noi veniamo, siamo qua, proprio per rendervi attenti e consapevoli che questo atteggiamento nei confronti della vita e delle esperienze che vivete è sbagliato.
Voi vivete essenzialmente per portare avanti la vostra comprensione, la vostra evoluzione, per far sì che nel vostro corpo della coscienza il “sentire” si ampli e voi comprendiate sempre di più per arrivare, alla fine, a uscire dalla ruota delle nascite e delle morti. E, per far questo, dovete anche abituarvi – noi ve lo diciamo sempre – a osservare tutto ciò che riguarda voi stessi.
Sì, sappiamo che il “conosci te stesso” tutti ormai lo avete sulla punta delle dita; tutti, a livello mentale, lo conoscete benissimo; anzi, appena potete lo ripetete agli altri per far vedere che, bravi, avete capito quello che diciamo.
Ma, vedete, la “conoscenza” è soltanto un primo passo nella direzione giusta, è uno strumento molto utile per crearsi tutti gli appigli per poter arrivare poi a comprendere; ma è proprio la conoscenza quella che vi porta la prima fase di sofferenza in quanto, se arrivate a “conoscere” quello che è un vostro problema, non restate insensibili a questa conoscenza, anzi, il più delle volte cosa fate? Chiudete gli occhi e cercate di evitarlo e di far finta di non averlo riconosciuto; ma – ahimè – quel guastafeste del corpo akasico non vi permette di farlo veramente e, dentro di voi, continua ad inviare rintocchi di campane provenienti dai famosi archetipi che smuovono le vostre energie nella direzione dell’esperienza che vi può, comunque, ancora mettere di fronte all’evidenza della realtà, fino a quando voi non potrete fare a meno di vedere quello che non volete.
La conoscenza, quindi, non è mai priva di sofferenza. Voi avete un problema, ed ecco che “conoscete”, vi rendete conto dell’esistenza di questo problema, che può, ad esempio, essere dovuto ad un rapporto con le altre persone.
In questo rapporto voi vi rendete conto che c’è qualche cosa che non va; prendete coscienza, conoscenza, del fatto che vi è qualche problema.
La prima reazione – quella dell’Io, come sapete benissimo – è quella di dire: “È colpa dell’altro, che …”.
Noi vi diciamo: può anche essere vero, ma non sapete il perché dell’altro; conoscendo l’altro, col tempo, potrete illudervi di riuscire a capire il suo perché, ma non potrete mai essere sicuri di aver compreso quale esso sia.
Quello che potete invece capire – senza dubbio, perché vi appartiene – è “il vostro” perché.
Smettete di guardare quello che fa l’altro e guardate quello che fate voi; perché, nel momento in cui voi comprenderete il vostro perché, passerete dalla “conoscenza” alla “consapevolezza” del problema e alla sua “comprensione”, ed ecco che il rapporto con l’altra persona cambierà; o, quantomeno, se resterà lo stesso, voi ne subirete minori conseguenze e quindi soffrirete di meno.
Questo significa che il passaggio dalla conoscenza alla comprensione è un passaggio che è intriso, necessariamente – in virtù di reazioni intrinseche all’evoluzione di ognuno di voi – di sofferenza.
La sofferenza, però – a vostra consolazione – andrà dalla sofferenza maggiore del prendere coscienza del problema, che comporta lo sforzo più forte, alla sofferenza che si andrà via via attenuando fino a quando arriverà la comprensione.
In quel momento, quel tipo di problema per voi non sarà più tale, non vi sarà più sofferenza e potrete avere il vostro rapporto con l’altra persona indipendentemente da come essa ha il rapporto con voi. (Scifo)
Proprio stamattina riflettevo su una mia difficoltà nella gestione di un rapporto e nella cristallizzazione in cui cado ogni volta….il post giunge a proposito….grazie!
Se ne parlava all’Intensivo del momento in cui si vede qlc di sé e il conseguente lavoro da fare.
Mano a mano che le comprensioni si fanno strada l’orizzonte si allarga e al setaccio giunge nuovo materiale da lavorare.
Sembra una condanna e dici ‘no, anche questo?’, ma il tracciato è segnato, la Coscienza incalza e il lavoro è da fare.
Senza essere eroi o combattenti si mette il pezzo sulla morsa, si prende la lima e il lavoro continua.
La mia personale percezione è di fatica, a volte di grande fatica. Da conciliare con le beghe del lavoro.
Oggi, all’indomani dell’Intensivo questa sensazione è molto forte, sento che per me così non funziona. E’ come stare sott’acqua, tutto è rallentato. La frequenza è ancora molto alta. Staccare i piedi dal bordo dell’abisso e destinare le energie rimaste a quell’arte nel rimanere sospesi e come conciliarlo con le varie paure?, quella di non poter più far fronte alla ‘macchina’ messa in moto e ora troppo ingombrante e troppo esigente di soldi e di forze?
Devo smaltire, mettere a registro un altro ritmo perché così non va. Sono 16 anni che lo vedo, che lo sento, forse è ora di fare qualcosa, forse una maggiore stabilità che vivo negli ultimi 5 anni inizia a creare le condizioni perché si concretizzi.
Occorre coraggio e una certa dose di follia per vivere nel pieno della potenzialità che ci è stata donata. Non si può lasciarla ammuffire quando si è scoperto di averla nello zaino, dobbiamo onorarla e forse nascerà quell’anelito insopprimibile a condivedere che fa rimanere.
Qualcosa che ha a che fare con l’Amore.
Anche per me il post giunge nel momento opportuno, come chi ha partecipato all’Intensivo di Fonte Avellana dei giorni scorsi può ben comprendere. Dal momento che la genesi della sofferenza prospettata dal messaggio mi risulta esperienza vivida, mi risuona l’annuncio consolatorio della progressiva attenuazione della stessa, con lo sprone ad accelerare il processo di conoscenza – consapevolezza e comprensione
Molto stimolante, grazie
Preciso! Grazie.
Come negare che almeno di primo acchito si tende a incolpare l’altro? Continuare a farlo invece è un po’ più difficile, a meno di non volersela raccontare spudoratamente. Ma l’accettazione del proprio limite è comunque un processo non facile, proprio perché non esente da sofferenza.