Kali osservava Ozh-en che, incarnato in una pulce, succhiava il sangue del gatto che gli faceva da ospite e, ai suoi occhi di dea, la pulce manifestava il suo pensiero.
“Ah, che vita noiosa – pensava la pulce – un sorsino di sangue, una camminata in mezzo ai peli, costretta a seguire questo animale pulcioso per non morire di fame, limitata nei miei orizzonti dalla foresta di questi pelacci e dagli spostamenti di questo bestione che però, almeno, è più libero di me! Ah, se fossi lui!” sospirava.
Presa da un insolito momento di tenerezza Kali diede un bruciante pizzicotto sul posteriore del gatto che si voltò irritato e prese a rosicchiarsi il pelo per eliminare il fastidio, riuscendo solo a schiacciare tra i denti Ozh-en.
Kali osservò il suo discepolo, “finalmente contento” pensava, mentre conduceva la sua vita da gatto.
“Così non può andare avanti – pensava il gatto – io ho sempre fame ma, se voglio non avere la pancia perennemente vuota, devo darmi da fare per acchiappare topi. Che, oltretutto, hanno un sapore schifoso!
Vuoi mettere la bella vita che fa il bue: non solo è sempre a stretto contatto con l’uomo, ma questo gli procura l’erba più tenera d’estate e il fieno più croccante d’inverno!”
Kali meditò un attimo – giusto il tempo che il gatto fosse alla fine dei suoi giorni – se era il caso di arrabbiarsi, poi fu distratta da un’ape che passava e quando riportò lo sguardo su Ozh-en, senza neppure accorgersene aveva esaudito il suo desiderio e ora procedeva placido in mezzo ai campi tirando l’aratro.
Scrollando le sue molte spalle con noncuranza riportò l’attenzione su di lui.
“Bel tipo quest’uomo, – stava brontolando il bue – lui se ne sta seduto tutto il giorno, con il suo bel cappello che lo ripara dal sole mentre io lavoro come un mulo portandolo su e giù per i campi con l’aratro che mi fa schizzare la terra sulle zampe posteriori dandomi un prurito insopportabile. Se non fossi un bue vorrei proprio essere un uomo!”
Nel paese c’era la peste polmonare, e questo aveva messo così di buon umore la dea che fece mordere il bue da un topo infetto e, appena Ozh-en morì, lo fece rinascere in un uomo.
“Sono troppo permissiva con lui” si disse rimproverandosi bonariamente Kali, così assorta da non rendersi conto di aver dimenticato di nascondersi agli occhi di Ozh-en.
“Ecco lì il massimo dei massimi! – esclamò tra sé alla sua vista Ozh-en – Se fossi Kali potrei fare e disfare, avere e distruggere, apparire e sparire…”
Kali corse via il più velocemente possibile dicendo tra sé e sé che questo no, non avrebbe potuto proprio concederglielo! Ananda e Billy
Vedo il tuo desiderio di essere felice, figlio e fratello, e in esso riconosco intatto lo stesso desiderio che ha fatto parte del mio passaggio nel mondo materiale.
Io ho cercato la felicità nel sentirmi più forte degli altri, ma la mia forza si è sempre dimostrata fragile come il vetro allorquando mi sono disposto a osservare me stesso.
Io ho cercato la felicità nel sentirmi più grande degli altri uomini, fregiandomi di titoli, corone, appellativi altisonanti e ogni genere di orpelli che mi potesse distinguere dagli altri, ma ho dovuto abbandonare questa mia illusione di grandezza nel momento stesso in cui mi sono riconosciuto nella morte.
Letture per l’interiore: ogni giorno, una lettura spirituale breve del Cerchio Ifior e del Cerchio Firenze 77, su Whatsapp.
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Io ho cercato la felicità nel possedere, convinto che chi possiede di più vale di più, ma questa mia felicità si è dissolta come neve al sole nell’attimo in cui ho capito che neanche il bene più prezioso che possedevo poteva darmi quella piccola goccia d’amore che mi serviva per rendere meno vuota la mia solitudine.
Io ho cercato la felicità nell’appagamento della mente, facendo di me stesso un divoratore di parole e di conoscenze, ma venne il giorno in cui la mia felicità si infranse miseramente nell’accorgermi che la mia sapienza era sterile se non poteva essere condivisa.
Io ho cercato la felicità nella religione, riempiendo i miei giorni e le mie notti di rituali ossessivi, di tecniche spirituali volte al raggiungimento di Lui, ma anche questa felicità durò soltanto fino a quando mi resi conto che per conoscere Lui dovevo prima conoscere me e che nulla, invece, di me conoscevo.
Allora ho maledetto la felicità, negando tutto ciò che avevo fatto in precedenza, rifiutando ogni avere, diventando un relitto senza meta, facendo dell’ignoranza il mio vessillo e della bestemmia la mia spada, lasciando agli altri la speranza di essere felici.
Infine ho dimenticato l’esistenza della felicità, ed essa è venuta, briciola dopo briciola, mentre, lentamente e spesso dolorosamente, svelavo il mistero che io ero per me stesso.
E allora
ho danzato con la mia gioia interiore,
ho cantato la bellezza del mondo,
ho sognato splendidi sogni nell’azzurro del cielo,
ho salutato Dio in una goccia di pioggia,
ho posseduto l’amore per gli altri,
mi sono sentito umilmente grande di fronte al mare,
forte davanti alle avversità,
tenero di fronte ai tormenti degli altri.
E nulla, neppure la morte, ha più turbato la mia felicità. Rodolfo
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Quando finalmente scorgo il Reale, trovo la gioia.
Il cammino verso la ricerca della felicità
Non c’è nulla da cercare, è tutto già qui.
La cosa più preziosa è esserne consapevoli!
Benedetto sia anche il cercare altro per la sua funzione.
Per lungo tempo, e ancora oggi in qualche misura ridotta, ho cercato (anche compulsiva mente) altro e dico grazie a quesa spinta.
Come una necessità di ricerca, un’inquietudine, un sentire stretta la propria pelle per poi viverla come Casa.
Grazie a chi in fronte a me teneva la lanterna alla cui luce ho sentite la direzione.
Nel conoscere sé stesso si trova pace e serenità e comprendi il reale.
Quando hai speso la tua vita a cercare di conoscere te stesso, e vivi nell interiore ti accorgi che non c’è meta da raggiungere, neanche la felicità perché tutto ciò che capita è per te, senza colorazione.
“Essere per se stessi”
Quella pace interiore, quel sentirsi a posto con se stessi, forse questo puo’ essere definito felicita’.
Vi e’ la consapevolezza al contempo che quello stato non puo’ essere continuo: se cosi fosse non avremmo i presupposti per progredire nel cammino di comprensione.
Questa la condizione umana che siamo chiamati ad abbracciare
A volte, quando nulla manca, sono contenta e tutto sembra essere al proprio posto.
Per buona parte mossi da insoddisfazione o meglio inquietudine, è qui descritto il cammino di ognuno…
Svelare il mistero che uno è per sé stesso.
In quale modo?
Sorretti da quali comprensioni, da quale sentire?
Probabilmente tutto giunge a maturazione quando è la sua stagione.
Da pulce ai vari livelli di evoluzione umana l’accesso alla felicità e la profondità di questa penso sia legato al livello di consapevolezza e di sentire raggiunto.
Il modo è per noi ora quello di tornare continuamente alla nostra sorgente interiore non aderendo alle illusioni ed ai racconti della mente.
Per far questo ci è necessaria la pratica meditativa dello zazen e frequentemente portare l’attenzione sulle sensazioni.
Assecondare la spinta che giunge dal nostro interiore: l’inquietudine è il motore del divenire.
Grazie.