D – Se un bambino fa una cosa sbagliata, è giusto che io manifesti la rabbia, in quel caso è controllata, perché capisca che ha fatto una cosa sbagliata.
Certamente.
D – E, quindi, deve avere un rimprovero.
Certamente. Questo è un errore che tutti voi fate con i vostri figli, perché cercate di non fargli vedere la vostra rabbia, invece dovreste metterli di fronte alle vostre reazioni rabbiose perché, in quel modo, capiscono e si rendono consapevoli di dove possono essere i loro errori: invece voi avete paura: «Poverini, poi restano traumatizzati, poi se lo ricordano» Certo che se lo ricordano, sarà bene se lo ricordino!
D – Ma anche di fronte a una discussione nella coppia, è giusto che tiri fuori la mia rabbia per farmi ascoltare, per farmi capire, per chiarire la situazione del momento.
Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ricordiamoci che, essendoci due persone coinvolte, la cosa diventa doppiamente complicata per non dire quintuplicamente duplicata – perché chiaramente i fattori aumentano in maniera esponenziale essendo due persone, e quindi da un caso all’altro il modo di reagire giusto è difficile definirlo. Giusto per te? Giusto per lui? Giusto per la società? Giusto per la famiglia? Giusto per i figli?
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Diciamo che, certamente, se c’è una rabbia nei confronti di un’altra persona, sia un compagno o una compagna, o un amico, o chiunque vogliate, sarebbe giusto, comunque sia, riuscire a esprimerla; a esprimerla magari nella maniera migliore, ma questo riuscirete a farlo soltanto quando avrete incominciato a capire una parte della vostra rabbia.
All’inizio, se voi vedete le vostre prime incarnazioni, usciva semplicemente come picco reattivo, e ne son sempre successe di tutti i colori! Quello che fate adesso, che magari vi spaventa, è niente in confronto a quello che avete fatto in passato di fronte alle vostre esplosioni di rabbia!
D – Gli esempi fatti finora sono rapporti tra singoli; ma quando invece il rapporto è con molti, nel mio caso è la classe, l’uso della rabbia per dimostrare dissenso col comportamento dei ragazzi, a questo punto la questione diventa complessa, nel senso che la manifestazione del mio dissenso nei confronti dei ragazzi perde lo scopo pedagogico, o no?
Diciamo che, in questo caso particolare, la rabbia deve avere la funzione – come dicevi tu – pedagogica, dimostrare ai ragazzi quello che stanno facendo, attraverso la tua reazione. L’importante è che si tratti di una rabbia «consapevole e governata» secondo le proprie finalità, non un’esplosione di rabbia fine a se stessa.
D – Esatto, ma il problema è qual è allora la manifestazione di questa rabbia? Cioè, la nota sul registro (per fare l’esempio classico)…
Purtroppo la manifestazione in un ambito scolastico non può essere che quella di usare le regole che permettono di esprimere la rabbia, quindi le punizioni, purtroppo.
D – È sbagliato?
Non è sbagliato.
D – Il problema è che, appunto, i ragazzi sono arrabbiati perché devono venire a scuola. Ecco, chiaramente questo, a seconda degli anni, perché più son piccoli e più questa manifestazione verso l’esterno è palese, più son grandi e più viene dissimulata ovviamente in altre modalità.
Forse la cosa migliore sarebbe fargli vedere che anche tu sei arrabbiato perché devi andare a scuola, che se potessi faresti cose che ti piacciono di più!
Però, capisci, caro, in fase adolescenziale, qual è l’adolescente che non è arrabbiato? Chiedetelo al nostro amico A.: lui sembra sempre così sereno, pacifico e sorridente, ma dentro, quante volte sei arrabbiato e non lo manifesti?
Appunto! È proprio una condizione «di crociera» di quell’età!
D – Indubbiamente, comunque, c’è il problema che questa cosa deve essere in qualche modo disciplinata; sì, va bene, ma fino a un certo punto…
Certo, bisogna riuscire a mostrargli delle regole, dei limiti, dei paletti oltre ai quali è giusto non andare prima di fare qualche cosa di cui poi ci si pentirebbe magari per tutta la vita!
D – Per indurre nell’individuo un calo di questo famoso picco; perché, probabilmente, l’incontrarsi di due emozioni forti (una la rabbia e d’altra parte la paura) provoca probabilmente l’annullamento di entrambi, però sul momento; poi è chiaro che queste cose sono un po’ un vulcano, si rimescolano all’interno.
Teoricamente può essere vero il discorso delle due emozioni che si contrastano, ma il più delle volte non è che le due emozioni si contrastano ma si uniscono e, in qualche maniera, pur abbassando il tenore di una poi aumenta quello dell’altra. E allora cosa accade? Che la paura limita certamente la rabbia che stava per esplodere, però più che limitarla la inibisce. E la inibisce quando? Quando c’è la persona che ha provocato la paura.
Nel momento in cui la persona non è più presente, ecco che succede che la rabbia viene di nuovo fuori e si manifesta in quei comportamenti che mi sembra che ultimamente stiano succedendo molto spesso, di bambini picchiati o ricattati e via dicendo; ma quelle sono tutte reazioni di rabbia a quello che questi ragazzi stanno vivendo e che manifestano attraverso il bullismo con comportamenti di questo tipo, quando le persone che incutono paura non sono presenti.
D – Sì, indubbiamente; tant’è che cambia a seconda dell’insegnante; nel senso che l’insegnante che fa più paura perché la materia comunque è più importante, rispetto all’insegnante che fa meno paura perché magari la sua materia ha meno peso.
Certo che, teoricamente, l’insegnante – mettendo in moto questi meccanismi di paura – ha la classe più sotto controllo e ha meno problemi; però forse non è quella la funzione dell’insegnante, quella di avere meno problemi lui, la funzione è quella di cercare di aiutare i ragazzi a capire, a conoscere, a studiare e avere loro meno problemi; perché sono loro quelli che hanno bisogno di aiuto.
D – Il problema appunto è che comunque loro una valvola di sfogo la cercano e chiaramente la utilizzano dove sanno che possono in qualche modo poterlo fare. Capisco che uno possa svolgere la funzione sociale anche in questo senso, però nella dinamica complessiva, se le valvole di sfogo son troppo poche, lo sfogo diventa eccessivamente violento e a quel punto poi diventa un problema per tutti, anche per loro stessi, perché poi si fanno male anche fra di loro.
Certo, sarebbe bene che si facesse, ad esempio nelle scuole più attività fisica, in modo tale che le energie, i picchi, siano più facilmente “spandibili” all’interno della propria vita, dai ragazzi; invece l’attività fisica è molto poco presa in considerazione nel vostro sistema scolastico attuale.
Non c’è la giusta consapevolezza che molta parte dei problemi esiste perché gli adolescenti hanno questi picchi di energia che originano da tantissimi elementi: la sessualità, l’affettività, il desiderio di staccarsi dalla famiglia, la voglia di fare cose diverse, la curiosità; probabilmente sarebbero molto più facilmente governabili se le energie dei ragazzi venissero in qualche maniera incanalate anche in altre direzioni, se fosse loro permesso di uscire, di essere espresse anche in altre direzioni e, quindi, diminuendo un po’ alla volta tutti i picchi interiori delle loro scelte.
D – Ci affiancano gli psicologi, ma quello…
Sì, va be’, ma poi ci vorrebbe qualche cosa di diverso di uno psicologo che viene una volta ogni tanto, a cui non gliene frega niente, fra l’altro, di quel tipo di lavoro, ma lo fa soltanto per arrotondare le entrate, magari.
D – Sì, il problema è che ci vorrebbe un insegnante per ogni allievo, in una situazione di questo tipo qua…
Questa, purtroppo, è la scolarizzazione di massa. Se voi pensate agli antichi romani e agli antichi greci, questo l’avevano capito e tendevano ad avere giusto un insegnante per ogni studente, o per un piccolo gruppetto di studenti. E difatti fiorivano i filosofi, fiorivano i matematici. Adesso fioriscono i «punk», che non sono proprio la stessa cosa, perdonatemi!
D – Sul discorso del movimento fisico, io l’ho voluto sperimentare anche su di me ed effettivamente può essere un nuovo modo per gestire la tensione, o rabbia che si vuol chiamare.
È valido per tutti i tipi di picchi, eh!
D – Certo; ma credo che dietro ci sia anche un altro aspetto, al movimento fisico; è il fatto che uno sposta l’attenzione da un’altra parte.
Va bene. Certo.
D – Io ho l’impressione che – almeno, sempre sperimentando sulla mia persona – questo sia un punto cruciale; cioè l’innesco di questo processo, l’aumentare di questa produzione anche a livello fisico di queste sostanze che in qualche modo fanno montare la rabbia, nasce proprio dal fatto che io mi concentro su quel punto e diventa un circolo vizioso. L’esercizio fisico, ma può anche essere qualcos’altro, fa sì che sposto l’attenzione da un’altra parte e inevitabilmente alla fonte io chiudo il rubinetto, per cui è chiaro che il processo in qualche modo si interrompe.
Certamente riuscire a focalizzare l’attenzione su qualche cosa che distoglie dall’esplosione del picco, permette al picco di sciogliersi senza provocare danni; per esempio, bene fa il nostro amico F. a usare le carte per aiutare i bambini problematici, perché distogliere la loro attenzione, fargliela porre sulle carte che lui, con tanto amore, gli presenta, li aiuta non soltanto dal punto di vista cognitivo, di apprendimento o affettivo, ma proprio a spostare l’attenzione da questi stati – verso l’esterno – che non riescono a esprimere e che restano dentro e quindi provocano delle tensioni interiori.
D – Quando un bambino manifesta la sua rabbia buttandosi per terra e delle volte sbattendo la testa sul muro, basterebbe riuscire fargli spostare l’attenzione perché questa reazione diminuisca, senza forzarlo dicendogli: «Stai fermo, guarda che ti fai male».
Ma, le possibilità sono diverse. Una è quella che dici tu, di spostare l’attenzione; una è quella di sederglisi a fianco e dirgli: «Dai, va bene, va avanti, vediamo fino a che punto resisti al dolore, fino a che punto vuoi farti male»; vedrai che, quando sente male davvero, si ferma comunque.
Ma direi che principalmente, per buona parte dei nonni che non potrebbero mai arrivare a vedere se davvero si fa male, forse la cosa migliore, come sempre in questi casi, è quella di cercare di distrarre l’attenzione; anche se, distrai l’attenzione, fermi la situazione, ma non risolvi il problema.
Grazie