La precedenza l’ha sempre la persona che più ha bisogno [A18]

D – L’interscambio tra persone che si interessano di certi problemi, su tutto quello che è il vostro insegnamento, a me certe volte sembra che sia più controproducente che costruttivo, perché va a cozzare contro delle situazioni che non sono ancora pronte per affrontare certi argomenti, certe prospettive, certi valori della vita.

Ma perché, vedi, se affrontate queste discussioni tra di voi senza la nostra presenza è un conto, e se le affrontate – come dicevo prima – alla nostra presenza è un altro conto. Certamente il vostro Io si rende conto che non può mettersi in lotta con Scifo, con Moti o anche soltanto con Gneus, ma sa altrettanto bene, invece, che può mettersi in lotta con uno degli altri componenti o partecipanti alle riunioni.

Ecco, quindi, che se noi non siamo presenti, è facile che l’Io degli altri individui prenda il sopravvento e ognuno cerchi di portare l’acqua al suo mulino, rendendo così più difficoltosa la comunicazione. Basta pensare come sono più semplici e produttive le sedute con poche persone rispetto a quelle con 50-60 persone.

D – Ecco, mentre non pensi, invece, che sia un problema legato proprio al fatto che una persona non pronta per certi argomenti, volente o nolente, in perfetta buonafede, è dirompente; nel senso che svia e che porta un’interpretazione errata, per cui…

Ma, guarda, io sono sempre stato – anche da vivo – dell’idea che, quando una persona si lascia sviare da un’altra, è perché vuole che l’altra la svii! Se veramente una persona crede e sente giusto quello che sente e che crede, nessun’altra persona può farla deflettere dal comportamento. Se deflette, è perché, in realtà, il suo Io pensa che ci sia un utile nel farsi deflettere!

D – Questo senz’altro, ma io intendevo la discussione sviata da quello che sarebbe il suo normale percorso.

Certamente; l’Io cerca sempre di sviare la discussione allorché tocca qualche cosa che lo ferisce o che potrebbe teoricamente ferirlo, secondo lui.

D – Ci vedevo anche la perfetta buonafede di chi, non essendo ancora all’altezza di affrontare un certo argomento, parlandone lo svia. A me piace considerare la diversa evoluzione di noi alle diverse età della vita.

Certamente, però vedi, facci un attimo caso: dalle varie discussioni che ci sono state nei tempi e nei luoghi in tutti questi anni e continuamente, quando una persona non ha ancora le basi dell’insegnamento, quindi magari dice delle sciocchezze, quanti sono quelli che in realtà le spiegano qual è la realtà o le sciocchezze che sta dicendo e perché non dovrebbe dirle? No, la reazione è solitamente un attacco; eppure dovreste essere voi «i grandi» che servono i minimi!

D – Sì ma, per esempio, io penso quando ci sono degli adulti che discutono e c’è il bimbetto che interviene, sposta il discorso su motivi completamente diversi da quelli che stavano affrontando gli adulti, per ovvii motivi. Allora, il discorso portato avanti su quelle basi non ha niente a che vedere con quello che volevano discutere gli adulti. Anche nei confronti tra noi spesso succede questo, a mio avviso, cioè che chi ne parla con una consapevolezza a un certo livello, si deve obbligatoriamente relazionare con chi, invece, avendo una visione più riduttiva, tende a snaturare il discorso stesso che si sta facendo.

Allora tieni conto di una cosa: le persone adulte che sentono un bambino che cerca di sviare quello che stanno dicendo, dovrebbero porsi il problema: «Cos’è più importante per le mie responsabilità? Continuare il discorso che mi interessa o cercare di far capire qualche cosa a quel bambino?»

D – Tutt’e due le cose.

No, assolutamente!

D – Prima si accontenta il bambino e poi si continua il discorso.

La precedenza l’ha sempre la persona che più ha bisogno; e, certamente, tra i bisogni dell’Io che deve discutere qualche cosa di evoluto e i bisogni di un bambino che deve comprendere qualche cosa, chi ha la precedenza non può essere altri che il bambino. Se non è così, significa che l’individuo è ancora ben lontano dalla comprensione.

Questo, rapportato a quello che negli anni e anche ultimamente succede nel Cerchio, significa che nel momento in cui «un bambino del Cerchio» dimostra di non aver compreso qualche cosa, allora deve diventare quella persona la più importante, per chi ha capito; e non usare le difficoltà di quella persona magari per distruggerla psicologicamente, o verbalmente per far vedere quanto si è bravi. Cosa che capita molto spesso, come sai.

D’altra parte, quella del bambino che ha bisogno è un’esperienza utile da accettare perché l’avete fatta e la fate in continuazione, tutti i momenti, con i vostri figli. Quante volte avete ospiti in casa e i bambini si annoiano e incominciano a essere un pochino più noiosi, più scatenati, e li rimproverate, li trattate male, cercate di farli smettere, e continuate a parlare tranquillamente delle cose che vi interessavano? Bene, posso capire che, dopo una giornata di lavoro, magari possa far piacere avere un momento di relax con degli amici, però in quel momento siate consapevoli che vi dimenticate le vostre responsabilità.

D – Certo. In pratica, sfruttare l’esperienza che si presenta per conoscere una parte di se stessi.

L’importante – ripeto – è che, anche se sbagliate, siate consapevoli di stare sbagliando.

D – Mi vengono in mente alcune scene dinamiche durante la scuola, degli adolescenti in particolare – cioè tra l’esigenza dell’adolescente di fare caos e quella di portare avanti un programma, un progetto: è un equilibrio che trovo difficile trovare.

Effettivamente è molto difficile, specialmente in età adolescenziale, dove l’attenzione fluttua velocemente da una cosa all’altra. Forse il punto principale da cui partire è proprio quello di cercare di catturare l’attenzione; e poi su quella costruire eventualmente un rapporto, un percorso formativo o cognitivo.

D – Sì, però – giustamente, come dicevi tu – forse più oggi che un tempo questa attenzione è così volubile, così fluttuante, così precaria che la cattura è qualcosa di un po’ complesso; innanzi tutto perché dovresti catturare l’attenzione di tutti e ognuno ha delle esigenze e delle dinamiche diverse.

Ah, ecco perché io ero sempre stato convinto che la massificazione dell’insegnamento non va bene a nessun livello; era molto meglio, per la possibilità di comprensione, di rapporto e via dicendo quando c’era il famoso tutore che accompagnava pochi bambini alla volta e che poteva quindi seguirli in maniera migliore, avendo uno scambio diverso. Certamente, poi c’erano altre problematiche che attualmente non ci sono più, però certamente il rapporto uno a uno, anche per chi deve insegnare, è molto migliore che il rapporto uno a cento.
Ma nella realtà dei fatti non è possibile questo, nella vostra società.

D – Io vedo che c’è un abisso quando, per qualche circostanza, hai 2-3 persone, per cui si spezza anche tutto il condizionamento del gruppo che comunque impedisce al singolo di esprimersi, perché il singolo si deve adeguare all’andamento del gruppo altrimenti rimane tagliato fuori e questo è un po’ una morte sociale.

Ci sarebbe un’altra questione complessa, che spesso mi pongo, cioè è meglio lasciare una certa libertà di movimento per far sì che comunque l’interazione tra ragazzi faccia il lavoro che deve fare, oppure sarebbe più utile invece una imposizione, sia pure in termini certamente ragionevoli, che permetta in qualche modo di focalizzare l’attenzione su un argomento?

Non si può generalizzare. Sai benissimo che non soltanto ogni individuo, ogni ragazzo, ma ogni gruppetto di ragazzi che si forma ha esigenze e caratteristiche diverse; quindi sta tutto nella sensibilità dell’insegnante riuscire a trovare il giusto equilibrio tra l’imposizione e il lassismo. Certamente costringere i ragazzi a star fermi, a non muoversi, come veniva fatto una volta, non è possibile con le abitudini che hanno nella vostra vita attuale.

In passato, fino anche soltanto al secolo scorso, questo era possibile e non creava neanche grossi danni perché le abitudini degli archetipi sociali dell’epoca erano diverse dalle vostre. Nella vostra epoca, invece, dove tutto è personalizzato, tutto è immagine, tutto è movimento, tutto è attività, è difficile convincere un adolescente a star fermo per lunghi periodi di tempo. Tenete presente sempre questo.

D – È praticamente impossibile, insomma.

Non potete esaminare i ragazzi senza tener conto del contesto sociale in cui vivono, chiaramente.

D – Il problema è che, al di là della mia materia, che permette una certa dinamica in questo senso, è chiaro che se tu devi imparare quel minimo di matematica, quel minimo di italiano, quel minimo di inglese

Ma, guarda, io dico una cosa: le menti dei ragazzi sono delle spugne; se si riuscisse a catturare l’attenzione di un ragazzo per 10 minuti ogni ora di scuola, in quei 10 minuti imparerebbe già tutto quello che avrebbe bisogno di imparare in quell’ora. Gli altri 50 minuti sono superflui, in realtà.

Quindi, bisognerebbe che gli insegnanti non insistessero nel voler fare, per forza, cose pesanti, ripetitive, lunghe e noiose, ma cercassero, veramente, di ottenere 10 minuti di attenzione, in modo tale che quello che quel giorno quei ragazzi devono imparare lo imparino veramente. Però costa fatica, purtroppo, e impegno. Non è che la classe insegnante di oggi sia poi molto dedita alla missione! Esclusi i presenti, ovviamente!

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Leonardo

Non posso che condividere che il ruolo dell’insegnante vada radicalmente rivisto. A mio avviso ci sono anche gli strumenti e le libertà necessarie all’interno del quadro normativo scolastico. Il problema, come al solito, va riferito al singolo: è il singolo insegnante che deve attuare una rivoluzione dentro sé, abbandonare determinati archetipi transitori e aprirsi al nuovo.

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