Cos’è questa paura che avete in continuazione? Pensate un attimo al percorso dell’individuo: l’individuo viene alla luce, nasce con già il suo piccolo abbozzo d’Io, con il suo Io fisico che è già in subbuglio e gli prende la paura, immediatamente!
È forse la prima sensazione, la prima emozione che l’Io avverte nel suo esistere nel mondo fisico: la paura. La paura di aver abbandonato un posto protetto e sicuro per ritrovarsi in qualche cosa di completamente e oscenamente diverso.
Allora, cosa fa? Si guarda in giro (ma il più delle volte non vede) non riesce a capire cosa sta succedendo, perché il suo corpo mentale non è ancora in grado di fargli comprendere la realtà; le sue sensazioni sono ovattate, un po’ come se fosse ancora nel ventre della madre, però contemporaneamente è anche tormentato da questi stimoli di luci, di parole, che sente ripercuotere sul proprio fisico; quel fisico che, contemporaneamente, si agita in maniera un po’ convulsa e ha all’interno una serie di meccanismi che lo disturbano enormemente; e tutto questo cosa fa? Lo spaventa! E allora cosa fa? Piange e urla.
Come vedete, quindi, la paura è l’elemento di partenza di tutta la vostra esistenza; ma, chissà, forse è l’elemento costante, uno dei pochi elementi costanti della vostra vita? Ci avete mai pensato a questo, creature? Quanta importanza ha avuto nel corso della vostra vita la sensazione della «paura di vivere»? Voi andate a scuola e avete paura di essere interrogati… Perché dovete aver paura? Cosa vi può succedere?
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D – Di avere un brutto voto.
Ma se avete fatto quello che dovevate fare, il voto non sarà mai brutto; quindi la paura è soltanto un senso di colpa, è soltanto un modo per mascherare la propria inefficienza, la propria incapacità di assolvere ciò che è stato chiesto di fare all’individuo?
Potrebbe essere; potrebbe essere un’ipotesi. Però, non può essere così semplice. Il neonato si mette a urlare perché ha paura di non ricevere più niente da mangiare (gli hanno tagliato i tubi, per forza!) e continuerà a piangere, a urlare, ad aver paura fino a quando non riceverà il suo latte. Non può essere la stessa situazione del ragazzino che ha paura dell’interrogazione. Non può ancora avere sensi di colpa, il bambino appena nato, eppure la paura c’è e continua a esserci.
La persona si innamora, si innamora di un’altra persona e viene il momento in cui, nella maggior parte dei casi, si incomincia a pensare se non sia il caso di unire due destini, e anche qua arriva la paura. Come la giustificate questa paura?
Paura dell’Io di essere inadeguato alla situazione che si presenterà. Paura dell’Io di perdere quello che pensa di avere. Paura dell’Io di dover cambiare la propria immagine…
Andando ancora più avanti, si arriva al culmine dell’esistenza dell’individuo, al momento agli antipodi di quello della nascita, ed ecco che s’avvicina il momento dell’abbandono del piano fisico e, ancora una volta, ecco che qua arriva la paura, per tutti; non credete a chi dice «non ho paura di morire» perché non è vero! Certo, uno può anche convincersi che sia così; però, solitamente, ne è convinto fino a quando sa che non sta morendo! Nel momento in cui comincia a sentire, a subodorare che forse il momento è più vicino di quanto pensasse, ecco il groppo nello stomaco, la tensione e la paura! La paura di cosa?
D – Del dolore fisico. Che forse di là non c’è niente. La paura di affrontare l’ignoto. Di lasciare ciò che si conosce.
Vedete, tutte queste risposte che avete dato sono tutte vere. Questo, se ci pensate bene – in base a questo breve excursus che abbiamo fatto, che poteva essere molto più complicato ma non mi sembrava il caso – vi mostra come la paura, in realtà, nel corso dell’arco della vita dell’individuo sia andata sempre più frazionandosi e diventando sempre più complessa con l’aggiunta di nuovi elementi, al punto tale che – come avete dimostrato voi stessi un attimo fa – quando, arrivati alla fine della vita, la paura non è più un elemento o due elementi, ma un insieme enorme di elementi che porta a condizionare l’Io ad avere queste paure.
Voi non avete messo i sensi di colpa, il senso d’inadeguatezza rispetto alla nuova esperienza che si sta per vivere, non avete messo la paura di non aver portato a termine quelli che erano i propri compiti nel corso della vita, la paura di lasciare indietro tutto quello che con fatica si è accumulato negli anni… Allora, quale può essere l’elemento più comune della paura?
‘La paura si fonda principalmente sul desiderio’
La cosa più comune della paura è data dal fatto che essa si fonda principalmente sul desiderio. Le vostre paure, in tutte le vostre fasi della vita, nascono tutte dall’impressione di non riuscire ad accontentare, a esaudire i desideri che di volta in volta vi si presentano nel corso della vostra vita.
Il neonato desidera il cibo e ha paura di non riceverlo, il ragazzo desidera essere in grado di dimostrare se stesso all’ambiente che frequenta e ha paura di non riuscirci; l’innamorato desidera raggiungere un vero rapporto d’amore con l’altro individuo, ma si rende conto che sarà una cosa difficile, faticosa e certamente non sicura di arrivare a buon fine; e l’individuo in punto di morte desidererebbe poter rimediare a tutti gli errori che si è reso conto nel tempo di aver commesso e per i quali non ha più tempo – crede lui – di poter rimediare.
Come vedete, quindi, la base comune della paura è proprio questo suo fondamento sul desiderio; d’altra parte, il desiderio, voi lo sapete, è stato additato anche dal Buddha quale uno degli elementi, se non addirittura il principale, per il quale bisognerebbe lavorare per riuscire ad arrivare a quella benedetta «illuminazione» che tutti vorreste, anche se non sapete cos’è. E voi, creature, desiderate? Quanta parte delle vostre vite, del vostro vivere la vita, è governato dai vostri desideri?
Quanta parte del vostro agire è sincera e quanta invece, in realtà, è soltanto un tentativo di appagare un desiderio, lecito o illecito che esso sia? Quanto desiderate essere sinceri con voi stessi? E chi vi impedisce di esserlo?
Se voleste essere sinceri con voi stessi, è un po’ come se voleste cambiare la vostra vita: se volete essere sinceri con voi stessi, siate sinceri con voi stessi! Se non siete sinceri con voi stessi è perché, in realtà, non desiderate esserlo! Perché non desiderate esserlo?
Perché non riuscite ad accettare voi stessi!
Se voi riusciste ad accettare voi stessi, la vostra vita sarebbe diversa, i vostri desideri sarebbero diversi, le vostre paure sarebbero diverse, perché non avreste più bisogno e spinta di dimostrare qualche cosa a voi stessi o agli altri; sapreste già quello che potete o non potete fare.
D – Ma non si è mai sicuri di noi stessi, di capirci, di avere coscienza di chi siamo veramente.
E, allora, quando non si ha sicurezza di se stessi o coscienza di capire chi si è veramente, l’unica possibilità che resta per questo povero individuo incarnato sul piano fisico non è altra che quella di vivere, è correre incontro alla vita, senza aver paura di prendere magari una facciata perché la vita si è fermata improvvisamente per qualche motivo; e, vivendo, si «capisce», si diventa «consapevoli» e, come coronamento, si «comprende»; cosicché alla coscienza di ogni individuo arrivano un po’ alla volta tutti quei piccoli dati che la rendono sempre più organica, più complessa, al punto da far creare all’interno dell’individuo la piena comprensione di quello che l’individuo stesso è nel corso di quella vita.
Arrivare a comprendere ciò che si è significa arrivare ad accettarsi, e arrivare ad accettarsi non significa però semplicemente dire: «io sono egoista» o «io sono una brava persona»; troppo facile!
Anche l’Io può fare questo giochetto; anzi, lo fa molto facilmente, basta sentirvi quando parlate: «Ah, io questo l’ho fatto per per lasciare posto agli altri, io questa volta non vengo!». Ah, come vi sentite grandi in quel momento, come siete importanti, come siete altruisti! Ma è veramente così o, magari, c’era qualche altro motivo, meno importante, meno altruistico che era nascosto dietro questo finto altruismo?
‘L’osservazione di sé
Quello che dovete fare è stare attenti a voi stessi, e ritorniamo alla solita osservazione di voi stessi, in cui voi dovete:
– osservarvi senza usare la mente,
– guardarvi senza sapere cosa guardate e, più che altro,
– non fare assolutamente nulla!
Lo so che vi sto chiedendo qualcosa che vi sembra impossibile, eppure, vedete: quando noi vi diamo questo insegnamento così difficile e fumoso per tutti voi, non vi rendete conto che il solo fatto di pensare a questa tecnica – chiamiamola tecnica, anche se il termine è improprio – provoca in voi, al vostro interno, nelle vostre vibrazioni, delle risonanze tali che predispongono le vostre vibrazioni a permettere che questa cosa avvenga sempre più facilmente, sempre con maggiore fluidità; quindi, anche se voi razionalmente non capite quello che dovete fare, state tranquilli che c’è qualcosa di voi stessi che capisce e che, comunque sia, agisce. Scifo
L’uomo è un’animale desiderante affermava Schopenhauer e in questo non aveva torno, anche se avrebbe dovuto dire che “l’Io è l’animale desiderante”.
Ma neanche qui è il problema, perché i desideri sono in un certo senso bisogni di comprensione della coscienza, sono il non compreso della coscienza che tenta di diventare comprensione.
Per questo le Guide ci suggeriscono che nulla dobbiamo fare se non osservare con la consapevolezza della coscienza stessa le dinamiche identitarie rimanendo il più possibili neutri, non identificati con esse.