La necessità di conoscere e gestire il proprio Io

L’immagine che si ha degli altri è più o meno precisa a seconda dei dati che si sono acquisiti sull’altra persona, ovviamente; dati che non riguardano soltanto il comportamento ma anche le reazioni, gli atteggiamenti, lo scambio che c’è tra le persone.
Ecco, quindi, che per poter veramente avere un’immagine e una certa conoscenza reale di com’è l’altro, è necessario che ci sia uno scambio sempre più forte, sempre più complesso e sempre più attento; quindi, magari, i piccoli particolari sono quelli che più aiutano a precisare com’è l’altra persona.
Il problema che si pone è questo: l’immagine di una persona, ciò che l’Io della persona pensa di essere, non è quella reale:  l’Io si aggrappa a una sorta di immagine fissa e cerca di tenerla ferma, immutabile e cristallizzata perché ciò gli dà sicurezza.
In realtà, cambiando l’evoluzione dell’individuo attimo dopo attimo grazie alle esperienze, anche le sue reazioni sono diverse, quindi la sua immagine dovrebbe essere continuamente diversa, come diversa è la sua evoluzione; quindi, in una qualche maniera si può dire che l’Io delle persone è sempre indietro – come percezione di se stesso – rispetto alla realtà di come egli è, perché nel frattempo egli è andato avanti, si è modificato.
L’Io non è che “fa fatica”, proprio “fa resistenza” ad aggiornarsi, perché tende a ragionare dicendosi: “A me sta bene così, perché questo mi dà l’impressione di essere il padrone del mondo, io mi tengo questa immagine perché mi appaga”; fino a quando si scontra col mondo che gli dimostra che non è il padrone, e allora deve, per forza di cose, aggiornare questa immagine che ha di se stesso.
Ad di là di quello che l’Io percepisce di se stesso, ognuno di voi ha una realtà sua, ha un insieme di caratteristiche legate principalmente al suo sentire che, alla fin fine, sono quelle che vi individuano, che vi definiscono e che danno la “vera” immagine di ciò che siete e che non riuscite a esprimere mai completamente nel corso della vostra vita per i limiti posti dai vostri bisogni di esperienza e di acquisizione di nuove comprensioni.
La vostra vera immagine è la vostra realtà interiore.
Se accettate il fatto che voi avete un’immagine di voi stessi che è in ritardo rispetto a quella che è la vostra realtà, dovreste riuscire ancora più facilmente a rendervi conto che questo è ancora più vero con la realtà esterna a voi (perché se siete in ritardo su ciò che vi appartiene e che, quindi, avete più facilità di osservare, figuratevi come siete in ritardo nell’osservare gli altri).
Ecco che questo può forse fornire una maggiore giustificazione a quando noi vi diciamo: “State attenti a giudicare gli altri, perché quello che state giudicando in quel momento magari non è più quella persona che voi credete che sia”.
Quando la propria immagine non è gradita all’Io, cosa succede?
Succede che, come in tutti i momenti di squilibrio nell’individuo, c’è la tendenza naturale a trovare un equilibrio nuovo e questo provoca una sofferenza, e la sofferenza porta a creare una presa di coscienza della realtà della propria immagine, quindi un aggiustamento dell’immagine che l’individuo ha di se stesso.
Ricordate che l’Io non esiste ma, pur non esistendo, è uno strumento, un mezzo che è stato ideato per fornirvi la capacità di osservare voi stessi e, quindi, di aumentare la vostra comprensione.
Voi tendete a pensare – ed è una concezione errata – che questo benedetto Io abbia l’intenzione di “fregarvi”, ma non è così! L’Io, in realtà, come abbiamo detto, è un processo, un meccanismo (chiamatelo come volete) e gli errori che fa li fa per mancanza di comprensione, per mancanza di dati, non per cattiva intenzionalità o cattiva volontà di fare qualche cosa.
Ecco perché c’è bisogno che voi, con la vostra attenzione, con la vostra consapevolezza, presidiate a osservare quello che il vostro Io fa, in modo da intervenire quando vi accorgete che è necessario correggere le sue azioni, ed ecco così che la responsabilità non è del vostro Io ma è vostra, di quello che fate sbagliando o che, addirittura, evitate di fare. Scifo


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natascia

Grazie per questo ulteriore spunto di riflessione. In effetti solo comprendendo le proprie cristallizzazioni, riusciamo ad essere meno severi nel giudizio sull’altro, perché inevitabilmente un giudizio si emette. Poi man mano che si procede nella conoscenza dei propri limiti, il giudizio lascia sempre maggior spazio alla compassione, ma è un processo in continuo divenire, che richiede attenzione, umiltà e morbidezza.

Alessandro B

“Ecco perché c’è bisogno che voi, con la vostra attenzione, con la vostra consapevolezza, presidiate a osservare quello che il vostro Io fa,..”
Mi viene in mente la parola ‘disidentificazione’.
Ricordarsi che quell’Io è un mezzo e come tale va usato cercando di uscire fuori dal programma che quell’Io siamo noi.
Potersi ricordare di osservare quella forma, quel modo di fare e di agire mentre si relaziona nel mondo con gli altri esseri umani.

Antonella

Grazie Scifo e a te Natascia per la tua riflessione.

Roberta I.

Man mano che si prosegue in questo cammino, diventa sempre più evidente come l’adesione all’immagine che ci siamo fatti di noi stessi è fonte di sofferenza. Quando la realtà ci sorprende mettendo in discussione quell’immagine, se non siamo vigili e pronti a praticare la disconnessione, tendiamo a fare resistenza difendendo quell’immagine e l’attrito che ne consegue viene vissuto come sofferenza di entità variabile, a senconda del livello di identificazione in gioco. Il piegarsi è la rinuncia a difendere l’immagine che ci siamo fatti di noi stessi e la disposizione ad aprirsi all’altro, all’accoglienza di quel che è, al di là di qualsiasi etichetta, di qualsiasi pretesa interpretativa.
Per la mente non è facile, la mente ha bisogno di decodificare, di spiegarsi le cose, perché questo le dà sicurezza, è nella sua natura. Sta a noi, accoglierla per quello che è e imparare a sorridere di noi stessi, ricordandoci sempre che la nostra vera immagine coincide con la nostra coscienza… e accogliere anche il fatto che l’immagine di noi stessi è “in ritardo rispetto a quella che è la nostra realtà”.
Questo pensiero, il pensiero che in fondo conosciamo poco di noi stessi e ancor meno degli altri, lungi dal provocare scoforto, può alimentare in noi un senso di tenerezza, di umiltà, di compassione.
Grazie per questi preziosi insegnamenti.

Roberta G

Grazie!

nadia

Fare e disfare, impermanenza, gioco…
grazie

Samuele Deias

Capperi

Roberta G

Ho apprezzato molto il tuo commento, Roberta I, mi riconosco in ciò che descrivi. Credo proprio che occorre esser molto svegli e consapevoli per non cadere nell’abitudine di fare resistenza, di creare un rigido impatto….di non assecondare con morbidezza l’urto che viene dall’esterno, accettando l’impermanenza della nostra immagine…
Sì, diviene “evidente che l’adesione all’immagine che ci siamo fatti di noi stessi è fonte di sofferenza…”.

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