Eccoci arrivati alla sperimentazione dell’Archetipo Transitorio del Potere dal momento in cui entra in gioco la costituzione della coscienza o, per dirla in un altra maniera, dal momento in cui l’individualità incomincia il suo cammino reincarnativo attraverso la forma umana.
La natura dell’Io
A questo punto i fattori in gioco diventano molteplici e più interconnessi, ma il principale resta senza ombra di dubbio la presenza dell’Io dell’individuo, presenza totalmente illusoria in quanto l’individuo tende ad identificarsi con l’Io senza rendersi conto che esso è solo il risultato del processo che collega le sue componenti e che non è qualcosa di reale, fisso e univocamente definibile anzi, attimo dopo attimo, esso non è mai lo stesso, in quanto si trasforma in continuazione; infatti, l’insieme delle componenti che contribuiscono nell’individuo incarnato alla formazione di un’immagine di se stesso varia senza sosta al variare del sentire dell’individuo che, ormai lo abbiamo appreso, vive la sua avventura terrena in un perpetuo stato di evoluzione alimentato e sollecitato dall’ininterrotto scambio vibrazionale tra le risultanze dell’esperienza compiuta all’interno del mondo fisico e l’invio di richiesta di nuovi dati – continua e sempre più specifica a mano a mano che qualche settore del sentire si è andato strutturando – che il suo corpo della coscienza, per sua stessa natura, non cessa mai di inviare.
Come abbiamo detto spesso, l’individuo incarnato alla ricerca di una definizione di se stesso all’interno della realtà che sta sperimentando, tende a identificarsi con il suo Io: egli, ingannato dall’apparente vita reale dell’Io, finisce quindi col credere nella corrispondenza reale tra Io e se stesso, senza arrivare a rendersi conto che si sta identificando in un processo che, in quanto tale, gli può presentare solo una visione frammentata e in ritardo rispetto all’evoluzione della sua coscienza di quello che lui è, e che lo induce a percepire come reale ciò che, invece, è altamente transitorio e illusorio.
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L’errore di base
Questa errata identificazione col proprio Io diventa, così, l’errore di base della vita dell’uomo, eppure è un passaggio necessario e indispensabile ai fini dell’evoluzione dell’individuo, in armonia con le leggi del Tutto all’interno del quale nulla può esistere che non abbia una sua ragion d’essere e una sua utilità, ed è proprio grazie a questo errore di base che all’individuo incarnato viene fornita la spinta verso l’esperienza, sorretta dal desiderio di annullare, o quanto meno diminuire, la sofferenza e la frustrazione che lo pervadono allorché l’adeguamento dell’immagine che egli costruisce di se stesso su questa errata identificazione si rivela insufficiente a rendere fluido il suo rapporto con la realtà in cui è immerso[…].
Senza dubbio questo irritante e snervante rincorrere se stessi può talvolta apparire come la conseguenza di un gioco crudele inventato da un Assoluto simile ad un aguzzino che non ha alcuna pietà delle sue creature, ma noi sappiamo che così non è: sotto un certo punto di vista sarebbe più corretto affermare che il creatore inconsapevole del gioco e delle sue regole è l’individuo stesso e che tutto ciò si rende necessario all’individuo proprio per aiutarlo ad andare oltre la sofferenza e la separatività dalla Realtà, per ritrovare l’appartenenza e la condivisione con la natura divina che giace in lui, sopita e non ancora riconosciuta.
Nel cercare di analizzare i rapporti tra l’individuo incarnato e il potere sperimentato con l’allacciamento all’archetipo transitorio nato dal riflesso di quest’aspetto della Realtà nel mondo del molteplice, è necessario dunque esaminare ancora una volta l’Io ma, anche, alcuni elementi inerenti il potere che lo definiscono e che operano di pari passo con il suo esercizio contribuendo a graduare la sua sperimentazione; in particolare il concetto di responsabilità – tema, per altro, a noi sempre stato molto caro in questi anni di insegnamento – in quanto esso prende forza vibrazionale strutturandosi in un archetipo transitorio che è strettamente collegato a quello del potere e che ne accompagna la sperimentazione.
Come avevamo promesso molti anni fa, allorché abbiamo parlato di psicanalisi, è arrivato il momento di ritornare sull’argomento, occupandoci principalmente dell’esponente di spicco di tale corrente sul quale in precedenza non ci eravamo soffermati più che tanto, ovvero Alfred Adler.
I tre capostipiti della psicanalisi Freud, Adler e Jung sono osservabili attraverso prospettive che li accomunano ma che, tuttavia, hanno seguito percorsi differenziati. Tutti e tre si sono occupati principalmente dell’Io e dei suoi rapporti con la realtà in cui si trova immerso nel corso della vita, tuttavia lo hanno fatto sulla base di prospettive sostanzialmente diverse.
Freud
Freud ha compiuto la sua teorizzazione dell’interiorità dell’individuo in funzione di quanto esso ha vissuto in passato (tipico esempio di questo sguardo rivolto principalmente al passato è, ad esempio, il concetto che gran parte di ciò che l’individuo manifesta come comportamenti disturbati nel presente della sua vita può essere fatto risalire a traumi situati nel periodo infantile) ed ha cercato di rimanere strettamente collegato alla fisiologia dell’individuo, quindi alla sua fisicità, sotto la spinta della sua formazione di tipo medico ma, soprattutto, nella speranza di essere ritenuto un ricercatore “scientifico” e, come tale, di venire più facilmente accettato e riconosciuto dalla scienza ufficiale, dal momento che si rendeva perfettamente conto di quali reazioni e resistenze potevano scaturire le sue teorie legate alla sessualità all’interno di una società in cui l’ipocrita ambiente religioso si era felicemente uniformato alla pudibonda (almeno a parole) epoca vittoriana, non ancora conclusa. La sua scelta, di conseguenza, è stata quella di cercare di non prospettare valutazioni che potessero sconfinare in un’ottica etico/morale; d’altro canto, la sua cultura di base era fortemente influenzata, in campo morale, dalla rigidità tipica della cultura ebraica.
In un’epoca in cui l’ebraismo viveva momenti difficili e spesso gravidi di ostilità all’interno delle varie società europee, cercò di bypassare le sue radici culturali sfrondando il più possibile la sua teoria degli elementi che potevano ricondurre ad esse, col risultato di dare vita ad un sistema teorico freddamente logico e poco emozionale (quindi adoperando un processo di stampo prettamente scientifico e razionale) e anche molto rigido nel suo sviluppo, pur occupandosi di elementi emozionalmente anche molto intensi e pregnanti dal punto di vista emotivo del vissuto dell’essere umano.
Jung
Dal canto suo Jung, invece, costruì una teoria psicanalitica più elastica e includente anche elementi di culture diverse da quella occidentale, dando vita a un sistema psicanalitico che è passato dalla psicanalisi centrata sull’uomo e la sua peculiare interiorità, alla concezione di un individuo inserito in una realtà multiforme e in via di continua trasformazione ed evoluzione. La sua naturale curiosità, il suo interesse per ogni aspetto dell’essere umano lo portarono a percorrere ed esplorare strade molto diverse tra loro (dalla medicina alla psicanalisi, dalla razionalità scientifica al misticismo e e alla spiritualità delle filosofie/religioni orientali).
Pur partendo, anch’egli, dallo stato interiore dell’individuo, costruì la sua personale visione del percorso dell’uomo che non arrivò mai a considerare fissamente ingabbiato, senza via d’uscita, nelle sue pulsioni e nei suoi desideri più o meno espressi o appagati, ma ideò una concomitanza di elementi convergenti nell’Io dell’individuo (che egli definì “complessi”) variabili nel tempo e suscettibili di modifica da parte dell’individuo – ottimisticamente considerato come potenziale signore e artefice della sua realtà – dando vita a percorsi interiori che lo indirizzano verso un nuovo stadio di evoluzione, arrivando a concepire l’individuo come parte in divenire di un sistema della Realtà nella quale l’Io di oggi, pur derivando da quello di ieri, è tuttavia qualcosa di ben diverso da quello di partenza.
Secondo l’ottica junghiana, l’Io finisce con il poter essere considerato come una proiezione dell’individuo tendente a favorire e ad aiutare la trasformazione dell’individuo nel tempo spingendolo a riconoscere, grazie alle esperienze attraversate nel corso della vita, quale sia la meta reale del suo cammino.
Se Freud, dunque, è considerabile l’espressione di un particolare attaccamento alla realtà fisica dell’individuo, Jung compie, invece, un percorso che si addentra in una realtà di tipo più spirituale: lo stesso concetto di archetipo (che, come sapete, è stato da noi ripreso e ridefinito sotto prospettive diverse e strutturalmente più ampie e più definite all’interno del nostro sistema filosofico), mutuato in parte dalla filosofia dell’antica Grecia e in parte da teorie orientali, è certamente ascrivibile a una concezione più di tipo mistico/filosofico che di tipo materialista/scientifico.
Adler
Tra queste due teorie sta il sistema teorico costruito da Adler che, pur prendendo spunto dalla teoria dell’inconscio prospettata da Freud, arriva ad applicarla in maniera personale e secondo criteri più confacenti alle sue tendenze caratteriali.
Così, mentre Freud si interessava all’influenza del passato nel vissuto dell’uomo e Jung cercava di costruire il passaggio dell’essere umano verso un ideale futuro di pienezza e completezza, Adler si interessò principalmente al presente, cercando in esso la risposta alle problematiche che l’individuo vive, finendo, in questo modo, per occuparsi principalmente dell’Io e delle sue reazioni nei confronti della realtà in cui si trova ad agire.
Al centro della sua teoria possiamo trovare alcune delle caratteristiche che abbiamo sempre definito essere peculiari dell’Io: il suo desiderio di espansione (chiamato da Adler “volontà di potenza”) e il suo continuo tentativo di essere al centro di una realtà che lo fa sentire inadeguato, desiderando, invece, esserne il dominatore e il modellatore, identificato da Adler nel “complesso di inferiorità” che porta l’uomo a combattere all’interno dell’esistenza per affermare una supremazia che gli sembra sfuggire sempre dalla sua portata reale.
Le componenti che Adler individua come strumenti utilizzabili per capire come l’individuo si rapporta con la vita manifestando il suo personale stile, sono la sua base caratteriale e le reazioni messe in essere dalla sua personalità allorché il carattere viene a contatto con l’ambiente sociale in cui egli è inserito.
È facile riscontrare in questi punti della teoria adleriana talvolta evidenti ed espliciti, talaltra intuibili nel sottofondo teorico della concezione adleriana, diversi collegamenti con quanto abbiamo esaminato in passato: l’importanza dell’ambiente per la manifestazione dell’individuo (e, per estensione, della società in cui l’individuo si trova a vivere) e l’osservazione delle reazioni derivanti dal carattere nell’incontro/scontro con i fatti della vita e, di conseguenza, il manifestarsi delle sue reazioni sotto forma di espressioni di personalità dall’esame delle quali è possibile risalire al nucleo del senso di inferiorità che, secondo Adler, sta alla base di ogni espressione di disadattamento dell’individuo nei confronti della realtà.
Concentrando il pensiero di Adler possiamo dire che egli ha osservato lo stare dell’uomo all’interno della vita, esaminando principalmente i rapporti di potere che l’uomo costruisce o subisce nel vivere le sue esperienze: il suo sentirsi impotente o inferiore, il suo continuo lottare per emergere dal punto di vista intellettuale o sociale configurabili come continui tentativi da parte dell’Io di superare il suo complesso di inferiorità, alla ricerca di un equilibrio soddisfacente e appagante dei rapporti di potere che si trova a vivere.
Ovviamente ci troviamo di fronte a una teorizzazione della realtà interiore dell’uomo molto riduttiva rispetto a ciò che l’uomo è veramente. D’altra parte Adler si muoveva su un filo strettamente pratico in cui c’era poco spazio per quei concetti o quelle teorie metafisiche che sono riscontrabili, ad esempio, nel pensiero di Jung, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta.
I vantaggi più evidenti risiedono nel fatto che l’attenzione dell’individuo viene tenuta il più aderente possibile all’oggi e a ciò che nell’oggi mette in atto, attuando in maniera costante gli insegnamenti del “vivere il presente”, del “sii ciò che sei” e del vivere “qui e ora”.
Gli svantaggi, altrettanto evidenti, consistono nel fornire una visione molto parziale della complessità dell’interiorità dell’uomo; e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il fulcro del pensiero di Adler concerne l’Io e non dà spazio (né si pone veramente tale problema) se vi sia qualche elemento altrettanto importante quale l’esistenza di una coscienza e di un sé spirituale a cui l’Io fa capo e che ne detta le regole e i tempi. Ombra
Grazie per le sintesi dei tre psicanalisti.