Vi avevo chiesto una volta se è più morale colui che uccide nel nome di un ideale in cui crede fermamente, o colui che uccide per salvare la propria vita e quella dei suoi familiari.
Poiché siamo qui con il solo scopo di discutere e di cercare di allargare – se ci è possibile – la comprensione personale, svolgerò io stesso il compito assegnatovi, facendolo dal mio punto di vista – come al solito in apparenza bizzarro – liquidando il tutto con poche parole, e non per presunzione ma perché, effettivamente, la risposta era molto più semplice di quanto poteva apparire.
Avreste dovuto ricordare, infatti, che i miei discorsi, anche quelli apparentemente innocui, sono sempre tendenziosi e giocano con le parole, con la logica e con la coerenza. Così vi poteva essere una e una sola risposta esatta: la domanda non ha alcun senso e, di conseguenza, non può avere una risposta esatta.
Cosa significa, infatti, chiedere se una cosa è più morale di un’altra? Più morale rispetto a cosa? Qual’è l’altro termine di paragone? Per poter fare un confronto, bisogna che il termine di paragone sia per lo meno lo stesso, e se è la morale che si usa come termine di riferimento, allora bisogna per lo meno specificare di quale morale si tratta perché da quando l’uomo, nel corso della sua evoluzione, ha incominciato a concepire l’idea del bene e del male, vi sono state e vi sono tuttora migliaia di concezioni morali, tutte diverse per sfumature e per grandi linee, ma nessuna così universalmente accettata da poter essere presa come punto di riferimento genericamente valido.
Ecco dunque che la risposta poteva essere relativa a una particolare visione morale, ma proprio perché particolare, soggettiva, anche se soggettiva per un numero più o meno grande di persone. Inoltre è assurdo chiedere se un’azione è più morale di un’altra perché, come può un’azione avere una moralità graduata? Come può esistere una scaletta di maggiore o minore moralità? La morale è come la Verità, e come la Verità può essere solo una e il resto è menzogna, così la moralità può essere solo una e il resto è immoralità. Questo viene da concluderlo, esaminando la cosa attraverso la razionalità e la logicità dei termini; ma ciò dimostra quanto logica e ragione possano essere fallaci e insufficienti, per tutto ciò che riguarda lo spirito, specie se rivolte su azioni ipotetiche o compiute da altri individui.
Cos’è dunque, secondo “Scifo il contorto”, la moralità? Com’è che Scifo, “il maestro del fumo”, definirebbe un’azione morale?
Morale è tutto ciò che un individuo compie in perfetta armonia con quello che è il suo sentire.
Ecco l’opposizione, la sento nascere in voi e concretizzarsi: “Ma se un individuo non ha superato il suo egoismo ha un sentire limitato e, quindi, le azioni che compie sono adeguate ad esso, cosicché potrà anche nuocere agli altri, e questo è forse morale?”
Certo, creature care, è un limpido esempio di morale relativamente al soggetto in questione, perché – ve lo ricordo – la morale è una cosa individuale e non generalizzabile.
Così è morale l’uomo che, riconoscendosi egoista, rifiuta un tozzo di pane a un affamato, ma non lo è l’uomo che dà agli altri dispiacendosi in cuor suo, agendo sulla base di ciò che l’idea della morale, o le convenzioni, o il farsi bello agli occhi degli altri o ai propri occhi lo inducono a fare.
Altre cose ci sarebbero da dire e altre domande da porsi.
Ad esempio: “Con quale diritto e con quali elementi reali, si può dare un giudizio sulla moralità altrui?”
Oppure: “Se la realtà è illusione, come si può giudicare un sogno?”
O ancora: “Se è l’intenzione quella che conta, come si può giudicare se è morale o no l’intenzione celata dall’azione di una persona, quando questa intenzione, solitamente, non è nota neppure alla persona che compie l’atto?” E qua ci si perderebbe in un labirinto così inestricabile, che millenni di filosofie e di cocciuti filosofi non sono riusciti a dipanare in modo veramente soddisfacente.
Questo è accaduto proprio perché la morale è una cosa individuale, non generalizzabile, e che non è possibile rendere universale; per lo meno fino a quando è legata ai condizionamenti umani, alla società, al modo egoistico di vivere dell’umanità. Scifo
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“Così è morale l’uomo che, riconoscendosi egoista, rifiuta un tozzo di pane a un affamato, ma non lo è l’uomo che dà agli altri dispiacendosi in cuor suo, agendo sulla base di ciò che l’idea della morale, o le convenzioni, o il farsi bello agli occhi degli altri o ai propri occhi lo inducono a fare”.
Anche in questo caso la prospettiva comune viene completamente ribaltata. Di primo acchito la dichiarazione di Scifo mi ha fatto esultare, poi però mi sono chiesto: e io? Quando faccio qualcosa per gli altri, sono spinto dalla coscienza o da un bisogno dell’identità? Credo che spesso le cose possano anche sovrapporsi. Ci può essere una spinta della coscienza che viene anche solo parzialmente deviata dall identità, che si trova magari a decidere in che misura aiutare una persona. E lì possono subentrare bisogni dell’identità, legati per esempio a dei condizionamenti.
La questione non è proprio semplice…
Sono chiare le parole di Scifo, così come è chiaro e condivisibile il dubbio di Marco. Partendo dall’assunto che “morale è ciò che è in armonia con il sentire” e dal fatto che fino a che siamo umani il sentire è “sporcato” dall’identità forse è ragionevole pensare che le azioni spinte da una intenzione non possano essere totalmente immorali (la Coscienza è pur sempre la regista e crea la realtà) e totalmente morali, perché incompatibile con la nostra umanità, quindi mi chiedo sarà una questione di percentuale? Se riesco a scrutare e ad analizzare l’intenzione forse potrei capire con quale percentuale più o meno è altruistica e egoistica, e magari scopro che è un 30% egoistica e un 70% altruistica, e così decido di agire sperando, per un’altra volta, di migliorare quel 30%. Insomma esercitandosi con tanta fiducia nel processo di conoscenza, consapevolezza e comprensione posso sperare di migliorare le percentuali!
La questione posta è tutt’altro che semplice x me. Fintanto che sono identificato l’intenzione sarà sempre filtrata dal nostro tornaconto, piccolo o grande che sia. Il compito che mi pongo è quello di sgamarmi, di comprendere cosa mi muove. Più avrò compreso, più sarà facile capire cosa mi muove. Ma più vado avanti e più sofisticato diventa il processo, così che il dubbio diventa l’unica certezza. Con questa disposizione d’animo posso sperare di avvicinarmi all’armonia di cui si parla, certo è un orizzonte a cui tendere, per ora mi barcameno tra i miei slanci e miei dubbi.
E’ chiaro Scifo. L’argomento è trattato anche in un passo del Vangelo di Giovanni e in una lettera di Paolo, che al momento però non so citare a memoria.
Chiaro ma complesso…
Non so, la moralità mi pare comunque legata ad archetipi transitori e quindi relativa a un gruppo sociale, etimologicamente deriva dal latino mos, moris = costume. Mi riesce difficile pensare ad una moralità individuale, gli esempi fatti da Scifo mi parlano di coerenza o incoerenza piuttosto che di moralità. Possiamo considerare morale la coerenza e immorale l’incoerenza? Vedo la coerenza semplicemente come segno di maturazione del sentire. Il concetto di morale di per sé presuppone un giudizio, che spesso sfocia nella condanna, la condanna di chi non si comporta secondo le norme.
Ottimo spunto su cui riflettere. La morale è sempre relativa al soggetto quindi ritorna anche il discorso del “Non giudicare”. Grazie