Nel compiere la ricerca nella sua vita, fatta per comprendere le varie domande che di volta in volta gli si presentano, l’individuo si dibatte nei perché che non riesce a sciogliere, a dipanare, cadendo fra reti tortuose dalle quali l’uscita sembra allontanarsi sempre più; ed ecco allora nascere domande sulla ragione del dolore, sul perché della vita, sulla realtà o meno di un Dio, sulla casualità di tutto ciò che si vive, e via dicendo.
Noi da sempre vi diciamo che il dolore in cui voi vivete non è fine a se stesso, ma lo vivete principalmente per ricevere da esso la spinta a migliorare, a cambiare, a mutare, a comprendere.
Noi vi diciamo che il perché della vostra vita va ricercato proprio in questa intima comprensione che voi dovete trovare all’interno di voi stessi, comprensione di ciò che vi muove, di ciò che vi spinge, di ciò che vi assilla e vi tormenta, comprensione che vi trasformerà facendovi un po’ alla volta uscire dalla catena delle vite e delle morti.
Noi vi diciamo che esiste un Dio, qualunque nome ad Esso vogliate attribuire, ma vi ricordiamo anche di non fare di questo Dio un essere antropomorfo, di non attribuire a Lui delle motivazioni e delle leggi che sono soltanto vostre, volute, create da voi e per voi.
Ricordate: se pure Egli esiste è qualcosa di talmente incomprensibile per ognuno di voi che poco varrebbe in fondo rilevarne l’esistenza ed è per questo che diciamo ancora: è molto più da guardare con occhio benevolo colui che non crede in Dio e che vive la sua vita sinceramente, cercando sentitamente di aiutare gli altri, che l’uomo che afferma di credere in Dio e non tanto perché sia il suo sentire.
Noi potremmo darvi elementi per comprendere che la vostra vita non si ferma, od è limitata, soltanto a questa fugace comparsa su questo pianeta e oltre l’universo, ma tutti gli argomenti che potremmo portare resterebbero in fondo soltanto delle elucubrazioni mentali, delle disquisizioni che forse potrebbero anche venire accettate da ognuno di voi così come curiosità, anche se non comprese a fondo nel vostro intimo, ma a nulla servirebbero per farvi incontrare la pace, la sicurezza e la certezza in un domani oltre la vita fisica.
Molto spesso accade che le persone che noi avviciniamo più frequentemente, finiscano col sentirsi delle creature privilegiate e, magari, arrivino a chiedersi per quale motivo proprio loro siano state “scelte”, siano state “accontentate”, siano state – forse – amate più di tutte le altre innumerevoli persone che a noi avvicinano.
A tutti i figli che si sono posti nel tempo e che nel tempo si porranno gli stessi interrogativi, io non posso far altro che rispondere che nessun privilegio particolare è stato loro assegnato, ma che tutto ciò che a loro viene porto da noi (e che apparentemente può sembrare di più di quanto porgiamo ad altre persone) è stato da loro ottenuto personalmente, ma ottenuto non attraverso a particolari azioni, non attraverso – per esempio – all’aiuto offerto agli strumenti, o all’opera prestata per il Cerchio o qualsiasi altra azione materiale che possa venire in mente ad un pensatore: ciò che viene dato è giustificato soltanto da ciò che interiormente l’individuo ha compiuto; ed è estremamente logico, estremamente razionale che noi possiamo (non “vogliamo” – badate bene – ma “possiamo”) offrire di più a colui che più ha fatto, più ha seguito l’insegnamento, più è, quindi, nelle condizioni migliori per ricevere in misura maggiore che altri, i quali magari si sono accontentati di vivere epidermicamente ciò che tramite gli strumenti accade, di girare l’angolo e poi reimmergersi nei loro problemi quotidiani, lasciando scivolare ciò che noi seminiamo come acqua su un vetro, di cui esclama per un attimo: “Che belle parole sono state dette!” , però non si ferma l’attimo dopo a meditarle, a comprenderle e ad andare, magari, oltre a ciò che noi offriamo come stimolo per la comprensione.
Non si senta quindi alcun figlio privilegiato, ma tenga sempre ben presente che quando un privilegio sembra venire offerto, quando una preferenza sembra venire posta in atto, in realtà ciò non è altro che una conquista da parte del sentire, della coscienza, del più intimo essere di quella persona.
È per questo, figli, che noi veniamo tra voi, è per questo che noi offriamo sempre e comunque a tutti la possibilità di ricevere sempre in misura maggiore, e dipende poi individualmente da ognuno di voi la quantità di ciò che nel seguito potrà da noi essere offerto.
Non vi è dunque, nel nostro venire, nel nostro porgervi amore, una differenza:
siete tutti uguali ai nostri occhi, siete tutti uguali di fronte all’amore che proviamo per voi e noi vi amiamo perché ci cercate, anche se magari la vostra ricerca di noi è fatta soltanto sotto la spinta del bisogno di un momento;
e noi vi amiamo perché ci chiamate, anche se quasi sempre il vostro richiamo risuona allorché qualche problema vi affligge e avete il desiderio, il bisogno di un aiuto da parte nostra;
e noi vi amiamo perché siete esseri umani, creature viventi, nostri fratelli forse ancora lontani dal cammino che noi abbiamo compiuto, e pur tuttavia simili a noi in quanto, ricordatelo, anche noi abbiamo percorso lo stesso cammino con le stesse difficoltà.
E poiché nulla, nello svolgersi dell’evoluzione, viene mai perso, non è possibile che noi non comprendiamo ciò che voi siete ora, perché ciò che voi siete ora è ancora dentro di noi in quanto anche noi lo siamo stati. Moti
Diversi gli spunti su cui riflettere, ma prima di tutto colgo l’invito ad amare chi mi è accanto semplicemente perché è, non perché mi corrisponde, mi soddisfa. E ad amarlo nel suo limite, nel suo essere bisognoso perché anche io sono così
“Nulla nell’ evoluzione viene mai perso..” queste sono le parole che una volta un paziente alcolista “senza speranza ” aveva detto e che mi capita di ripetere di fronte a situazioni disperate.
Parole che scaldano il cuore
Grazie!
“se pure Egli esiste è qualcosa di talmente incomprensibile per ognuno di voi che poco varrebbe in fondo rilevarne l’esistenza ed è per questo che diciamo ancora: è molto più da guardare con occhio benevolo colui che non crede in Dio e che vive la sua vita sinceramente, cercando sentitamente di aiutare gli altri, che l’uomo che afferma di credere in Dio e non tanto perché sia il suo sentire.” Queste parole esprimono perfettamente il mio sentire.
Altra considerazione: la tesi di questo post mi evocano le parole evangeliche “a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”
Grazie
Molti i passaggi che “vibrano” uno su tutti:
“Non si senta quindi alcun figlio privilegiato, ma tenga sempre ben presente che quando un privilegio sembra venire offerto, quando una preferenza sembra venire posta in atto, in realtà ciò non è altro che una conquista da parte del sentire, della coscienza, del più intimo essere di quella persona.“
Se così è, perché allora sorge la sensazione che ció che è concesso è troppo per essere meritato?
Nadia: Penso che sia il più delle volte un tentativo dell’Io per mettersi la maschera dell’umile!
Non so se è così Gianfranco… a me pare che quando nasce questa disposizione, l’Io è piuttosto “quieto”…ci sarà attenzione, grazie!
Non ho detto che sia sempre così, e solo la persona può essere in grado di capire quando si tratti di un sentire acquisito e quando, invece, sia opera dell’Io.
Ovviamente, quando si tratta di un sentire acquisito la sensazione avvertita non può essere altalenante o presentarsi solo in certe situazioni e in altre no, e questo alternarsi di “momenti sì” e di “momenti no” è il più evidente segno che c’è di mezzo l’Io.