Karma negativo, positivo, collettivo [A130-karma4]

L’individuo che è sottoposto all’influenza karmica, i cui effetti recepisce in special modo allorché condizionano, limitano o travagliano la sua esistenza, tende a catalogare il karma in due diverse categorie, ovvero il karma positivo e il karma negativo.

È evidente che l’attribuzione delle due supposte polarità karmiche non ha una reale ragion d’essere, se non quella di scaturire dall’osservazione degli effetti del karma da parte dell’Io e dal suo misurare la realtà che si trova a dover affrontare in base alle sue aspettative e ai suoi desideri.

È altresì evidente che tale dicotomia sia una conseguenza diretta del trovarsi immersi nella dualità, con tutto ciò che tale immersione porta con : dal percepire la Realtà in maniera bipolare in cui esiste un “sé “e un “al di fuori di sé”, alla connotazione emotiva, intellettiva o etico/morale che viene attribuita dall’Io a ogni aspetto della vita nel piano fisico con cui si trova ad avere a che fare.

Osservando il karma da una prospettiva diversa da quella della dualità, il karma – poiché ha la funzione di favorire la comprensione dell’individuo e, di conseguenza, di aumentarne il sentire e l’evoluzione – in se stesso non è mai né positivo né negativo. In quest’ottica, se proprio volessimo definire il karma in base a sue presunte qualità dovremmo convenire che è sempre positivo, anche quando i suoi effetti per gli individui incarnati sono catastrofici, in quanto adempie, sempre e comunque, alla funzione di aiutarli ad andare avanti lungo il loro personale percorso evolutivo.

Considerando il fatto che il karma non è qualcosa di individuabile precisamente, in quanto non è un individuo, bensì un processo che scaturisce dai bisogni evolutivi dell’individuo ma anche dalle esigenze di equilibrio del Cosmo nella sua interezza, è decisamente improprio etichettarlo con attributi di positività e negatività se non, come dicevamo, basando tale attribuzione sulle sue ripercussioni, sui suoi effetti sull’individuo incarnato in relazione alla sofferenza o alla gioia che arrivano a provocargli.

Sarebbe, a ben vedere, come attribuire l’etichetta di “buono” o “cattivo” a un uragano, la cui azione certamente non nasce da alcuna intenzionalità positiva o negativa ma solamente dalla manifestazione di processi naturali che inducono una sequenza di azioni e reazioni fino a scaricare la sua energia all’interno del piano fisico. Oppure, per fare un altro esempio, al processo di combustione che dà vita al fuoco, giudicabile – osservandolo dalla parte dell’Io – come positivo se serve per cucinare o riscaldare o negativo se incendia la casa in cui la persona abita.

È evidente che quanto detto fin qui è accettabile, ovviamente, soltanto allorché si riesce a considerare la questione dal punto di vista prettamente filosofico e tenendo presente i meccanismi e i processi a livello macrocosmico che contribuiscono all’esistenza e all’evoluzione della totalità di un Cosmo.
Senza dubbio, l’osservazione del karma nell’ambiente microcosmico dell’individuo assume delle prospettive ben diverse agli occhi di colui che è sottoposto all’influenza karmica, il quale non può far altro, per sua stessa natura, che osservarlo cercando di definirlo in base al suo principale punto di osservazione che, inevitabilmente, non può essere che quello del suo Io.

Ecco, così, che dal punto di vista dell’uomo incarnato, vi è la percezione dell’effetto karmico come qualcosa cui è sottoposto al di fuori da ogni suo possibile controllo, e che si ricopre, per l’osservatore immerso nell’esperienza, di un’attribuzione di positività o di negatività a seconda delle comprensioni o delle incomprensioni che il suo Io manifesta.

Ci troviamo di fronte a un errore di concezione, a una visuale ristretta della realtà, a una percezione utilitaristica degli avvenimenti che l’individuo incarnato si trova a fronteggiare, all’inconsapevolezza delle cause mosse in precedenza, a una mancanza di riconoscimento delle proprie responsabilità non ottemperate come elemento scatenante di ciò che si ripercuote sull’individuo come effetto karmico?

Non vi è alcun dubbio che sia così, tuttavia questa percezione fortemente soggettiva degli accadimenti che l’individuo incontra non è fine a se stessa e priva di valore per la crescita interiore dell’individuo, ma ha una sua funzione e una sua utilità ben precise, che sono quelle di indurlo ad avere delle reazioni agli avvenimenti affinché, attraverso alla modulazione della sua sofferenza o della sua gioia, possano arrivare al suo corpo della coscienza quei dati di cui abbisogna per aggiungere sempre nuove sfumature di comprensione al suo sentire e, di conseguenza, ampliare la sua coscienza fino a raggiungere la completezza e riscoprire la sua essenza più vera. Vito

Il karma collettivo

Per affrontare il concetto di “karma collettivo” è necessario, per prima cosa, richiamare i concetti principali dell’insegnamento che hanno una qualche rilevanza sia nella sua formazione che nella sua espressione.

Ricordo a tutti voi che con “karma collettivo” viene inteso l’avviarsi di un processo karmico – innescato da azioni compiute sul piano fisico inerenti a particolari settori della comprensione non ancora raggiunti o, al limite, non accettati e seguiti dall’Io individuale, pur avendo esso a sua disposizione tutti gli elementi di comprensione necessari a evitare quel particolare genere di azioni – che ha accomunato più individui nel corso di un comune periodo incarnativo.

In realtà, il karma collettivo potrebbe anche venire considerato come la somma di tanti karma individuali accomunati dal tipo e dai modi in cui un unitario effetto karmico dalle molteplici componenti si riflette sul gruppo di individui in questione.

Naturalmente anche il karma collettivo ha, alla sua base, oltre alla sua funzione di insegnamento attraverso l’esperienza, la stessa caratteristica che avevamo osservato per il karma individuale, ovvero la predisposizione a riequilibrare nella maniera più consona e semplice lo squilibrio vibrazionale che le azioni degli individui, con le reazioni che hanno messo in moto, hanno prodotto all’interno della porzione cosmica in cui le hanno effettuate, in maniera che il naturale equilibrio cosmico possa risultare alterato solo per il minor lasso di tempo occorrente a ripristinare la condizione ottimale di equilibrio.

Mi sembra che sia logico dedurre che lo scompenso vibrazionale causato dall’azione comune di una certa massa di individui provochi effetti vibrazionali ben più ampi di quelli provocati dall’azione di un solo individuo e, di conseguenza, che il raggio di azione dei suoi effetti risulti indubbiamente più ampio, così come più ampio e intenso risulta lo scompenso vibratorio che provoca.

Quest’ampiezza è alimentata e permessa dall’atmosfera e dall’ambiente vibratorio che vengono a crearsi, dal momento che l’ambiente vibratorio, in questo caso non è più quello relativamente limitato dell’individuo ma è dato dal sovrapporsi delle atmosfere individuali di più individui, col risultato di dare il via alla formazione temporanea di un ambiente e di un’atmosfera comuni molto più vaste che arriva ad avere influenza su ampie porzioni della realtà del piano fisico in cui tali individui si trovano ad agire.

In fondo, si tratta di uno schema di processo che abbiamo già incontrato più volte nell’esame delle varie componenti dell’ambiente evolutivo: ogni singolo processo può, per affinità vibrazionale, creare collegamenti con altri processi che hanno elementi comuni, dando luogo a un’aggregazione di piccoli processi considerabili come un processo unico più ampio e con effetti, molto spesso, molto più incisivi di quella che potrebbe essere la semplice somma degli effetti di ogni singolo processo coinvolto.

Se vogliamo fare un raffronto con altre situazioni che, nel tempo, abbiamo descritto, possiamo pensare alla formazione delle isole akasiche nel corso della quale elementi di comprensioni comuni a più individui trovano il collegamento e l’unione tra di loro per costituire una sorta di anima-gruppo akasica in via di evoluzione e di ampliamento, in accordo con l’evoluzione e l’ampliamento della coscienza dei singoli individui che a essa sono collegati.

Oppure alla formazione degli archetipi transitori che, come sappiamo, si formano sulla base di un comune bisogno di esplorare particolari settori di esperienza da parte degli individui i quali, spinti dal comune bisogno di esperienza, concorrono alla formazione di un particolare ambiente vibrazionale complesso, all’interno del quale individui anche di diversissima evoluzione compiono il percorso dalla non-comprensione alla comprensione di un particolare aspetto della Realtà fino a quando tutti gli individui collegati all’archetipo transitorio non avranno compreso tutto quel percorso e, a mano a mano, si dedicheranno ad altri percorsi abbandonando l’archetipo transitorio che, essendo alimentato da una sempre minore quantità di vibrazioni comuni susseguente al graduale staccarsi dall’ambiente dell’archetipo transitorio degli individui che facevano capo a esso, gradualmente perderà di forza e si scioglierà.

Osservando quanto abbiamo detto fin qui è riscontrabile la presenza di un ulteriore elemento già noto, ovvero la formazione di circoli vibrazionali che si propagano nella realtà cosmica, ravvisabili in questi processi continui di creazione, azione/reazione e dissoluzione che, in fondo accomuna, per esempio, sia il ciclo degli archetipi transitori che il ciclo karmico: entrambi si innescano per ovviare a problemi di comprensione degli individui, per annullarsi allorché tali problemi sono stati risolti nell’individuo.

Mi sembra evidente che il ciclo del karma collettivo abbia dei collegamenti, dei punti di contatto con gli archetipi transitori e che, addirittura, trovi l’espressione del suo riflettersi sugli individui attraverso i percorsi indotti da essi.

Parlando del karma individuale avevamo definito due sue possibilità di espressione primarie: la sua risoluzione pressoché immediata e susseguente all’azione che mette in moto il processo karmico (che avevamo denominato “karma istantaneo”) o il suo propagarsi, attraverso il processo di riequilibrio vibrazionale all’interno del Cosmo, nello spazio e nel tempo, facendo ricadere i suoi effetti in una qualche vita successiva dell’individualità nel corso della quale si presentano le condizioni più adatte a favorirne la comprensione.

Il fatto che nell’espressione del karma collettivo entri in gioco un alto numero di individualità rende, ovviamente, poco probabile l’applicazione di un concetto di karma collettivo istantaneo: certamente l’azione collettiva che ha originato il karma è comune, sia come azione in se stessa che come risultati immediati nel corso delle vite delle varie individualità in gioco. Tuttavia un effetto di ricaduta comune è resa pressoché impossibile dal fatto che ognuno degli individui, pur avendo una base di incomprensione comune, si trova a un diverso grado di sentire o, quanto meno, a diversa ampiezza delle sfumature comprese da ognuno di loro, il che rende la ricaduta degli effetti karmici sul singolo individuo necessariamente graduato e tarato sul suo sentire.

Questo comporta, come logica conseguenza, il presentarsi degli effetti karmici in un’incarnazione successiva, fermo restando, però, che vi devono essere delle particolarità ben precise perché ciò possa avvenire.
Una di queste particolarità consiste nel fatto che si trovi incarnato contemporaneamente un significativo numero delle individualità che hanno generato l’effetto karmico collettivo: voi sapete che, pur tendendo a incarnarsi a gruppi per favorire l’espressione karmica, difficilmente tutte le individualità in questione saranno incarnate contemporaneamente. Questo porta alla logica conseguenza che il karma collettivo completerà il suo ciclo in più riprese nel tempo, fino a quando tutte le entità che lo avevano messo in essere avranno subito la ripercussione degli effetti karmici.

Ancora una volta è inevitabile notare come tutto il sistema della Realtà sia congegnato in maniera tale che ogni elemento, ogni processo, ogni meccanica serva ad aiutare ogni altro elemento, processo o meccanica di cui l’evoluzione della coscienza ha necessità.

Archetipi transitori e karma collettivo

Dalle considerazioni che abbiamo appena espresso, balza evidente all’attenzione il fatto che la formazione degli archetipi transitori, dal momento che contribuisce all’aggregazione di un insieme di individualità con gli stessi bisogni di comprensione, facilita, di conseguenza, la formazione di gruppi che possono essere composti in maggior parte da individui che hanno dato il via alla formazione di un karma collettivo e che, di conseguenza, possono venire sottoposti ai suoi effetti.

Dicendo come ho detto “in maggior parte” viene spontaneo chiedersi se, allora, vi siano individui collegati a un archetipo transitorio che subiscono la ricaduta dell’effetto karmico collettivo e ne subiscono a loro volta, ingiustamente, le conseguenze. Ovviamente non può essere così: per questi individui la ripercussione del karma collettivo servirà comunque da mezzo per aiutare la loro comprensione grazie all’osservazione degli effetti subiti e ne trarranno, comunque, dei benefici evolutivi, pur restando meno coinvolti e meno “oppressi” dagli effetti provocati dal karma collettivo.

Come sempre, nell’immenso gioco dell’evoluzione della coscienza, niente accade ingiustamente o inutilmente, ma tutto concorre a spingere l’individuo, la razza e il Cosmo intero verso un unico punto che accomuna l’intera Realtà, ovvero il raggiungimento della riunione con l’Assoluto. Ombra

Annali 2008-2017

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