Karma e libertà individuale (k3)

E poi, figli, ancora ci si può chiedere: l’individualità, allorché abbandona il piano fisico, allorché non è più incarnata ma si ritira, ritrae la propria coscienza sugli altri piani di esistenza, può ancora smuovere delle cause karmiche? Può ancora essere soggetta alla legge di causa ed effetto e quindi creare del karma positivo o negativo?

Io vi dico, figli, che in realtà, allorché la coscienza dell’individuo si ritira, per esempio, sul piano astrale, la vita dell’individualità su questo piano non smuove degli effetti karmici. Questo può sembrare una contraddizione con quanto detto prima ma così non è.
Supponiamo che questo individuo sul piano astrale faccia sì da realizzare tutti i desideri che in vita non ha mai potuto realizzare, per quale motivo, nel momento in cui li realizza sul piano astrale e per quanto illusori essi siano (ma, d’altra parte, anche la vita sul piano fisico è illusoria, vero figli?) noi diciamo che questo non può smuovere delle cause karmiche?
Invero a ben pensarci, a voler ragionare, a voler seguire la logica che è deducibile dall’insegnamento restando coerente con esso, è abbastanza facilmente comprensibile: l’individuo che realizza i propri desideri sul piano astrale cosa fa? Non fa altro che ripetere quanto già fatto in vita, ovvero vive i suoi desideri, le sue intenzioni.
Ma questi desideri, queste intenzioni hanno già smosso il loro karma nel corso della vita fisica stessa e non sono altro che una ripetizione: ora forse può realizzare il desiderio, ma – siccome non è la realizzazione ma l’intenzione quella che conta – quest’intenzione egli la possedeva già nel piano fisico allorché ha smosso il karma proprio per quella stessa intenzione.
Ecco così che né sul piano astrale, né sul piano mentale egli potrà più smuovere nuovo karma, si riaggancerà semplicemente ancora al karma che ha già smosso nel corso della sua vita. Moti

Quale karma può generare l’andare incontro alla morte di propria mano?

Forse nella prossima vita dovrò soffrire per questo, eppure quando ciò che si è vissuto sembra essere stato inutile e vuoto, quando vi è la tentazione sempre lì, presente, e ogni volta che ti giri un attimo trovi chi ti tende la mano furtiva, che nasconde la fonte della tua tentazione, quando cerchi di mettere sulle ali delle note le tue sensazioni più intime, più profonde, le tue passioni, i tuoi sentimenti, i tuoi desideri e piangi mentre scrivi delle parole, una canzone, perché la senti veramente come una parte di te e vorresti che gli altri la comprendessero e partecipassero ad essa e capissero quanto di te vi hai messo, quanta richiesta di affetto, di aiuto… e quando vedi che questa indiretta richiesta d’aiuto viene calpestata soltanto per far posto a interessi commerciali, quando vedi intorno a te solo un baraccone pieno di facce imbellettate che creano più maschere di un carnevale, allora può accadere che ti si rompa qualcosa dentro, e che ti rifiuti di continuare a quel modo.
Io l’ho fatto, amici, però – forse perché da tanto tempo seguo come voi queste parole – forse sono nel giusto se immagino che la reazione che avrò nella mia prossima vita non sarà poi così tremenda come ci si potrebbe aspettare: in fondo il male che mi sono fatto era dovuto più che altro all’incapacità di dare agli altri qualcosa di più della mia musica, all’incapacità di far vedere oltre alla mia crosta di rabbia, una rabbia che richiedeva amore per essere placata.
Ma forse non è questa né la serata né la sede per continuare questo discorso, anche se le vostre Guide sono state così gentili da permettermi di intervenire.
Io sono stato… ma che importanza ha? Non lo sono più. Anonimo

Fratelli, sorelle, meditiamo su queste ultime tristi ma consapevoli parole, nella speranza che esse sappiano farvi pensare, nella speranza che ciò che avete udito o che avete sentito nei vostri cuori di quella tristezza, riesca a farvi comprendere veramente che sempre e comunque ciò che più è importante è l’essere ciò che si è o, per lo meno, accettare ciò che si è anche agli occhi degli altri.
Accettare ciò che si è, accettare ciò che viene vissuto, accettare anche quei miraggi che vi offre la vostra società i quali non dovrebbero davvero coinvolgervi totalmente, al punto da ritenere più giusto abbandonare la vita per incontrare la stessa sofferenza poi.
Siate ciò che siete, soprattutto di fronte a voi stessi. Viola

Per fornirvi la possibilità di meglio comprendere, facciamo un attimo una panoramica su quanto vi abbiamo detto nel corso degli incontri precedenti, sul karma. Cercando, magari, di aggiungere anche nuovi tasselli, affinché il risultato finale possa essere più vicino alla vostra comprensione.

Abbiamo detto che Karma è la legge di causa ed effetto, abbiamo detto che tutto quanto voi vivete nel corso delle vostre esistenze è karma, in quanto l’esistenza di un individuo è un susseguirsi di cause a cui segue un effetto più o meno immediato.
Abbiamo detto che esistono diverse forme di karma e ci siamo soffermati ad analizzare due aspetti: karma positivo e karma negativo.

Il karma positivo lo si può riscontrare, ad esempio, quando un individuo si trova ad usufruire, a godere di un qualcosa di piacevole. Può essere un karma positivo, per esempio, nascere in una famiglia in buone condizioni economiche, quindi non doversi dare la pena, per un’esistenza, di cercare un lavoro e quindi di dover trovare una fonte di sostentamento.

Può essere un karma positivo il fatto di avere un certa attitudine per una determinata disciplina, riuscire in essa e metterla, magari, anche al servizio degli altri. Insomma un qualcosa che aiuta, in qualche modo, l’individuo.
Sul karma positivo io non mi soffermerei – per questa sera – più di tanto, limitandomi a dire che ben venga il karma positivo quando questo porta del benessere all’individuo!

Mi soffermerei, invece, a parlare un attimo di più sul karma negativo, il quale – come dice il termine stesso – è perfettamente il contrario del precedente.
Però, se voi tenete conto della prima affermazione fatta – cioè del fatto che tutta la vostra vita è karma – e fate un’analisi retrospettiva della vostra vita, voi vedrete che non siete stati sottoposti nell’arco – che so – dei vostri 30 anni ad un susseguirsi di eventi dolorosi, ma avete anche trascorso dei momenti in cui, se proprio non siete stati felici, per lo meno avete vissuto tranquillamente.
Significa, in questo caso, non che su di voi non siano ricaduti in quei periodi (di tranquillità) degli «effetti karmici», ma che sono ricaduti effetti karmici che avevano lo scopo di insegnarvi qualcosa che, probabilmente, voi avevate già compreso.
Cosicché, nel corso delle vostre esistenze, vedrete che vi troverete di fronte ad avvenimenti che non vi turbano, non vi portano dolore, sofferenze – in quanto l’effetto karmico negativo è strettamente, necessariamente, legato al dolore.
Questo significa che, nel primo caso, avevate già una certa comprensione, mentre nel secondo dovevate imparare qualcosa.

Il karma infatti, avevamo detto, ricade su di voi per:

– ampliare la vostra coscienza,

– per farvi crescere interiormente,

– per farvi capire qualcosa che ostinatamente non volete capire.

Facciamo l’esempio pratico di una separazione: due persone si incontrano, scoprono di amarsi e si uniscono; la cosa va bene per un certo periodo poi uno dei due – per propria necessità, per proprio bisogno, per la sua stessa felicità – si allontana e rompe in qualche modo il rapporto, l’unione.
Mettiamo il caso che voi siate l’abbandonato e che vi ricada addosso l’effetto karmico perché dovevate comprendere che amare significa anche sapersi sacrificare (cosa che – tra l’altro – è uno dei principi basilari del saper amare).
Ora, se la vostra reazione è quella – dopo un attimo di sofferenza più che naturale, più che legittima – di riuscire a darvi una nuova ragione di vita, significa che avevate già compreso che amare significa anche sacrificarsi; se invece cadrete nella disperazione, nella sofferenza, nel dolore e farete fatica ad uscire da questa situazione, significa che quella comprensione non faceva ancora parte di voi.

Quindi, come vedete, la legge di causa ed effetto non muta nei vostri confronti perché, in quanto legge, è immutabile, ma siete voi che – caso mai – con la vostra comprensione, con la vostra crescita in coscienza, mutate nei confronti degli effetti prodotti dalle cause che avete mosso in vite precedenti (o in situazioni precedenti dell’incarnazione corrente, ndr).

Questo significa ancora che, nel momento in cui la vostra crescita in coscienza vi permette di non soffrire più, non siete più sottoposti a quel rigido determinismo cui invece è sottoposto l’inevoluto o colui che è alle sue prime incarnazioni.

Questo significa che quando subite un effetto karmico che deve insegnarvi qualche cosa, è allora che si attua la totale assenza di libertà, perché voi, per ricevere quella comprensione, dovrete passare attraverso quel tipo di esperienza, perché quell’esperienza è costruita appositamente per voi, in quanto voi, in quel momento, siete strutturati in maniera tale da essere in grado di ricevere da essa l’insegnamento di cui avete bisogno.

Nel momento in cui lo scopo dell’effetto karmico che vi ricade addosso, invece, è semplicemente quello di verificare la forza di quella comprensione, o magari di stimolarvi a comprendere una sfaccettatura di quella comprensione, allora ecco che viene per voi la possibilità di scelta.

L’autonomia individuale cresce via via che l’individuo evolve.
Così, se per necessità e per logica, l’individuo inevoluto sarà sottoposto ad uno stretto determinismo, questo determinismo si allenterà dal primo embrione di coscienza in poi, fino ad arrivare all’evoluzione massima che si può raggiungere attraverso il ciclo delle nascite e delle morti, ed allora l’evoluto non sarà più sottoposto alla catena deterministica pur facendone ancora parte.
Badate bene: «pur facendone ancora parte»! E l’evoluto agirà in armonia con il quadro, consapevole che il suo agire sarà utile per gli altri e per se stesso. Vito


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Catia

Post chiaro.

Nadia

Grazie.

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