Vorrei chiarire una cosa: introspezione non è sinonimo di psicoanalisi.
Le Guide avevano parlato negativamente della psicoanalisi, non dell’introspezione perché l’introspezione è senza dubbio indispensabile (senza però dimenticarsi di vivere la vita) per arrivare a conoscere se stessi.
Forse è il significato del termine introspezione che varia a seconda se si è in un contesto psicoanalitico o di «insegnamento» delle Guide.
In senso psicoanalitico credo che si intenda andare alla caccia delle proprie streghe interiori, arzigogolandoci mentalmente fino allo spasimo, spesso finendo anche in balia delle ipotesi più inverosimili e azzardate (famosi, in merito, gli eccessi «sessuali» di Freud).
Nel senso dell’insegnamento si intende guardare i propri movimenti interiori che si traducono in comportamenti esterni come se si fosse un osservatore, quindi un porre l’attenzione a ciò che si fa, si dice e si sente.
È chiaro che su ciò che si vive ci si possa anche ragionare sopra per cercare di capire le proprie spinte più profonde, ma non è indispensabile per avere una vera comprensione: chi deve capire non è il corpo mentale ma è il corpo akasico e per il corpo akasico il fattore importante è proprio l’attenzione che si pone a questo scambio personale tra interno ed esterno, perché è in questo modo che gli pervengono i dati da elaborare per raggiungere ulteriori livelli di comprensione.
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È inevitabile che l’uomo incarnato cerchi di comprendere con la mente e, armato di apparente buona volontà, cerchi di trovare una ragione a quello che lo turba.
Quello che, secondo me, dovreste capire è che il pensiero (dal momento che appartiene al corpo mentale) è una parte dell’Io, il quale tende a strutturarlo secondo i propri comodi; così, molto spesso, anche le cose più evidenti sfuggono all’attenzione della mente secondo quei meccanismi che così bene Freud (diamogli almeno questo merito!) ha codificato, quali la rimozione, la censura e così via. Ora, il discorso del «conosci te stesso» penso che debba essere osservato su due livelli diversi.
Primo livello – conoscenza di sé dell’individuo incarnato all’interno del piano fisico
A questo livello si può usare la mente per cercare le proprie motivazioni, basta rendersi conto che, comunque, si troveranno solo quelle più superficiali o quelle che, comunque, stanno già affiorando spontaneamente alla coscienza.
I problemi che si potranno risolvere non saranno mai i problemi più profondi, ma quelli più semplici e che magari porteranno a un comportamento esteriore diverso da quello che si aveva tenuto fino a poco prima.
Soltanto che sarà un cambiamento solo teorico, perché in profondità il problema di fondo, quasi certamente, esisterà ancora e sarà solo il suo manifestarsi nella vita di tutti i giorni che cambierà.
Questo potrà portare a dei migliori rapporti con gli altri e con l’esterno, ma bisogna essere consapevoli che è soltanto un nuovo atteggiamento, nato principalmente dal tentativo di sfuggire dalle situazioni di sofferenza, non una comprensione acquisita, e che il problema che stava alla base, comunque, è solo «costretto» a manifestarsi in maniera meno turbolenta.
È qualcosa di analogo all’ipocrisia anche se la motivazione è diversa: mentre l’ipocrita agisce in malafede per acquisire qualche tipo di vantaggio, la costrizione operata dall’Io ha il solo scopo di aiutare i rapporti a essere una minor fonte di dolore di quanto erano in precedenza.
Secondo livello – conoscenza di sé a livello della coscienza
A questo livello la mente diventa semplicemente un punto di passaggio dei dati che arrivano al corpo akasico e, anzi, le stesse reazioni della mente ai pensieri che elabora arricchiscono la mole di dati che il corpo akasico riceve.
Il corpo akasico non pone più che una leggera attenzione ai pensieri elaborati dal corpo mentale, perché il suo lavorio interiore non si basa sui pensieri ma sui concetti che nascono dall’osservazione delle azioni e delle reazioni di tutti i corpi inferiori alle situazioni affrontate.
Dalla sua osservazioni nascono delle ipotesi che il corpo akasico raggruppa e che ritiene giuste salvo successivi aggiornamenti.
È così che costituisce la sua comprensione, il suo sentire: ampliandolo gradatamente a mano a mano che nuovi elementi gli vengono forniti dall’esperienza sul piano fisico.
Fare quello che dicevo prima, ovvero porre attenzione a quanto accade nel corso di un’esperienza, focalizza il risultato di quello che si è vissuto e aiuta i dati ad arrivare più rapidamente al corpo akasico. In definitiva, quindi, accelera la possibilità di comprensione del corpo akasico.
Naturalmente è a questo livello che i problemi possono veramente essere risolti e superati, senza semplicemente metterli in disparte, o nasconderli a se stessi, per dare un’immagine migliore a sé e agli altri.
Che le cose stiano davvero così è evidentissimo da quello che ci succede: quante volte si verifica che, dopo aver sviscerato mentalmente tutti gli elementi di un problema che ci assilla, il problema continua a esistere? Oppure sembra sparire per ripresentarsi poi, inaspettatamente, in un’occasione successiva?
Quante altre volte, invece ci capita di accorgerci che quello che era un problema fino a ieri improvvisamente non lo è più e, magari, mentalmente non ce ne eravamo neppure resi conto?
Nel primo caso si ha operato un fittizio «conosci te stesso» a livello di consapevolezza dell’individuo incarnato sul piano fisico.
Nel secondo caso il «conosci te stesso» è stato messo in atto con profitto dal corpo akasico che ha messo al posto giusto i tasselli di comprensione. Margeri
Post da rileggere.
Da ciò che ho compreso la conoscenza di noi stessi come la.intendono i maestri viene esaminando con sincerità le nostre azioni ..
Il nostro intimo agire senza mentirci mettendo in atto gli insegnamenti nel nostro quotidiano
“Chi deve capire non è il corpo mentale ma è il corpo akasico e per il corpo akasico il fattore importante è proprio l’attenzione che si pone a questo scambio personale tra interno ed esterno, perché è in questo modo che gli pervengono i dati da elaborare per raggiungere ulteriori livelli di comprensione.”
Questo il fulcro: osservare, osservare, osservare….
Distinzione molto importante tra la “conoscenza” e “comprensione”. Il corpo mentale conosce, invece il la coscienza “comprende”.
La riflessione messa in atto dal pensiero discorsivo del corpo mentale non può produrre “comprensione”, al più può agevolare l’azione della coscienza. La coscienza avanza per “concetti”, quali “nascono dall’osservazione delle azioni e delle reazioni di tutti i corpi inferiori alle situazioni affrontate”.
Qui si colloca l’autentico “conosci te stesso”: nell’osservazione e nell’attenzione che si porta a quella mole d dati che provengono dall’esperienza e dai corpi inferiori.
Interessante, grazie.