Tra la mia gente (una nazione irochese, nativi nord americani, ndr) la filosofia non ha seguito lo stesso percorso che ha seguito presso i vostri popoli: i concetti che sono entrati a far parte della nostra concezione della realtà non hanno avuto il supporto di una scrittura complessa o di cicli di discussione o di confronto tra disparate “concezioni”.
Essa è scaturita dall’osservazione della natura e da ciò che si presentava ai nostri occhi, cose alle quali, come è tipico di ogni essere incarnato, abbiamo comunque cercato di dare una spiegazione sulla base delle spinte a comprendere che urgevano dentro di noi, costruendo in questo modo una nostra filosofia non solo etico-morale ma anche cosmogonica.
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Il concetto di base delle nostre osservazioni partiva dalla constatazione che il mondo in cui ci trovavamo a vivere non era costituito da una serie di elementi ognuno a sé stante ma che noi stessi facevamo parte della realtà con la stessa dignità, importanza e necessità di ogni altro suo elemento.
Avvertivamo, in maniera istintiva, l’unitarietà della realtà e l’estrema consequenzialità che legava ogni cosa, dal nostro nascere al nostro morire, dall’avvicendarsi delle stagioni, alla necessità di mantenere intatti i legami di reciproco aiuto – pur sottostando agli influssi dell’Io che, così spesso, purtroppo, rendeva inadeguati i nostri comportamenti – all’interno di una natura ora dolce madre, ora severa matrigna.
Alla luce di adesso mi sento di affermare che la nostra è stata una strada diversa, percorsa con mezzi diversi, ma che la meta a cui portava era, alla fine, sempre e solo quella di aiutare la nostra comprensione ad ampliarsi, pur non adoperando un linguaggio sofisticato e non avendo fatti nostri in maniera specifica concetti filosofici come quelli che conoscete e adoperate al giorno d’oggi voi, uomini che siete lo specchio del vostro tempo.
Presso il mio popolo sono stato spesso considerato un saggio, quello che voi attualmente chiamereste un “Maestro”, ma non ritengo che quest’appellativo fosse giustificato nei miei confronti. Io non insegnavo niente. Al massimo trasmettevo le piccole scoperte che la mia osservazione della vita mi permetteva di percepire e il modo in cui ero arrivato a determinate conclusioni.
E il fatto che le mie “scoperte” derivavano dall’osservazione della natura che mi circondava, faceva spesso sì che chi fosse interessato a capire meglio ciò che io dicevo, potesse con facilità riconoscere il mio percorso dato che l’osservazione della natura era sempre stata una parte primaria nei nostri processi di sopravvivenza.
Non posso affermare, senza mentire a me stesso e a voi, di essere arrivato a concepire concetti come la Vibrazione Prima o il Karma. Tuttavia mi sembra che tali concetti potessero, in fondo, essere impliciti in alcune mie osservazioni.
Non frequentavo scuole o chiese per ampliare o cercare il mio incontro con Dio e con tutti i quesiti filosofici ed esistenziali che l’accompagnano. La mia chiesa era l’intero mondo in cui vivevo e la mia scuola era ciò che accadeva intorno a me.
Amavo sedermi sulla riva del Grande Lago e guardarmi intorno, in silenzio, percependo il fremito della vita che mi circondava, certamente aiutato nella mia fase meditativa dal lento sciabordare quieto delle acque.
Ricordo un giorno in cui vidi una foglia d’acero dondolare nell’aria fino a posarsi, dolcemente, sulla superficie delle acque. Rimasi colpito dal fatto che quella leggera foglia dal colore intenso si posasse sull’acqua e immediatamente, dal punto in cui aveva toccato l’acqua, si allargasse una serie di piccole onde concentriche che, allontanandosi dalla foglia, finivano per fondersi con la grande massa d’acqua fino a svanire.
Fu da questa piccola osservazione che trovai la consapevolezza che ogni azione nella Realtà, sia quella volontaria che quella inconsapevole, provoca degli effetti sulla Realtà stessa.
Non che, a livello di esperienza di vita, questo concetto non mi appartenesse già: ogni freccia lanciata poteva essere causa di sopravvivenza per me stesso e per il mio popolo quando colpiva una preda, o causa di un periodo di fame quando il bersaglio non veniva colpito o sfuggiva ai cacciatori. Ma questa era una conoscenza pressoché istintiva, estremamente legata alle necessità primarie, quindi strettamente collegata all’attualità, senza possedere una vera e propria matrice filosofica.
L’osservazione della foglia che si posava sull’acqua, invece, mi offrì una visione più organica, svincolata da quello che voi siete abituati a chiamare Io, inserendola in un contesto più ampio che mi permetteva di concepire l’azione come un elemento unitario con la reazione che provocava e suggerendomi che quel piccolo accadimento, in fondo quasi insignificante, agiva non solo in quell’ambito circoscritto in cui avveniva quanto stavo osservando ma sull’intera Realtà, facendo nascere in me l’idea che l’azione è costituita e completata anche dal susseguirsi di una molteplicità di controreazioni i cui effetti si propagano nell’ambiente circostante.
La mia osservazione si ampliò il giorno in cui vidi una trota saltare nell’aria per ricadere nelle acque. Notai che le onde concentriche create dalla ricaduta della trota erano di maggiore intensità rispetto a quelle provocate dalla foglia, e che si allargavano fino a una distanza maggiore, quasi al di là delle mie possibilità di visuale, prima che le acque del lago ritornassero totalmente al loro stato di relativa placidità.
Questa seconda osservazione mi avviò a comprendere che ogni azione ha controreazioni di intensità diversa a seconda dell’intensità dell’azione e che, di conseguenza, un’azione “forte” produce effetti “forti” che impattano con maggior forza sulla realtà con cui entrano in contatto, arrivando a ripercuotersi anche molto lontano dal centro dell’azione che li ha provocati. Così lontano, pensai io, che magari non ci si accorgerà neppure della totalità degli effetti che sono scaturiti in risposta all’azione.
Allora non potevo rendermi conto fino in fondo delle conseguenze di questi ragionamenti e neppure l’uomo di adesso, pur con la sua scienza e la sua conoscenza, mi sembra riesca davvero a rendersi veramente conto che la Realtà è davvero una cosa così complessa e unita che gli effetti messi in moto in una parte del pianeta possono arrivare a influire sul pianeta intero.
Se osservate le mie modeste intuizioni con quanto vi è stato insegnato dai Maestri, sono certo che vi accorgerete (cosa che a me, all’epoca, non è stato possibile fare, data la mia limitatezza) che avevo scoperto, senza saperli definire se non a livello intuitivo, la legge di causa/effetto e il concetto di vibrazione.
Il mio percorso su questa linea di pensiero, tuttavia, non si arrestò a questo punto, perché un altro momento di osservazione mi aiutò ad ampliare la mia percezione della realtà.
I tempi che vivevamo non erano tempi facili. La stessa regione che abitavamo passava da estati lussureggianti, fatte di abbondanza, a inverni estremamente rigidi che, proprio per questo, limitava l’aumento della nostra popolazione malgrado riuscissimo a costruirci dei ripari e a provvedere delle scorte di cibo per le stagioni rigide.
Dopo l’inverno impietoso giungeva, accolta con grandi feste, la primavera rigogliosa e l’estate si riempiva dei giochi rumorosi dei bambini sulla riva del lago.
Credo che nessun bambino, di fronte a uno specchio d’acqua, grande o piccolo che sia, abbia mai potuto resistere nei millenni alla tentazione di tirare in acqua delle pietre, e neanche i cuccioli d’uomo che stavo osservando seppero resistere a tale tentazione e prima uno di loro, poi tutti quanti, incominciarono a tiare sassi nel lago.
Al mio sguardo osservatore la superficie dell’acqua incominciò a essere attraversata da un susseguirsi di increspature concentriche di diversa intensità, così non potei fare a meno di notare come quei cerchi cambiassero allorché venivano a contatto con un’altra serie di cerchi, ora contrastandosi, ora alimentandosi a vicenda, col risultato di tappezzare una porzione di superficie di increspature in movimento.
Fu un giorno in cui intuii molte cose: che le azioni di ogni uomo non sono importanti solo per colui che le compie, ma anche per chi viene raggiunto dai loro effetti sulla Realtà; che più numerose sono le azioni e gli uomini che le compiono più il loro effetto ha la possibilità di propagarsi; che l’azione di un uomo può essere smorzata e persino annullata dall’azione di un altro uomo, così come può, invece, essere resa più forte; che più uomini che agiscono nella stessa direzione creano effetti più ampi e intensi sulla Realtà ma capii anche che, infine, la Realtà, comunque, torna lentamente a ritrovare il suo equilibrio così come le acque del lago, esauriti gli effetti provocati dal lancio dei sassi ritornava alla sua condizione di placidità.
Ascoltando le Guide che con così tanto affetto e pazienza hanno cercato di spiegarvi la realtà globale in cui siete immersi, così spesso inconsapevolmente, mi sono reso conto che – anche se nel mio modo rudimentale – avevo incontrato concetti a cui voi ormai siete abituati: quello di vibrazione, di causa/effetto, di realtà unitaria, di tendenza della Realtà a ristabilire l’equilibrio e così via.
Ma non ero un filosofo, bensì un uomo che vedeva come i contrasti tra le nazioni di cui faceva parte, uniti alle difficoltà dell’esistenza che ognuno di noi incontrava, erodevano, poco alla volta, le possibilità di sopravvivenza dell’intero popolo Irochese, e che sperava di trovare le idee, le proposte giuste per cambiare quello che sembrava profilarsi ormai come un veloce avvio verso l’estinzione.
Non furono certamente soltanto le osservazioni che vi ho raccontato a indicarmi quella che poteva essere una via adatta a perseguire il mio scopo, tuttavia credo che mi abbiano fornito la base di essa, aiutandomi a trovare il modo di esprimere ai vari Consigli delle Nazioni la necessità di diventare una Nazione unica, agendo tutti assieme nella stessa direzione e con uno scopo comune, aiutato in questo da altre figure carismatiche che avevano fatte loro le mie “visioni”.
Riuscii a trasmettere le mie idee: forse fui bravo io nel farlo, forse furono bravi gli altri a capirmi, questo non ha una vera importanza nel tessuto della Realtà, se non per quello che riguarda il cammino individuale e le riflessioni che ogni uomo deve fare su se stesso e la purezza dei suoi intenti.
Comunque sia, il mio popolo rifiorì per molti anni, reso forte dalla pace tra le tribù e dall’intento comune, propagando le sue azioni per un grande territorio.
Poi, come spesso succede tra i popoli, con l’avvicendarsi di nuove generazioni le idee persero forza, le vibrazioni che provenivano dalle nuove popolazioni giunte dal mare si dimostrarono più forti e invasive delle stesse armi da fuoco e il nostro equilibrio si spezzò, le Nazioni si divisero e quello che era stato per decenni forte e unito divenne gradualmente di nuovo frantumato e debole: alla fine la vibrazione più grande, quella che dà forma alla Realtà, finì, come sempre, per ricostituire il suo equilibrio dinamico ricongiungendo tutti i percorsi tracciati dalla trama del Disegno evolutivo. Hiawatha
Leggendo quanto è stato raccontato da chi mi ha preceduto non ho potuto fare a meno di fare alcune considerazioni che certamente credo – nel mio inguaribile ottimismo – sarete arrivati a fare anche tutti voi che leggete le nostre parole.
La prima cosa che mi è venuta alla memoria è stata un’osservazione fatta tanti anni fa, ovvero che si può arrivare a comprendere l’intera struttura della Realtà partendo da un qualsiasi elemento, fosse anche un minuscolo granello di sabbia. Nel caso del nostro amico Irochese non è stato un granello di sabbia, bensì una foglia d’acero: cambiano gli elementi ma il risultato non cambia.
Non so con certezza quale sia stato il suo cammino successivo e se abbia portato avanti le sue riflessioni fino ad abbracciare anche il concetto di Dio riuscendo ad avvicinarsi alla concezione che a noi è ormai così abituale di un Tutto, Unico e Assoluto; tuttavia sono certo che se lo ha fatto avrà seguito – a modo suo, naturalmente – le stesse scoperte e considerazioni che abbiamo sperimentato tutti noi in questi anni cercando di seguire quanto suggerito dai nostri cari Maestri.
Ho anche trovato la conferma di quanta importanza rivesta l’esperienza nel processo di comprensione di ogni individuo incarnato: probabilmente senza aver avuto l’occasione di osservare quella foglia che si posava sull’acqua del lago in quel momento di particolare raccoglimento interiore, non avrebbe preso il via quel processo intuitivo che lo portò, alla fine, a influire sulla storia del suo popolo.
Mi sono sorte, poi, anche alcune riflessioni più inerenti agli ultimi insegnamenti e, in particolare, al concetto di simbolo e a quello di archetipo transitorio.
Come egli stesso afferma, non aveva, per cultura e tradizione, un grande patrimonio linguistico e culturale che gli permettesse di rendere sufficientemente chiare verbalmente le sue considerazioni da permettere di comunicarle agli altri nella loro complessità così distante dal pensiero “naturale” a cui erano abituati.
Suppongo, allora, che egli sia riuscito a farlo adoperando non semplicemente un linguaggio verbale, bensì adoperando il linguaggio fortemente simbolico che condivideva con il suo popolo grazie alla base costituita dal loro comune essere molto vicini alla natura e alle sue manifestazioni.
Nei secoli l’osservazione della natura è stata sempre il principale modo per cercare di avvicinarsi alla comprensione della Realtà, basta pensare allo sviluppo della prima filosofia greca in cui l’osservazione giocava un ruolo estremamente importante.
Questo non può significare altro, secondo me, che il linguaggio verbale è soltanto una piccola parte delle possibilità di comunicazione dell’individuo, il quale comunica in maniera più profonda e completa con gli altri attraverso una somma di differenti gruppi simbolici, dal linguaggio al comportamento, dalla mimica all’espressione delle emozioni e via dicendo. Ovviamente la base simbolica, per poter essere trasmessa deve essere comune (sapete certamente che è possibile comunicare con le persone sordomute attraverso il solo linguaggio dei gesti e della mimica facciale, riuscendo a trasmettere discorsi ed emozioni anche profondi e complessi), e quale maggiore base comune può esserci dell’avere attraversato nel corso della propria vita lo stesso tipo di esperienze di altri individui?
Ecco, quindi, un altro indizio su quanta importanza abbia l’esperienza terrena per la possibilità di allargamento della coscienza individuale.
Ho notato, inoltre, che non sembra egli si sia avvicinato a comprendere altri elementi importanti dell’insegnamento delle Guide, come ad esempio, l’esistenza degli archetipi transitori (almeno nella fase della sua vita che ha voluto condividere con tutti noi).
Ma a noi che conosciamo questo concetto, dovrebbe risultare evidente che il sorgere, lo svilupparsi, il progredire delle sue riflessioni e il trasmetterle ad altri ha portato proprio alla creazione di un archetipo transitorio riguardante l’intera popolazione Irochese. Come si capisce dalle sue parole, l’archetipo è stato sperimentato e poi, a mano a mano che le persone a esso collegate se ne staccavano per aver compiuto il loro ciclo di sperimentazione, si è sciolto, sotto la spinta dell’aderenza ad archetipi diversi e più adeguati all’evoluzione delle nuove individualità incarnate. Ombra
Post molto interessante.
Davvero una lettura interessante.
Ho avuto modo di avere un ulteriore conferma, di quanto tutto sia unito e della radice comune che porta ogni essere alla stessa sorgente, pur nell’apparente diversa forma e formazione.
Grazie
bello e interessante