Uno dei primi punti che avevamo chiesto di discutere era quello che riguardava i rapporti tra ciò che ha detto Adler, ciò che ha detto Jung e l’insegnamento.
Ora, senza dubbio, osservando quanto abbiamo esaminato – naturalmente nei limiti ristretti che ci siamo imposti per necessità temporali – delle parole dei due insigni studiosi, bisogna riconoscere che, a ben vedere, gran parte di quello che essi hanno detto collima con quanto noi andiamo dicendo; anche quello che più apparentemente sembra discostarsi, se si guarda con un po’ più di attenzione, si riesce a vedere che si inserisce, in fondo, abbastanza agevolmente nel corpus dell’insegnamento.
Quali sono i limiti? Beh, i limiti sono anche altrettanto evidenti e sono forse dettati più che altro dall’obiettivo che questi due psicologi si erano proposti, ovvero quello di cercare di curare dal punto di vista medico certe affezioni psicologiche che riscontravano nel corso della loro pratica.
È ovvio quindi che limitavano il loro campo a quello che poteva dare più facilmente dei risultati pratici a livello di pratica medica, e questo l’avete fatto notare giustamente anche voi.
Purtroppo, a quel modo non sono riusciti ad andare oltre quel punto del discorso; certamente Adler è riuscito a osservare un Io in espansione, un Io nelle sue varie componenti che agisce e interagisce, cambia e interscambia con l’ambiente, però non è riuscito ad andare alla radice del problema e – ahimè – questo è diventato poi, a livello terapeutico, un limite piuttosto grave.
Certamente è possibile, cercando di agire sull’Io di una persona, riuscire ad adattarla all’ambiente in cui sta vivendo, però è una cosa che si limita nel tempo, perché, allorché l’individuo ha l’Io ulteriormente tormentato questo Io – poiché le sue pulsioni non vengono da lui stesso, ma vengono da qualcosa che sta oltre – arriverà sempre, a un certo punto della sua esistenza, in cui il suo adattamento alla società ne risentirà e quindi – come in effetti poi avviene in questi casi – una vera e propria guarigione non si riesce a ottenere.
Per Jung la cosa può essere un pochino diversa: il discorso di Jung è molto più astratto, alla fin fine, di quello di Adler, tanto è vero che è riuscito ad abbracciare un’idea, una concezione molto più vasta, che va al di là dell’uomo, al di là del popolo, ma addirittura abbraccia tutta l’umanità dal suo nascere fino al suo evolvere attuale.
Anch’egli però non è riuscito a compiere il balzo successivo, quello cioè di arrivare a chiedersi che cosa e perché dava il via alla costituzione, ad esempio, degli archetipi, ma non soltanto come meccanica proveniente dall’esperienza, dalla conoscenza all’interno del piano fisico, ma da quel Tutto unito che in realtà lui poi ha ipotizzato nel suo parlare, perché cercava di esaminare la concezione dell’uomo nel suo intero, nel suo tutto. Ed è qua, forse, che ha perso anch’egli il treno per arrivare alla grande occasione di avere un’intuizione ancora più grande.
D – Secondo me, non è arrivato ad avere l’intuizione perché non doveva arrivarci lui.
Questo forse è un pochino riduttivo. Diciamo che sempre, allora, qualsiasi cosa accada, voi potete dire: “Questo non è successo perché non doveva succedere”: ciò non toglie che vi è sempre il cammino dell’individuo, il cammino interiore, e l’individuo potrebbe arrivare a certe decisioni, a certe comprensioni anche se poi – poiché non sono contemplate nel Disegno – non riesce magari a metterle in atto direttamente all’interno dell’esperienza fisica che sta vivendo, perché non è contemplato che egli le metta in atto per determinati motivi; tuttavia, quando parlo dei limiti di Jung, non parlo dei limiti di Jung come messa in atto di quello che dice, ma parlo dei limiti di Jung come sua possibilità d’intuizione, quindi come suo percorso evolutivo. Capito la differenza? Bene.
Per quello che riguarda la coscienza collettiva, mi sembra che abbiate detto abbastanza; vi è invece da osservare con un pochino di attenzione il discorso degli archetipi.
Lasciamo per il momento da parte – forse definitivamente, addirittura – il collegamento con Jung e parliamo invece di questi archetipi, di quest’imprinting (come li abbiamo definiti noi) in funzione dell’insegnamento.
Dunque, noi abbiamo visto che nel corso dell’evoluzione di una razza all’interno della massa akasica si vengono a stabilizzare determinate vibrazioni, assimilabili a simboli, che abbiamo definito “imprinting” e che abbiamo in qualche modo assimilato all’idea degli archetipi di Jung. Ora, la domanda che vi avevo posto l’altra volta era questa: “Questi archetipi passano da una razza all’altra, o sono tipici e peculiari soltanto di quella razza?”. In realtà mi sembra che, nella discussione, non abbiate risposto a questo quesito; vediamo quindi chi ha qualcosa da dire a questo proposito.
D – Alcuni dovrebbero passare: quello della madre, del padre e altri archetipi basilari che sono patrimonio comune dovrebbero passare da una razza all’altra.
D – Passano come eredità
Ecco, questo è un concetto che può essere tenuto: passano come eredità. Certamente, ma in che modo passano come eredità?
D – C’è il Dna astrale e mentale
D – Passano modificati
No. Partiamo un attimo dalla prima razza, senza starci a chiedere come è nata, da dove è nata, in che periodo è nata, quanti individui vi erano incarnati e via e via e via; parliamo soltanto di questa costituzione degli archetipi e cerchiamo di individuare come passano da una razza all’altra.
Per comprendere quanto in seguito viene detto può essere utile la lettura del post Ricapitolazione su istinto e imprinting
D – Attraverso l’akasico, su spinta della scintilla.
Neppure, o per lo meno non proprio così. Allora, voi sapete che all’inizio dell’evoluzione – e limitiamoci naturalmente soltanto al vostro pianeta – vi è questa grande massa akasica che si frantuma, dando il via a delle isole akasiche. Ognuna di queste isole akasiche, assumendo determinate impronte nel corso del cammino all’interno del regno minerale, vegetale e animale, incomincerà ad assumere certe vibrazioni e quindi a dare una partenza alla costituzione dell’individuo, anche se in tempi molto lunghi.
La prima razza vive la sua evoluzione; questa sua evoluzione la porta a esperire sul piano fisico e, un po’ alla volta, tutti gli individui che la compongono passano attraverso il superamento dell’Io per arrivare a costituire la propria coscienza.
Questa è la cosa che accomuna tutte le razze. Naturalmente il cammino che ogni razza segue è un cammino per qualche verso diverso da quello delle altre, altrimenti (come ha detto prima la nostra amica) si tratterebbe soltanto di una fotocopia l’una dell’altra e non avrebbe molto senso.
Nel corso di questo cammino, questa prima razza si costituisce i propri archetipi, le proprie idee di base; idee di base che in qualche modo poi influenzano il corso dell’evoluzione stessa o, meglio ancora, influenzano il tipo di esperienza e di cammino che la razza compirà attraverso la reincarnazione sul piano fisico. Se questo è valido per questa razza, è valido allo stesso modo anche per tutte le altre razze. Detto così sembrerebbe che ogni razza sia isolata l’una dall’altra e che i vari archetipi restino inevitabilmente, per forza di cose, isolati all’interno di ogni massa akasica riguardante ogni singola razza, vero?
Voi dimenticate però che le razze si sovrappongono. Qualcuno di voi dirà: “Sì, certamente, si sovrappongono, ma non si sovrappongono le masse akasiche, si sovrappone soltanto il periodo temporale in cui le varie razze fanno esperienza all’interno del piano fisico”. Certamente. Se faceste questa obbiezione, e so che senz’altro l’avreste fatta…
L’abbiamo persino accennato la volta scorsa: vivendo una parte di cammino assieme, facendo lo stesso percorso attraverso lo stesso tipo di società – che è condizionata dagli archetipi della prima razza, partendo dalla prima – certamente la seconda razza si è trovata a contatto con degli archetipi della prima razza, che in qualche modo hanno costituito una base su cui costruire; anche perché l’individuo inevitabilmente – allorché si trova a essere inserito nella società (con buona pace di Adler) – tende a immedesimarsi in quella società, ad acquisire tutto ciò che vi può essere, in modo tale da soffrire il meno possibile.
Quindi gli individui della seconda razza, che si sono trovati incarnati con quelli della prima, sono venuti a contatto con gli archetipi della prima, o – meglio ancora – sono venuti a contatto con le proiezioni che questi archetipi facevano nella prima razza all’interno del piano fisico dando una regolamentazione di qualche tipo sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista interiore degli individui che si stavano incarnando.
Trovandosi a contatto con questi archetipi, la seconda razza – così come poi sarà per la terza, la quarta, e via e via e via – si è trovata nella necessità di doversi adeguare a questa società, a questo modo di vivere che ha trovato.
A questo punto, l’obbiezione sarebbe – se ci fosse – che allora la seconda razza non farebbe altro che essere un duplicato della prima! Certamente no perché, comunque sia, l’imprinting era diverso da quello della prima razza; quindi: assumerà una parte di archetipi ma saranno in qualche modo modificati, trasformati, interagiranno con gli archetipi che avevano costituito il suo imprinting e che quindi daranno quel tanto di diversità per cui la risultante degli archetipi nell’evoluzione sociale interiore della seconda razza sarà diversa da quella della prima.
D – Se ho ben capito, evidentemente la razza che sta seguendo la nostra, che è già incarnata, non può non tener conto dei nostri archetipi ma anche dei nostri valori e quindi i suoi archetipi saranno modificati dai valori che loro trovano nella nostra razza al nostro livello di evoluzione?
Certamente.
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D – E’ possibile fare un esempio pratico?
E’ un po’ difficile fare un esempio pratico. Beh: l’idea di famiglia. L’idea di famiglia è un archetipo che è nato fin dalla prima razza; soltanto – e qua è difficile spiegarvi le cose senza avervi parlato della prima razza, ma cercherò di farlo – soltanto che la prima razza aveva un concetto di famiglia come tribù, in cui sì, certamente, c’era un padre, un genitore, e c’erano dei figli, dei nonni, però l’archetipo principale che era presente in questo concetto di famiglia era che le figure più importanti non erano i genitori ma erano i vecchi.
Quando la seconda razza si è venuta a trovare a contatto, a vivere assieme a questa prima razza, ha fatto suo – per forza di cose – questo archetipo, anche perché ha condiviso una parte di vita sociale con questa prima razza, però un po’ alla volta ha modificato questo archetipo di famiglia arrivando a comprendere che certamente l’esperienza degli anziani può essere utile anche a una famiglia, ma che in realtà quello che forse aveva il predominio come importanza immediata all’interno della costituzione del nucleo familiare non erano tanto gli anziani – che, malgrado la loro saggezza e nelle condizioni climatiche in cui la seconda razza si è venuta a trovare, costituivano invece un peso – quanto i genitori, perché erano quelli che erano nel fiore dell’età, erano quelli che generavano e quindi permettevano la continuazione della razza genetica, erano quelli che procuravano il cibo, il vestiario, e via e via e via.
Questa la modifica che c’è stata. Naturalmente, poi, specialmente nella seconda razza questo archetipo di famiglia si è andato modificando un po’ alla volta, per arrivare ad essere acquisito da voi, ad essere trasformato in quell’archetipo di famiglia che avete attualmente, che deve ancora finire di compiere il suo ciclo e che sarà un concetto di famiglia che ha ancora origine dalla prima razza, ma che, però, avrà acquisito valori diversi, perché il sentire sarà diverso, il tipo di esperienza sarà diverso. Scifo
Continua…
Molto interessante il modo in cui si evolvono gli archetipi.
grazie, vorrei aggiungere una considerazione: è stato detto che lo scostamento dell’importanza fu spostato, con l’evoluzione degli archetipi di razza in razza, dai nonni ai genitori, che a primo impatto potrebbe sembrare maggiormente funzionale, mentre in realtà credo che fu il preludio, l’inizio di perdita di sacralità della famiglia essendo i genitori delle tre fasce d’età principali i più lontani teoricamente da nascita/morte e quindi inevitabilmente troppo razionali, una ragione che ci ha portato a calcolare anche elementi di cui non necessitava calcolo ma solo il semplice sentire
scusate, rileggendo mi sono reso conto di non aver scritto benissimo il commento, spero si capisca cmq il senso della mia osservazione, se no, chiedete eventualmente interessasse grazie
Mi ha colpito la frase: ” da una grande massa Alaska che si frantuma, […. ] nascono le isole acasike.”
Ho pensato al big ben.
Forse sembra sciocco, ma è come se la scienza da sempre avesse compreso che tutto parte da un Uno e che ogni frammento ne è una parte inscindibile.
Grazie per questa condivisione!
Quindi è l’interconnessione fra una razza ed un’altra che trasmette e modifica gli archetipi.
Ma quella frantumazione di un’unica massa akasica iniziale che porta alla creazione delle razze, ma poi alla fine dove porta?
Alla cosiddetta “comunione del sentire”. in cui tutti i sentire sono interconnessi diventando un unico senire. E così il cerchio si conclude!.