Il giudicare, il criticare e l’esprimere opinioni [A208]

La vostra vita è modulata dalle relazioni che avete con le persone che compiono il tragitto incarnativo al vostro fianco.

Voi osservate gli altri e applicate ad ognuno di loro le etichette che il vostro Io compila sulla base dei suoi bisogni, dei suoi desideri, delle sue aspettative, quasi sempre perdendo di vista l’obiettività sacrificandola al suo tornaconto.

Ecco così che nel rapportarvi con la realtà temporanea che state vivendo sul piano fisico, non esitate a giudicare i comportamenti, le azioni e le reazioni degli altri, a criticare, appena ve ne viene data la possibilità, il modo altrui di interagire con l’esperienza di vita, a esprimere, anche se non richiesti, opinioni su ciò che riguarda le altre persone.

È inevitabile che questo accada, fratelli, fa parte delle esperienze che dovete affrontare per comprendere le sfumature del vostro sentire, sorelle, ma vi siete mai soffermati veramente a considerare quali siano gli elementi etico-morali ma anche filosofici e razionali che tutto ciò sottintende? Viola

Come avrete notato, è capitato più volte che, nelle mie analisi, io faccia riferimento ai significati e alle etimologie delle parole che vengono usate. Questo accade sia perché c’è sempre la necessità di avere delle definizioni comuni dei termini che usiamo (l’interpretazione comune dei simboli, quindi anche dei termini, è indubbiamente un elemento che aiuta la comunicazione e che permette, di conseguenza, lo scambio di idee e il confronto tra le proprie idee e quelle altrui), sia perché trovo la lingua italiana affascinante nella sua capacità di creare simbologie linguistiche accurate e differenziate anche solo per sfumature.

Apparentemente questa ricchezza di simbolismi può anche risultare superflua, specie nella società sintetica e affrettata in cui siete attualmente immersi, dove la comunicazione è appiattita su terminologie poco portate ad analizzare le sfumature dei concetti col risultato, sovente, di diventare un impedimento al racconto non superficiale di stessi. Purtroppo, secondo il mio punto di vista, questo aspetto della vostra lingua viene praticamente dimenticato e difficilmente se ne trova traccia nel percorso scolastico della vostra società, rendendola – a mio avviso – più rigida e meno capace di esprimere le sottigliezze che sono parte integrante e importante di ogni sentire individuale.

In quest’ottica a me cara, volevo, questa volta, porvi alcune considerazione tra tre concetti che possono venire adoperati (e che di frequente vengono usati come sostitutivi l’uno dell’altro) nel descrivere la vostra reattività nei confronti delle altre persone: il giudicare, il criticare e l’esprimere opinioni.

L’etimologia del termine “giudicare” è di facile scoperta: essa non può che risalire al concetto di giudizio, ovvero all’esercizio, da parte dell’individuo, del ruolo di giudice nei confronti della persona con cui sta interagendo, emettendo su di essa delle sentenze.

Come vi abbiamo spiegato a più riprese nel tempo, il giudicare gli altri risulta essere un non-senso: per poter emettere una sentenza è necessario e indispensabile avere un’idea precisa e inconfutabile di quali siano le intenzioni che muovono il comportamento altrui, e credo che ormai abbiate capito che non potete certamente avere un’idea reale e veritiera di tali intenzioni, in quanto esse sono mosse da bisogni di comprensione e da comprensioni ormai acquisite attraverso un lungo percorso individuale che può essere simile ma, certamente non uguale, a quello che a vostra volta avete compiuto. 

Malgrado abbiate fatto vostra questa concezione, non passa giorno (per non dire ora o minuto) in cui non vi ergiate a giudice del comportamento altrui. Questo è indubbiamente il frutto del lavorio che l’Io mette in atto al vostro interno per cercare di soddisfare se stesso: giudicare l’altro vi fa sentire superiori, più evoluti e alimenta la vostra presunzione di essere nel giusto inducendovi a chiudere gli occhi sugli elementi che possono essere in contraddizione rispetto al vostro giudizio, esercitando a spada tratta la vostra grande capacità di rendere estremamente soggettiva la vostra percezione della realtà e, di conseguenza, anche quella delle altre persone.

Qualcuno tra voi potrà obiettare che non è detto che il giudizio che esprimete nei confronti dell’altro sia necessariamente un giudizio negativo. Devo ammettere che avete ragione! Ma osservate un attimo con un po’ più di attenzione e di obiettività i vostri giudizi positivi, non potrete non notare che le vostre “sentenze” risultano assolutorie sempre nelle circostanze in cui il comportamento dell’altro è uguale a quello che, nelle stesse condizioni, avreste tenuto anche voi e che esse manifestano, in fondo, nient’altro che un’indiretta e malcelata assoluzione a voi stessi.

Questa situazione è la diretta conseguenza dell’egocentrismo del vostro Io: ciò che esso reputa giusto viene considerato universalmente vero e tutte le azioni, i comportamenti o i pensieri che non risultino conformi a ciò che egli è (o si illude di essere) sono giudicabili come privi di consistenza e, di conseguenza, passibili di sentenza di condanna senza remissione alcuna.

Questa condizione sembrerebbe essere inalterabile se non fosse che, fortunatamente, l’esperienza tende a mettere i bastoni tra le ruote dell’Io. Ed ecco che, in modo sconcertante per l’Io, l’altra persona, di frequente, si comporta in maniera inaspettata, costringendo alla lunga l’Io a rivedere il suo giudizio, talvolta anche in maniera dolorosa, in quanto comporta un’ammissione di errore che non gli costa certamente poco accettare di riconoscere.

Tra il giudicare e il criticare, concetti apparentemente molto simili, esiste una differenza sostanziale data dal fatto che, mentre il giudizio tende ad emetter sentenze definitive su temi e situazioni anche di grande portata riferendole alle concezioni etico-morali ritenute giuste dalla parte dell’Io che risuona, grazie al sentire raggiunto, con gli Archetipi Permanenti, la critica è quasi sempre motivata da situazioni contingenti, magari anche di scarsa importanza, ed è più nettamente connotata dallo scontro più personalistico tra l’”io ritengo che” e il “tu, invece…”.

È ovvio che, ancora una volta l’attore principale del comportamento critico è l’Io con la sua visione soggettiva della realtà che sta vivendo, fortemente influenzato, in questo caso, dagli Archetipi Transitori di riferimento che in qualche modo tracciano una guida all’Io su quali siano i comportamenti giusti in un certo ambito e in determinate situazioni in relazione alla sfumatura di sentire che si sta cercando di comprendere all’interno di un gruppo o di una società.

Questi fattori rendono la critica messa in atto dall’individuo meno stabile del giudizio (in quanto è collegato a una più generica comprensione etica proveniente dai dettami degli Archetipi Permanenti), facendole avere una maggiore variabilità e una minore influenza sui rapporti personali dal momento che è dipendente dalla continua variazione degli elementi sperimentati dall’individuo nel suo rapportarsi alle “regole” segnalate dagli Archetipi Transitori. In conseguenza di questi fattori la critica può decadere o modificarsi non appena chi critica e chi è criticato raggiungono la comprensione della stessa sfumatura.

Mi sembra interessante notare il fatto che il termine “critica” derivi dal termine “crisi”: la critica, infatti, viene messa in atto su una momentanea situazione di crisi interpersonale, crisi che può trovare risoluzione non appena le persone coinvolte riescono a mediare, in modo soddisfacente per tutti, tra le loro concezioni. 

In altre parole, quando esprimete una critica nei confronti di un altro individuo dovreste sempre tenere presente che essa deriva da una piccola o grande situazione di crisi del rapporto che state vivendo; e ciò significa che avete la possibilità di collaborare con l’altro per trovare un punto di incontro e mettere, anche se magari solo temporaneamente, la parola fine alla situazione di crisi stessa. Ovviamente, per ottenere tale risultato è necessario mantenere attivo un certo grado di elasticità, avere ben presente che non si è detentori della Verità Assoluta e, cosa più importante di ogni altra, cercare di ascoltare veramente l’altro e non pretendere solamente di essere ascoltati.

Il rendersi conto che non si è in possesso della Verità Assoluta risulta estremamente indispensabile per transitare dal giudizio alla critica arrivando ad esprimere un’opinione. Accade spesso, nelle vostre discussioni, che infarciate le vostre esposizioni di frasi come “secondo me”, “a mio avviso”, “a mio parere”, “a me sembra” e via dicendo dando luogo a un’apparente esposizione non di una critica ma di un’opinione benevolmente messa a disposizione degli altri e della discussione in corso.

Anche in questo caso se poneste maggiore attenzione a voi stessi vi rendereste conto che ciò che state esprimendo è soltanto mascherato da opinione mentre, in realtà, si tratta di un tentativo del vostro Io di imporre le sue idee dietro a una paratia di falsa umiltà e disponibilità, tant’è vero che vi risulta sempre molto difficile cambiare le vostre opinioni!

La qualità di base dell’opinione rispetto al giudizio è costituita dal fatto che essa è temporanea e suscettibile di modifica con la ricezione di nuovi elementi che ne possono modificare anche in maniera sostanziale la prospettiva.

Può essere considerata, in fondo, la posizione ideale in cui si dovrebbe mettere ogni individuo nel rapportarsi con la realtà a lui esterna e con le persone con cui si relaziona, manifestando le sue opinioni senza considerarle verità incontestabili e mantenendo viva la possibilità di essere pronti a cambiare la propria opinione allorché nuovi elementi entrano a far parte del gioco dei rapporti interpersonali, mettendo da parte quella rigidità che, a ben vedere, sottintende che, sotto l’apparente etichetta di “opinione”, in realtà non di opinione si tratta bensì di giudizio mascherato. Scifo

Ciclo sul senso di colpa

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