D – Prima è stato sfiorato l’argomento suicidio. Volevo sapere, se questo è un passaggio già previsto, oppure è da considerarsi un incidente di percorso? Cioè, una persona cade nel momento in cui decide il suicidio, o fa già parte della sua programmazione, se vogliamo dire così?
Questa è la tipica domanda cui non si può rispondere genericamente. Il discorso è possibile farlo soltanto caso per caso. Può essere vera sia un’ipotesi che l’altra, dipende dalle persone, dall’evoluzione, dalle situazioni, da tutti quei fattori che portano al suicidio.
D – Ma, se come ci avete detto, il giorno del trapasso di ogni persona è già segnato al minuto, anche la morte attraverso il suicidio dovrebbe rientrare in questa legge, diciamo che è segnata.
E’ segnata la morte, non il modo in cui morire. Potrebbe essere indeciso se suicidarsi o no, poi decide di non farlo e in quel momento gli cade una tegola in testa e muore lo stesso.
D – Si diceva, prima, che ogni persona muore nell’esatto momento stabilito, è un po’ programmata, no?; quindi, nel caso in cui una persona muore in un incidente (faccio un discorso più specifico; mi è rimasta impressa la morte di quei tre bambini napoletani bruciati vivi), ecco in questo caso un bambino, che muore all’età di un anno, quale karma può smuovere? Non ha avuto la possibilità di fare le sue esperienze e quindi di capire. Ci sono delle morti che mi lasciano perplessa.
Nel caso di un bambino così piccolo si tratta senza dubbio della soluzione di un karma da parte sua, in quanto, voi lo sapete, la situazione della entità, nel momento in cui si incarna, è un misto tra la gioia, la paura, il desiderio della materia fisica che lo attrae; è tutta una situazione molto complessa interiormente.
E vi è, poi, questa interruzione della vita, per cui vi è una sofferenza certamente anche se il bambino è molto piccolo, ma non soltanto una sofferenza di tipo fisico; vi è la sofferenza dell’entità a cui viene bloccata questa possibilità di incarnarsi, di continuare la vita. Ecco, questo è il pagamento di un debito karmico, di qualche tipo, contratto precedentemente.
Però considerate altre cose: questa situazione non è un karma soltanto per il bambino, ma è un karma, intanto, per le persone che gli sono intorno, e, in casi particolari, come quello che tu citavi, è un karma che si riflette, in qualche modo, su tutte le persone che ascoltano quello che è successo e che partecipano, in qualche modo; quindi, è un po’ come una pietra gettata in uno stagno, che allarga le sue onde karmiche tutto intorno, in modo che tante persone, attraverso questa esperienza, abbiano una piccola comprensione in più che, altrimenti, non avrebbero avuto.
D – E’ facile che questa entità si reincarni, oppure ha già compreso facendo questo tipo di esperienza?
No; senza dubbio, si reincarnerà ancora; diciamo che in un caso del genere non vi è comprensione, vi è soltanto il pagamento di una situazione karmica precedente.
Un esempio che può essere fatto al momento è quello di una entità – incarnata in questo bambino, morto così giovane in questo modo – che nella vita precedente fosse eccessivamente attaccata alla materia, alla vita, alle cose; ma ecco che, allora, per fargli un po’ perdere tale attaccamento, ha una vita successiva in cui, a causa di questo attaccamento alla materia, che chiaramente portava con sé dalla vita precedente, gli viene tolta tutta la materia in questo modo così brusco proprio per fargli prendere coscienza di questo suo attaccamento, coscienza che poi svilupperà naturalmente in una vita successiva.
D – Lo stesso discorso vale anche per i bambini che non nascono a causa di un aborto?
Può essere valido, sì.
D – Mi viene da farti questa domanda: noi dobbiamo presupporre che Dio o un’entità superiore tiene tutta questa contabilità con una precisione, con una attenzione così scrupolosa?
Non ha bisogno del pallottoliere!
D – Ho capito.
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No… fa la tua domanda; era solo una battuta per tirare su l’atmosfera.
D – Mi domandavo questo: c’è tutto un ordito predisposto su questa sequenza di vicende?
E’ questo, che è difficile farvi comprendere: non c’è bisogno di pallottoliere, come dicevo prima, scherzando, per il semplice motivo che (secondo l’immagine dettata dagli orientali), quando Dio sogna la realtà, sogna già tutto il sogno; e nel sogno, è già compreso tutto quello che succede. Quindi è tutto in pari, il conto; siete voi che non sapete ancora che si pareggerà il bilancio, alla fine, perché lo vivete dall’interno del sogno, non dall’esterno; ma il disegno è già completo, già finito, non è un bilancio in negativo, in passivo, ma è sempre, per forza, in pareggio, perché il film è già completo in tutte le sue parti, già equilibrato.
D – Ho sentito dire che dopo la morte c’è questa specie di esame che noi facciamo, questo autoesame; e poi questa specie di autogiudizio. Volevo chiedere: con quale parte di noi stessi ci autogiudichiamo? Perché – mi chiedevo – saremo onesti e giusti con noi stessi, in questo autogiudizio, o no?
La cosa è piuttosto complessa, perché nel momento che si abbandona il corpo fisico, la coscienza si ritira sugli altri piani di esistenza, un po’ alla volta; sapete che si deve spogliare dei vari corpi, per ritornare poi ancora sul piano akasico; e poi si saprà che cosa succederà successivamente: se si incarnerà ancora, o no; e via dicendo.
Questo autogiudizio – che l’entità compie – lo compie a mano a mano che si spoglia dei vari corpi; quindi lo compirà attraverso l’esame delle proprie emozioni, dei propri desideri, prima; poi, attraverso l’esame dei propri pensieri e via dicendo; ma non sarà dall’interno di questi piani – che sta attraversando – che compirà il giudizio, ma sarà dall’interno del piano della coscienza.
Sarà poi il corpo akasico, che trarrà le conclusioni di quello che ha fatto, esaminando tutti i dati che arrivano dall’esame delle varie pulsioni, delle varie esigenze, dei vari pensieri e via dicendo.
Certamente non è detto – e voi lo sapete – che il corpo akasico tragga delle conclusioni giuste, perché non è ancora completamente strutturato; quindi non ha tutti gli elementi per essere sicuro che ciò che ha compreso è veramente giusto; ed è per questo che si rende necessaria un’incarnazione successiva, per verificare le sue comprensioni, se erano giuste o meno.
D – Quindi, praticamente, anche questo famoso autogiudizio è tutta una illusione, un bluff anche quello, perché non c’è mai niente di giusto. Io, per esempio, ho fatto un’azione – in questa vita – che credo di aver fatto come un’azione buona; poi trapasso e quando sono lì mi accorgo che buona non era (per esempio, era un’azione egoistica); a questo punto, io credo a questo mio autogiudizio, però non sono sicura che è giusto!
Te ne accorgerai poi nella vita successiva, se era giusto; perché nella vita successiva ti si presenterà la situazione in cui tu avrai l’occasione di ripetere la stessa azione, con le stesse intenzioni che avevi prima: e da come tu reagirai, poi – in un autogiudizio successivo – potrai comprendere se avevi veramente compreso o meno. Non è una sicurezza che acquisisci immediatamente, tranne che in casi particolari: di quanto tu hai fatto o hai vissuto, vi deve essere una verifica; non vi sarà più bisogno di verifica allorché vi sarà una comprensione tale per cui non ci sarà necessità di incarnarsi ancora. Georgei
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Non libero dalla protesta interiore contro forme di sofferenza così forti come quella dei bambini citati, avverto comunque un respiro più grande di me in tutto questo e dico solo un amen sperando pian piano di comprendere sempre meglio, senza protesta e con serenità. Grazie.
Amen.
Nessuna certezza nel processo di autocoscienza neppure dopo il trapasso. Spinge a coltivare la Fiducia al massimo livello possibile
Lettura utile a chiarirmi il karma che scontano i bambini che muoiono piccoli e di come avviene lo esame della vita dopo la morte.
Perché abbiamo bisogno di chiedere? Perché questo bisogno di esplorare qualcosa che non è esplorabile. Ci manca forse la Fiducia? Ma se ci mancasse perché credere a quanto affermato? È forse consolatorio?
Per sua natura, il genere umano, e’ portato ad indagare. La ricerca mi ha portato a diventare sempre piu’ consapevole dei miei limiti, ma anche a coltivare la fiducia, diventando momento dopo momento piu’ consapevole dell’illusorieta’ delle forme e di quel che definiamo reale. Quel che descrivono le Guide, rispetto al karma o, al disegno gia’ programmato del nostro percorso di incarnazione, lo accolgo, ma non ho le comprensioni per far mio fino in fondo quanto affermano, ne’ posso dire “si’ e’ cosi'”. Sento che puo’ avere un senso, che questo senso mi porta ad aumentare la compassione e la fiducia nei confronti del prossimo e verso di me. Placa l’angoscia di vivere una vita, il cui senso e’ sempre piu’ difficile trovare, apre un varco verso l’Unita’ che si prospetta come l’unico percorso da perseguire.