D – Chiedo: c’è qualcuno di felice in questo mondo? Adesso? Io non ne conosco. C’è qualche momento di felicità ma…
Quello che hanno cercato in qualche modo di far comprendere questa sera le Guide principali è che voi avete un concetto sbagliato di felicità. Voi solitamente, almeno a mio vedere, attribuite la felicità a quando il vostro “Io” è felice, quando il vostro Io e la sua consapevolezza all’interno del piano fisico è felice, ma la vera felicità è qualcosa che va al di là della felicità sul piano fisico.
Certamente ci sono dei momenti di felicità che coinvolgono anche il piano fisico, guai se non fosse così perché, altrimenti, nessuno si darebbe da fare sul piano fisico se non trovasse mai qualche attimo di felicità, però è soltanto una veduta parziale della vera felicità che comprende un benessere di “tutte” le componenti dell’individuo, non soltanto di quella che riguarda il piano fisico.
Quanto spesso io vi sento dire: “Ah, come sono infelice; come sono disgraziato!” perché, non so, avete pagato più tasse, oppure avete mangiato qualcosa che non vi piaceva, o non riuscite a comprarvi una maglietta firmata, e via dicendo. Queste sono cose che possono anche dare una felicità di un attimo, ma è sempre l’Io – ripeto – che vi fa essere felici di queste cose; non è una felicità duratura, vera, che – come diceva qualcuno – potete afferrare e poi trattenere in voi.
Poi scivola su di voi, e andate alla ricerca di “diverse” felicità, di nuove felicità più appaganti perché, evidentemente, quelle felicità non sono le vere felicità.
In quanto alla vera e propria domanda che hai fatto, senza dubbio vi sono delle persone felici; il problema è che un po’ non riuscite a vedere la felicità negli altri, un po’ che – come veniva detto – anche queste persone non si rendono conto di essere felici.
Essere felici non significa essere allegri, cantare, essere gioiosi, essere sempre di buon umore e via dicendo; può esserci anche questa manifestazione, certamente, ma lo stato di felicità è uno stato di equilibrio e, quindi, è difficile che una vera felicità sia accompagnata dai grandi sbalzi emotivi, dai grandi comportamenti esteriori apparenti a tutti quanti.
Molte volte le persone che voi vedete e delle quali dite, ad esempio: “Non ha una grossa personalità, non si mette in mostra, fa tappezzeria” e via dicendo, quelli invece potrebbero essere segni di una felicità interiore tale per cui non hanno bisogno di strumentalizzare se stessi, di mettere in mostra il proprio Io; è quindi una felicità interiore che non è attaccata alle cose materiali del piano fisico. Spero di essermi fatto capire, perché sapete che io sono molto inevoluto e, pasticcione, quando parlo.
D – Se la felicità è legata alla capacità di comprensione, di consapevolezza, è logico che anche l’incarnato più evoluto avrà sempre qualcosa da capire; per cui la felicità totale è un qualcosa di un altro mondo, cioè l’essere felice in assoluto è quello che ha lasciato la ruota delle nascite e delle morti.
Ma certamente, certamente: la felicità totale e definitiva non può essere ancora legata ai piani inferiori. Questo, senza dubbio.
D – Anche perché, appunto, la sofferenza non è altro che il contrario della felicità; l’infelicità, è la misura del nostro egoismo e noi siamo qua per lavorare proprio su quello che ci manca.
Più che essere la misura dell’egoismo (perché, come sai, l’egoismo e l’Io sono soltanto dei fantocci, delle creature fittizie) l’infelicità è una misura, secondo me, invece, di quanta non comprensione vi è nell’individuo.
D – Appunto: la non comprensione è il lavoro che stiamo facendo adesso, di superarla.
Ah, su questo non ci piove!
D – Facciamo spesso l’esempio del desiderio dell’Io magari parlando di magliette firmate o automobili, ecc., però in genere noi cerchiamo la felicità in un rapporto di coppia, nel cercare la compagna o il compagno. Ci puoi dire qualche cosa in merito alle motivazioni per cui lo si cerca? Perché, a volte, si può trovare un rapporto molto appagante e, quindi, sembra quasi che, pensando alla vera felicità, questo rapporto di coppia sia un po’ come “svilito”… non so, messo da parte, perché dici: “Ma cosa vuoi, è una cosina,…”
Assolutamente; il rapporto di coppia è sempre un modo per compensare o ricercare qualcosa che l’individuo non ha in se stesso, è un allargamento, un’espansione della sua comprensione verso gli altri e quindi è un gran momento importante, in realtà.
Il problema, nei rapporti di coppia, quindi nel rapporti di “amore” (tra virgolette), si presenta allorché uno dei due innamorati pretende di essere felice sulle spalle dell’altro, pretende di essere felice soltanto quando l’altro è “come lui vuole che sia”, tanto è vero che i rapporti migliori sono sempre quelli in cui vi è accettazione di come è l’altro.
Se non vi è accettazione, è difficile che vi sia un buon rapporto perché dalla non accettazione indubbiamente, sempre, nascono conflitti, rancori, ripicche e via dicendo; tutte quelle cose che, un po’ alla volta, avvelenano un sentimento che poi, in realtà, evidentemente non era ancora molto saldo, altrimenti non si sarebbe fatto avvelenare da queste cose.
D – Certamente; però anche la ricerca di un rapporto di coppia buono è una ricerca che si può fare?
Che si “deve” fare! Ricordate sempre che i Maestri dicono di “cominciare da vicino” e, allora, incominciare da vicino significa prima di tutto iniziare da se stessi, cercare di migliorare se stessi; poi significa cercare di stabilire dei rapporti molto stretti con qualcuno.
Allorché si è stabilito un rapporto con qualcuno, possono esserci dei figli, ed ecco che il rapporto si allarga. E’ un po’, quindi, lo spostamento della consapevolezza dall’amore egoistico di se stesso verso un amore che comprenda poi tutti gli altri.
D – Ed è l’inizio verso l’amore assoluto, c’è questo primo gradino?
Non è un inizio; è un passaggio che è necessario, perché non può esserci uno sbalzo improvviso dall’amore egoistico all’amore assoluto! Non è possibile. Vi devono essere tutti i passaggi, le gradazioni intermedie, per arrivare al vero Amore.
D – Io credo che la felicità debba essere un fatto momentaneo; come un bel voto a scuola, che rappresenta la soddisfazione per quello che si è fatto, e contemporaneamente, uno stimolo per andare oltre. E questo, credo, anche nel piano spirituale.
Qua il discorso si complica veramente, perché prima di tutto bisognerebbe stabilire una terminologia comune per quando si dice, “piano spirituale”. Tu cosa intendi per piano spirituale?
D – Quello non fisico.
Questo è un po’ troppo vago.
D – Quello vostro.
Anche questo è troppo vago. Preferisco aiutarti, per cercare di ragionare assieme. Tu sai che noi diciamo sempre che l’individuo in realtà è costituito da tanti piani diversi di esistenza: il piano fisico, il piano astrale, il piano mentale, l’akasico, e poi mettiamoli in blocco, come al solito, i piani superiori. Quali sono i piani spirituali, allora, quelli oltre il fisico?
D – Secondo me quelli superiori, quelli oltre l’akasico.
In quelli oltre l’akasico ormai la coscienza dell’individuo si è formata. Se si è formata, vuol dire che la comprensione totale l’ha raggiunta, no?
D – Sì, come coscienza sì; però, secondo me, non ci si può fermare lì. Ci sarà qualche cosa che servirà di stimolo per andare oltre.
Certamente. Su questo non c’è dubbio. Non è che l’evoluzione termini allorché avrete abbandonato la ruota delle nascite e delle morti; l’evoluzione continua ancora in altri modi, con altre possibilità di evoluzione, però non è più necessario raggiungere la consapevolezza, la coscienza; è, più che altro, l’unione con tutte le altre individualità, con gli altri “sentire”.
Lo stato di felicità si raggiunge allorché vi è questa fusione di sentire con tutte le individualità all’interno del piano akasico; allora, allorché vi è questa comprensione raggiunta, vi è uno stato di felicità il quale poi (parlo per sentito dire, perché io purtroppo sono ben lontano dall’essere fuso con gli altri!) è una base su cui viene costruita l’evoluzione ulteriore dell’individualità.
Quindi si può dire che l’evoluzione dell’individuo, oltre questa fase, non è altro che un continuo ampliamento di questo stato di felicità; qualche cosa che usa come piedistallo la felicità raggiunta per portare poi l’individualità – unita a tutte le altre – a compiere un cammino ancora più enorme, fino ad arrivare (voi lo sapete), alla riunione con Dio.
Quindi, secondo il mio punto di vista (potrei anche sbagliare, perché non ho l’esperienza diretta di questo tipo di situazione, di condizione), non si può più parlare di ricerca di felicità dopo l’abbandono dei piani dell’Io, dei piani inferiori, ma si parla di qualche cos’altro, in cui la felicità raggiunta appunto costituisce una base comune sulla quale viene costruito.
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D – Quindi il piano akasico sarebbe il punto di arrivo dove si dovrebbe raggiungere il massimo della felicità, intesa come massima espansione della coscienza?
Sì, sì, direi che è sintetizzato abbastanza bene quello che hai detto adesso.
D – Ritornando a quello che diceva G. a proposito dell’iniziare attraverso un legame di coppia a scoprire anche il modo per stare con gli altri… quindi una persona che riesce a vivere tutta la sua vita in maniera serena, equilibrata, pur restando da sola, è comunque più indietro – se si possono usare questi termini in una scala evolutiva – rispetto ad un’altra che riesce a vivere la propria vita con un compagno? E’ così?
Che brutta abitudine che avete di dare una sorta di giudizi e di scale su queste cose!
D – Non mi era chiara questa idea di iniziare dal rapporto di coppia per far famiglia, figli, ecc.
Sì, ho capito quello che vuoi dire, però stai usando una visuale limitata, perché è limitata a quella “vita” di quell’individuo: non sai le vite precedenti come sono state. Potrebbe aver già avuto e compreso tutto quello che riguarda il rapporto di coppia, ad esempio, e quindi non aver più bisogno di un rapporto di coppia ma il suo amore, la sua felicità, potrebbe già essere diretta verso tutti gli altri individui; non è necessario che la persona amata sia lì, fisicamente. Se fosse così, allora tutte, che so io, le mogli dei marinai sarebbero sempre infelici!
D – Non solo, ma allora questa persona non starebbe bene da sola ma sentirebbe la necessità, il bisogno di cercare un compagno; quindi è un po’ una contraddizione. Chi sta bene da solo è perché ha superato quel tipo di problema.
Anche questo è forse eccessivo perché bisognerebbe esaminare, come al solito, caso per caso. Diciamo che, per quanto riguarda l’individuo con una buona evoluzione, se arriva al punto di esser felice… ecco, forse è qua la differenza: deve essere in grado sia di stare da solo, sia di stare con gli altri, e che per lui la cosa non faccia differenza.
D – Che non ci sia un bisogno di essere in una data condizione, ma che stia bene comunque.
Che stia bene comunque. Ecco, questo è indice di felicità interiore e quindi di autocomprensione, di autoappagamento, di autoconoscenza e tutte quelle belle cose che si possono dire ancora. Georgei
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Stride un po’ il termine “felicità”, forse perché, come viene anche suggerito nel dialogo, è subito collegato con “Io”.
La felicità mi rimanda ad un modo dicotomico fatto di felicità e infelicità. Un mondo in cui al centro c’è L'”Io” che misura ciò che accade in base ai suoi bisogni. Un mondo fatto di giudizio.
Meglio, anche se provvisorio, il paradigma “comprensione/non-comprensione”, rimanda ad un dimensione più ampia, quella del Centro di Coscienza ed Espressione. E in una certa misura schiva il dualismo felicità/infelicità.
Grazie.
La felicità va conquistata…
Quello stato di equilibrio, di armonia tra i vari corpi costituenti l’individualita’, e’ cio’ che viene perseguito da ognuno, la meta a cui tendere, e che va di pari passo al grado evolutivo.
L’esperienza ha ormai svelato questo concetto.
Se poi lo chiamiamo “felicita’” nel mondo terreno….lo definirei meglio stato di pienezza
Star bene da soli e con gli altri.
Parole che risuonano.
Pensare alla felicità, rimanda in prima battuta ad una sorta di appagamento egoico….interessanti spunti, grazie