Il complesso edipico: le dinamiche tra il bambino e i genitori [IF11a]

D – Allora il complesso di Edipo nasce dallo squilibrarsi dell’individuo tra il polo maschile o femminile?

Certo, nasce da questo squilibrarsi e dal desiderio da parte del bambino non di “competere” con il padre o con la madre o con, al limite, un fratello, con lo zio, con la sorella, con la zia, in mancanza delle due figure principali, ma quanto per far suo ciò che gli piace nell’altro individuo; quindi (e questa è una considerazione importante!) un sentimento positivo e non un sentimento negativo, come solitamente viene connaturato.

D – Forse perché pensa di non avere quell’aspetto.

Certamente, perché cerca di diventare una creatura completa, cerca di inglobare tutti gli aspetti che gli piacciono.
Perché inglobare ciò che non gli piace? Lui ha un ‘Io’ e questo Io cerca di primeggiare, di essere bello. Per questo motivo, quindi, cerca di prendere tutte le cose belle dagli altri e di farle diventare parte anche di se stesso. E in questo modo può squilibrarsi.

Ecco quello che la bellissima favola di Ananda (qui sotto) dell’altra volta –  una delle più belle, anche se tra le più difficili – indicava, in quanto mostrava come un bambino che ha bisogno di formarsi e che ha necessità di vedere le cose migliori intorno a per introiettarle e, quindi, creare un essere interiore equilibrato e tranquillo, può diventare un individuo confuso.

Favola del padre
Ozh-en (personaggio che simboleggia l’umano di media evoluzione) aprì gli occhi al nuovo mattino e, nel tepore del suo letto, si sentì nervosa, per nulla tranquilla, come se qualcosa la rodesse dall’interno, qualcosa che non riusciva, però, a precisare.
Dopo aver poltrito in una sonnolenza abbastanza inquieta, si alzò e incominciò a preparare la colazione.
«Mamma – gli disse il figlioletto – dov’è papà?»
«Ma dove vuoi che sia, mio caro – rispose Ozh-en – è andato al lavoro.» e la mattinata continuò con il suo solito tran-tran: la spesa, i lavori di casa, far da mangiare, e proprio mentre stava facendo il pranzo e preparando i cibi il bambino ancora una volta chiese a Ozh-en: «Mamma, dov’è papà?»
E Ozh-en rispose: «Boh! Sarò andato fuori città, penso.»
Mangiarono, guardarono un po’ di televisione, lessero un giornale, aiutò il bimbo a fare i compiti e, verso metà pomeriggio, il bimbo ancora una volta chiese alla mamma: «Mamma, dov’è papà?».
«Ah, guarda – rispose spazientita la madre – per quello che mi interessa, a questo punto, può anche essere finito all’ospedale! Ma ora torna ai compiti».
Incominciò a scendere il sole all’orizzonte, e dita rosee dipinsero lo scenario, ma il bimbo, ancora una volta, chiese alla mamma: «Mamma, allora dov’è il papà?».
«Il papà? Il papà è morto» rispose Ozh-en, e si alzò per andare a preparare la cena.
Il campanello squillò e il bimbo, con gli occhi sgranati, chiese a Ozh-en: «Mamma, devo andare ad aprire?».
«Certo – rispose la mamma – vai che è arrivato papà».
E il bambino incominciò la sua difficile vita.

Su questo bambino influisce una madre la quale, scontenta della sua condizione nella famiglia, scontenta del suo rapporto col marito, scontenta della posizione femminile nella società, proietta sul bambino le sue ansie, le sue paure senza rendersi conto del danno che fa alla costituzione di questa nuova personalità, la quale resterà squilibrata.

In quel momento sì che, allora, il bambino trasformerà il suo complesso edipico in un modo per ottenere ciò che non ha, ovvero per ottenere quell’affetto, quella sicurezza, quella tranquillità che la madre (della favola) non gli dà, per sconfiggere quei fantasmi che la madre fa nascere dentro di lui; per togliere quel disagio nel momento in cui un padre che sembrava ormai sparito (e, quindi una possibilità di affetto, di emulazione, scomparsa) si ripresenta sbilanciando completamente il suo essere interiore e mettendo in dubbio ciò che egli ha preso da questi genitori, spaventandolo al pensiero che lui ha copiato queste persone e queste persone forse non avevano cose belle da copiare.

Ecco da dove può nascere il rancore nei confronti dei genitori: nella disillusione da parte dei figli! Ecco il perché delle domande poste l’altra volta, (“Quali sono i ruoli della madre e del padre? Che differenze vi sono, chi è più importante?” ndr) in quanto entrambi i genitori sono ugualmente importanti.

La vostra società solitamente pone l’accento sulla madre, ma il ruolo di entrambi i genitori è importante, non può essere soltanto la madre. Se fosse soltanto la madre, allora sì che veramente il figlio nascerebbe in condizioni squilibrate fin dall’inizio, completamente squilibrate.

D – Mi è stato detto che a volte, se la madre rimane sola (nel senso che il marito o non c’è o è sempre assente) è costretta ad assumere ambedue i ruoli, perché deve fare la parte della tenera madre che perdona e del padre severo che castiga…

Ecco, questo è un altro elemento, un altro aspetto, che potrebbe essere abbastanza importante da considerare.
Così come è strutturata la società, e così come è distribuito il ruolo e i compiti tra il maschio e la femmina, accade che la femmina allorché se ne presenta l’occasione ed è messa in condizione di fare padre e madre, vi riesce, solitamente; il maschio invece, quando si trova in condizioni di dover fare madre e padre, difficilmente riesce a farlo in modo adeguato, in modo giusto. E questo, ripeto, è uno squilibrio creato proprio dal condizionamento, dal modo di essere della vostra stessa società.

D – Non può essere che l’incapacità del padre di essere padre e madre discenda anche dal fatto che lui non ha partorito, quindi non è in condizioni di aver avuto una certa esperienza e, quindi, di saper affrontare questa “maternità”?

Guarda, cara, per avere una bellissima maternità, felice, contenta e consapevole è necessaria, intanto, una grande evoluzione. La maggior parte delle maternità sono ricordate per le paure, per le difficoltà, per la fatica a camminare, per tutti i limiti che la maternità pone, per i problemi di coppia che la maternità può far nascere, per tutti questi fattori che fanno, insomma, della maternità una cosa desiderabile ma soltanto fino a un certo punto, poi, alla realtà dei fatti.

Il fatto che il marito non passi attraverso alla gravidanza, se da una parte gli toglie questo tipo di problematica, dall’altra parte gli offre però la possibilità di comportarsi veramente come compagno, di osservare il suo egoismo nei momenti in cui questo figlio incomincia ad avvicinarsi sempre di più al momento della nascita. E quello può essere un momento bellissimo anche per il padre, se sa viverlo nel modo giusto.
Certo che se il padre è la figura che viene presentata solitamente, che porta i cioccolatini alla madre perché è incinta e poi se ne va alla partita, allora il momento non sarà più bello ma sarà un momento egoistico.

D – Quindi i ruoli sono identici?

I ruoli certamente sono identici. Può esserci un ruolo diverso dal punto di vista fisiologico, su questo non c’è dubbio, però dal punto di vista dell’accrescimento della personalità del bambino i ruoli sono identici e alla pari. 
Entrambe le componenti del padre e della madre sono strettamente necessarie e indispensabili al bambino per strutturare se stesso, ed è questa la grande responsabilità che entrambi i genitori hanno.

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D – I bambini che invece crescono in un istituto, come possono sviluppare questo senso…?

Dipende sempre, mio caro, dall’ambiente in cui è inserito il bambino.
In buona parte dei casi bisogna considerare anche che vi è un’evoluzione di base nell’individuo, no? Voi considerate, ad esempio come mi sembra che dicevate nel corso della discussione, due gemelli esposti alle stesse situazioni, alle stesse tensioni, e supponiamo (anche se non è mai così) con gli stessi identici comportamenti nei confronti di quei figli da parte dei due genitori.

Eppure, malgrado questo, i due figli si dimostreranno poi con reazioni molto diverse l’una dall’altra, e questo un po’ per questioni genetiche, ma principalmente per questioni evolutive. Perché, come vedremo in seguito, la stessa conformazione genetica dipende molto dall’evoluzione: vi sono dei particolari ricettori che mettono in moto o inibiscono le condizioni genetiche iniziali di partenza… ma questo è un discorso lungo e difficile.

D – Hai parlato di disillusione da parte del bambino che non trova ciò che gli serve nel modello del genitore, puoi parlare di questo?

È la disillusione per i suoi desideri.

D – E’ un’interpretazione sua?

Certamente. Naturalmente è quello che tutti i giorni osservate nei bambini che copiano gli atteggiamenti dei genitori: vedete anche voi che non sempre copiano gli aspetti belli; copiano gli aspetti che a loro “sembrano” belli; ad esempio, un padre che scherza molto.
Copiano questo atteggiamento e magari il padre scherza molto e non si cura degli altri, scherza molto perché è molto egoista, ma il bambino non si può rendere conto di questo!
Resta affascinato dall’apparente affabilità, sensibilità, allegria del padre e copia questo atteggiamento, e questa sarà una disillusione poi, interiormente, quando si renderà conto di aver fatto la scelta sbagliata nel copiare proprio quell’aspetto.

D – Io pensavo alla disillusione nel senso…, cioè se il bambino non apprezza sufficientemente la personalità, il comportamento del genitore.

Ma non diamo troppa autonomia al bambino di pensare, di capire, di comprendere! Il bambino, fino a una certa età, è praticamente istintivo, opera le sue scelte attraverso i suoi bisogni, i suoi desideri, non attraverso una scelta consapevole.
Il discorso incomincerà a cambiare dopo i sette anni principalmente, quando il corpo mentale comincerà a costituire i suoi allacciamenti e anche il corpo akasico comincerà appena appena a costituire l’allacciamento con il seguito dell’individualità.
Allora sì che la cosa diventerà più complessa e potrà esserci una scelta più consapevole, anche se chiaramente limitata per mancanza di esperienza da parte di quell’Io.

D – Quindi, se vi sono dei problemi interpersonali tra figli e genitori, vengono dopo le incomprensioni?

Vengono dopo, anche se sono basate sulle disillusioni avute negli anni precedenti.
Il bambino, in poche parole, tende a idealizzare i genitori e quando viene il momento della realtà dei fatti è difficile poi che riesca ad accettare di essersi sbagliato così completamente sui genitori, riportandoli ad una concezione di persone umane, normali.

Allora, corre il rischio di passare al comportamento opposto, quello del rifiuto totale, per cui entrano in gioco gli scontri generazionali, gli scontri adolescenziali, i rifiuti, i comportamenti antipatici, asociali, e via dicendo; che non sono, naturalmente, la norma, ma che possono essere segno di una non risolta accettazione delle scelte fatte dal bambino stesso, non delle scelte fatte dai genitori.

Di solito, si dà la colpa ai genitori (ed in parte è vero perché la loro responsabilità è grande), ma il bambino in realtà dà la colpa a se stesso per i suoi errori.
Non mentalmente, naturalmente: interiormente.

D – Da lì allora il famoso “amore-odio”, perché da una parte sentono l’amore ma dall’altra c’è questo senso del contraddire sempre; è per questa loro incomprensione, perché si rendono conto di aver interpretato male?

Certamente, in buona parte sì, senz’altro. Naturalmente nei casi in cui i genitori siano genitori quanto meno “normali”.

D – Volevo anche chiederti: questa idea dell’androgino… Tu hai parlato di unità interiore, dei due sessi che interiormente non dovrebbero esistere perché con il tempo magari si avrà questa unione, però è esistita la figura dell’androgino (non so se nella mitologia o in che altro). E’ un’idea che è sorta per la conoscenza che si aveva, oppure prima esisteva questa unità che poi si è spezzata? Cioè, la mitologia quanto ha preso da una realtà preesistente –  ad esempio dalla razza atlantidea – o quanto sapeva che in futuro sarebbe diventato così?

Dalla razza precedente le idee esoteriche sono trapelate, idee che, come voi sapete, spesso vengono portate alla razza successiva attraverso simbolismi, molto spesso attraverso dei miti. 
Quindi l’idea dell’androgino, l’idea dell’individuo unito è uno dei miti principali, in quanto è sempre la meta di ogni individualità che si incarna.

L’individuo, sempre, deve diventare un’unità per diventare il Tutto; altrimenti, finché resta frammentato, finché frammenta la realtà, finché crea una separazione non soltanto con la realtà esterna ma anche addirittura all’interno di se stesso, non riuscirà a comprendere veramente la realtà delle cose.

D – Quindi una nuova razza nasce con questa separatività, per divenire “uno” al suo completamento?

E’ un po’, ancora, l’analogo del “così in alto, così in basso”: l’Assoluto si frammenta (virtualmente, ndr), si frantuma, e l’individualità interiormente si frammenta, si frantuma, per poi doversi riunire, così come l’Assoluto poi si riunisce.

D – Però non è la stessa individualità che si frantuma: si nasce frantumati all’inizio di una razza?

Solo fuori siete rimasti frantumati. È perché si ha l’illusione di essere frantumati, in quanto il corpo akasico non riesce a comprendere l’unitarietà di se stesso.

D – C’è un argomento di attualità: il problema dell’adozione da parte di una “single” (come si dice oggi) cioè una persona sola, donna o uomo, proposta da un’attrice italiana famosa che avrebbe questo desiderio ma c’è la legge che glielo impedisce. Se, come dicevi, prima il bambino ha bisogno di entrambi i genitori, quindi…

No, non ho detto così. Ho detto: “Ha bisogno di entrambe le figure”.
E’ una cosa diversa.

D – Sì, quindi sarebbe da sconsigliare un’adozione solo…

No. Chi ha detto che avrebbe solo una figura? Bisogna vedere se accanto a questa persona vi è un’altra figura in grado di essere un modello maschile, paterno, per il bambino.

D – Quale riferimento manca ai giovani, oggi, che così frequentemente si perdono? Dico si perdono, si staccano dalla famiglia, prendono atteggiamenti avversi nei confronti della società ponendosi in condizioni tali da fare solo del male a se stessi?

Manca chiaramente il riferimento fornito dal modello dei genitori, in quanto non riescono a prendere dai genitori ciò che serve a loro per essere equilibrati, in quanto i genitori stessi sono squilibrati all’interno della società.


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Leonardo

Ogni incarnazione sembra ripetere il ciclo attraverso cui L’Assoluto si manifesta: unità-manifestazione (molteplice e, dunque, frammentarietà virtuali)- unità.
Il complesso edipico è una tappa di questo viaggio verso sé in quanto unità, la quale necessariamente deve passare per la scissione per diventare unità consapevole.
Appena venuti al mondo già ci si muove in tale direzione, poiché il bambino:
“Cerca di diventare una creatura completa, cerca di inglobare tutti gli aspetti che gli piacciono”.
Questo almeno è il mio intendimento.
Concetti nuovi da meditare.
Grazie.

Nadia

Sia con gli occhi del figlio che con quelli del genitore, si colgono in questo post, aspetti importanti.

Paolo Carnaroli

Mitizzazione – disillusione – rifiuto – riconciliazione.
Vedo in questo processo vissuto nel rapporto figlio – genitori la coscienza che fa esperienza dell’unità. Da quella inconsapevole nella mitizzazione (una identificazione) passa alla crisi e alla separazione, per giungere poi se le comprensioni sono sufficienti all’unità nelle rispettive diversità. Al di là dei limiti, propri e dei genitori.

Alberta pucci

Post con spunti molto interessanti che non conoscevo, da rileggere con cura

catia belacchi

Mi è sempre parsa molto macchinosa la teoria freudiana del complesso edipico.
Molto chiara e consequenziale la spiegazione di Scifo. Nessun rapporto edipico ma le diverse reazioni del bambino alle relazioni che si instaurano nella triade, dove spesso il bambino sente di dovere riequilibrare ciò che nel rapporto parentale è sbilanciato, avvicinandosi di più al genitore che avverte “trascurato” dall’altro.

Natascia

Non ho potuto fare a meno di collegare quanto scritto sull’importanza di entrambe le figure genitoriali, all’esperienza che mio nipote vive.
In una società, come quella dei popoli del nord Europa, in cui le differenze dei ruoli genitoriali, sono molto meno accentuate che nella nostra cultura, il bambino vive meno probabilmente, lo “squilibrio affettivo”.
Ho notato, comunque, un certo attaccamento alla mamma, in particolare il primo anno e mezzo di vita, pur avendo un papà molto presente.
Questo mi ha fatto pensare che la questione dell’attrazione dei sessi opposti, non fosse solo teoria.
Alla luce di quanto è emerso, devo rimettere in discussione questo aspetto.

Anna

Di fondo vige la legge dell’equilibrio nei rapporti genitori-figli.
Legge basica per una corretta interpretazione della realtà.
Tutto si riaggancia al livello evolutivo degli individui in cui ogni sbilanciamento produce ciò che definiamo “patologico”

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