Domande sulle esperienze che si ripetono e sui karma relativi

D – Io vorrei chiedere qualcosa a proposito dell’individuo che si ritrova a vivere una medesima esperienza, anche se ogni volta che la vive c’è qualcosa di leggermente diverso rispetto alla volta precedente.

Se si ripete, evidentemente, ciò significa che l’individuo non ha compreso a fondo qualcosa che avrebbe dovuto imparare dall’esperienza stessa.

Il discorso è questo: non vi aspettate che un’esperienza che si ripete vi debba insegnare soltanto una cosa. Può darsi che l’esperienza si ripeta anche dieci volte nel corso della stessa vita ed ogni volta essa deve insegnarvi qualcosa in più, qualcosa di diverso rispetto alla volta precedente.

 Può darsi benissimo che ogni volta che l’esperienza si presenta sia un allargamento della comprensione della prima volta, dalla quale, magari, avete tratto già qualcosa.
Però vi può essere, forse, un termometro per comprendere quand’è che, invece, non riuscite a capire qualcosa, ossia il fatto che l’esperienza che si ripresenta, invece di perdere un pochino alla volta il suo valore emotivo, esso aumenta, aumenta la sofferenza, aumenta il turbamento, aumenta il disagio, facendovi sentire come pesci fuor d’acqua. Scifo

D – Comunque, ad ogni modo, qualsiasi tipo di vita uno conduce, non è che rimanga improduttiva, c’è sempre qualcosa da imparare, no?

Questa la metteremo tra le massime del mese! Beh sì, lo so che a volte, guardandovi, facendo un bilancio della vostra vita, vi viene da pensare che essa sia improduttiva…
Però, anche nei momenti in cui sembrate più “restii” (non parlo di voi, ma in generale), in realtà, qualcosina arrivate lo stesso a comprendere. Scifo

D – Io penso che quella situazione che mi si presenta sempre sia di origine karmica, ma quando credo di averla compresa, dopo un po’ mi si ripresenta allo stesso modo o con qualche sfumatura diversa. Mi si ripresenta perché non ho capito, o perché devo approfondire, o perché è un karma…

Qualsiasi situazione è sempre – senza dubbio e ricordatelo sempre – di origine karmica, ad esempio il fatto che al nostro figlio M., alla fin fine l’esistenza continui a prospettare certe esperienze lavorative piuttosto che altre, anche questo ha un perché, perché da quel tipo di lavoro, di esperienza e di vita può arrivare a comprendere qualche cosa con maggiore facilità che se vivesse in un altro ambiente, e facesse altri lavori ed altre opere.

Allorché avrà tratto da quell’esperienza tutto ciò che di utile poteva trarre, o allorché chi presiede al suo cammino in questa vita deciderà che quell’esperienza continuerà a ripresentarsi inutilmente, allora a quel punto l’esperienza si ripresenterà in un’altra vita e passerà in questa ad una fase diversa, e quindi si presenterà un lavoro diverso.

Per quello che riguarda invece te, figlia, il discorso è simile come è simile per tutte le esperienze karmiche che si ripresentano, è chiaro che quel tipo di esperienza se continua a ripresentarsi è perché è mossa da delle cause tue, da un comportamento che non riesci a modificare a sufficienza in quegli aspetti che potrebbero far sì da non far muovere più le cause all’origine dell’esperienza.

Non si può dire che da questo ripresentarsi di esperienza tu non abbia ricavato qualche cosa: certe piccole intuizioni, certi aggiustamenti, certe sfumature del tuo comportamento senza dubbio si stanno gradatamente trasformando, però non si sta trasformando quello che è alla base dell’esperienza che si presenta, quindi qualche cosa di ancora più profondo nel tuo modo di essere, di fare, che ancora non hai compreso e quindi non sei riuscita a modificare, quindi dovresti cercare di andare più in profondità.

È che purtroppo, dicendo questa frase, mi rendo da solo conto che innesca automaticamente un processo razionale, per cui l’individuo comincia ad esaminarsi mentalmente, razionalmente, andando a cercare magari le cose più strane, le cause più strane, quando invece può essere semplicemente un comportamento – che so io – sto cercando di dirti un qualche cosa che ti offra un indizio senza dirti troppo per non rovinarti la scoperta dell’esperienza.

Diciamo che molto spesso quando si tratta di karma, l’uomo è abituato a pensare a grossi perché come cause del karma, e la grossezza, l’entità di questi perché è di solito motivata o pensata, mediata dai condizionamenti di tutta la vita, dai condizionamenti sociali, dai condizionamenti familiari e via dicendo, quindi si dà importanza a certi atteggiamenti, mentre si sopravvalutano, o non si notano altri che sembrano di poco conto.

Così può accadere che un karma ripetitivo possa semplicemente far comprendere, che so io, per esempio la mattina alzandosi  e uscendo per strada, incontrando una persona che si conosce e che saluta, invece di restare chiusi in se stessi e non accorgersi, magari, del saluto, si dovrebbe imparare ad essere aperti agli altri anche in quei momenti, e restituire il saluto perché chi saluta è perché desidera, ha bisogno di ricevere un contatto, una conferma, dagli altri.

Lo so che sembra enigmatica questa mia spiegazione, ma è soltanto un esempio per far comprendere come non necessariamente un karma nasconda una grossa pecca nell’individuo, questo è sempre relativamente, ripeto, a valori attribuiti al condizionamento umano.
Mi vuoi chiedere per chiarire un po’ di più? Moti

Letture per l’interiore: ogni giorno, una lettura spirituale breve del Cerchio Ifior e del Cerchio Firenze 77, su Whatsapp. 
(Solo lettura, non è possibile commentare) Per iscriversi

D – A me sembra di essere abbastanza aperta al dialogo nei confronti degli altri, quindi evidentemente per me dovrebbe essere qualcosa d’altro.

Potrebbe essere anche un esempio per contrario, sempre come esempio, non dico che sia il tuo caso, ma potrebbe essere che magari tu sorridi, sei disponibile, perché hai questa tranquillità, magari, questa serenità interna del momento e sottovaluti e non ti accorgi del vero bisogno dell’altra persona che ti sta davanti.

Comunque per non farti scervellare troppo posso dirti che non è una cosa grossissima quella che devi comprendere, è semplicemente un nuovo diverso atteggiamento nei confronti di certe persone e di certe situazioni, certamente tu magari ti comporti in modo apparentemente diverso, però in modo tale che gli altri si rendono conto che la tua diversità di comportamento è voluta e non sentita e basta un nulla, in realtà, per farti ricadere poi in quanto gli altri si aspettano che tu faccia, devi insomma riuscire a trovare un comportamento più sentito in questo.

Un po’ come se uno dicesse ad un’altra persona: “Io vorrei che tu fossi più sorridente” e l’altra persona dicesse: “Bene, io devo essere più sorridente”, e in tutti i momenti sorridesse di continuo per far vedere che è sorridente, però se l’altro è sensibile si accorge che il suo sorriso non è spontaneo, e quindi il problema resta irrisolto, tale e quale. Moti

D – Vorrei sapere se questo corpo akasico può fare dei tentativi sbagliati. Cioè noi, nella nostra personalità umana, nella nostra incarnazione, siamo in grado di sentire questi fili del corpo akasico che tirano, che si stimolano, oppure il corpo akasico è come un burattinaio che tira i fili e noi siamo dei burattini e ci muoviamo per conto nostro?

Io direi che vi è la possibilità di rendersi conto delle spinte interiori che conducono verso certe situazioni; e tu, cara, pensa un attimo al tuo passato, pensa a quante volte, più di una volta sapevi che mettendoti in una certa direzione, in un certo rapporto, avresti avuto dei problemi. E quindi era una spinta sbagliata quella che ricevevi ma – malgrado tutto – alla fin fine ti sei lasciata spingere. Georgei

D- Sì, ma chi è che mi spingeva? Il corpo akasico o ero io, la mia mente?

Diciamo che il corpo akasico, come dicevi tu prima, spinge verso le esperienze. Non è sicuro che le esperienze siano veramente quelle che servono, non è detto che abbiamo compreso, che abbia tutti gli elementi per aver compreso quale possa essere l’esperienza necessaria. Spinge verso l’esperienza. D’accordo? Georgei

D – Sì. Se io sento di essere spinta verso l’esperienza, quasi una specie di impulso irrefrenabile verso l’esperienza che magari la mia ragione, la mia mente, mi può anche dire: “Stai attenta che finirai male, stai attenta che andrai a finire nei pasticci” però la voglio fare lo stesso, è perché io desidero seguire il mio corpo akasico?

Il più delle volte è perché questa esperienza viene strumentalizzata e predomina la spinta dei bisogni dell’Io; perché, magari, si ha un momento di sbandamento, di solitudine, di tristezza e l’affetto di un’altra persona può dare l’impressione che possa eliminare questi problemi, o per tutti i motivi che possono spingere l’Io in generale.

Il più delle volte, quando la spinta dell’akasico non è indirizzata direttamente verso l’esperienza che veramente è giusta, l’esperienza viene compiuta poi sotto l’influenza del proprio Io, dei desideri di appagamento del proprio Io, il che, naturalmente, per l’akasico non cambia niente, perché ricava poi esperienza e comprensione anche dal risultato di quello. Georgei

D – Quindi è servita, l’esperienza dolorosa è servita?

Certo, serve comunque. Non soltanto serve comunque, ma fornisce al corpo akasico quegli elementi che prima non aveva per indirizzarlo verso l’esperienza che serviva di più, verso l’esperienza più adatta. Georgei

D – Se però io non ho capito niente a livello umano di questa esperienza ed ho semplicemente seguito i fili del burattinaio, e il burattinaio invece, ha rimarcato, ha preso nota, dovrò ancora ripetere un’esperienza del genere?

No, no. L’importante è che abbia compreso il corpo akasico, non che abbia compreso la tua mente. Spieghiamo meglio questo discorso: voi sapete che la comprensione non passa necessariamente attraverso i meccanismi del cervello, ma uno può comprendere senza che l’individuo, all’interno del piano fisico, ne sia consapevole, se ne renda conto, e questa comprensione si iscrive direttamente nel corpo akasico. 

Questi dà, poi, le spinte verso il piano fisico affinché il corpo fisico si indirizzi verso le esperienze di cui il corpo akasico pensa che abbia bisogno per ricevere altri elementi in cambio. Ora, naturalmente, quando un’esperienza negativa di qualche tipo è stata compiuta, anche se il corpo fisico sembra non avere ricevuto nulla da quell’esperienza, non riceverà più le spinte dal corpo akasico verso quel tipo di esperienza perché il corpo akasico sa che non ne avrà più bisogno, così lo indirizza verso un’altra esperienza. Georgei

D – E non può capitare, invece, che il nostro cervello dica: “Oh, mi piacerebbe ancora ripetere un’esperienza così?”.

Non è detto che dire “basta” significhi che il corpo akasico abbia capito; anzi, potrebbe voler significare che il corpo akasico abbia deciso che quella esperienza era troppo pesante per te e che non eri pronta ad affrontarla, e così la rimanderà ad un’altra esistenza. Che poi, se ci pensate bene, è il discorso delle Guide sull’esperienza non compresa che si ripresenta nel corso del cammino fino a quando non viene compresa. Georgei

D – Ma allora non ha senso più di tanto arrivare a delle conclusioni logiche in seguito ad un’esperienza?

Sì che ha senso, perché se il cervello l’avete, se è messo a disposizione del vostro corpo mentale, se il corpo fisico l’avete, con le sue sensazioni belle, meno belle, felici, vergognose o come le volete connotare voi, vuol dire che devono servire a qualche cosa.
Infatti servono a fornire dati al vostro corpo akasico.
Quindi, il fatto che voi ragioniate su un’esperienza, mette in moto non soltanto il vostro corpo fisico, il vostro cervello, ma anche le vostre emozioni, il vostro ragionamento e tutte queste vibrazioni arrivano poi a portare qualche cosa al corpo akasico; qualche cosa che poi  il corpo akasico vi restituirà, magari attraverso a un’altra esperienza. Georgei

D – Io ho un dubbio che riguarda una definizione che è stata data del corpo mentale identificato come il “pensatore”. Io direi che c’è un pensatore che utilizza il corpo mentale per produrre pensieri…

Il discorso del “pensatore”, se non ricordo male, era stato fatto quando si era parlato del cervello, a proposito del fatto che tutti noi, quando si è incarnati, si tende a identificare noi stessi col nostro cervello e col fatto che, apparentemente, il cervello pensa.
In realtà, vi abbiamo detto, non è il cervello che pensa ed esso non è altro che il terminale attraverso il quale passa lo scambio dei dati sulle esperienze fatte nel piano fisico. È il ricettore degli elementi su cui pensare, mentre ciò che elabora il pensiero, che gli dà forma e struttura è il corpo mentale che, proprio per questo motivo, è stato chiamato “il pensatore, e che è l’elaboratore della forma e della maniera di ragionare. Sul fatto che, poi, il vero pensatore sia, in fondo, la scintilla, non vi sono dubbi, ma dirò di più: se vogliamo dirla alla Scifo possiamo arrivare ad affermare che l’unico vero pensatore non sia altri che Dio, il quale ha pensato tutta la Realtà. Georgei


Letture per l’interiore: ogni giorno, una lettura spirituale breve del Cerchio Ifior e del Cerchio Firenze 77, su Whatsapp. 
(Solo lettura, non è possibile commentare) Per iscriversi

Aforismi del Cerchio Ifior, il mercoledì su Facebook

Politica della privacy di questo sito da consultare prima di commentare, o di iscriversi ai feed.


0 0 votes
Valutazione dell'articolo
Subscribe
Notificami
guest

4 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
natascia

Mi e’ abbastanza chiaro che le comprensioni, frutto dell’esperienza, si inscrivono nel corpo akasico, potendo bypassare anche la mente. Altrimenti la vita di coloro che hanno le funzioni cerebrali al minimo non avrebbe senso. Magari ognuno di noi, in vite precedenti, puo’ aver sperimentato quella condizione. Posso dire per esperienza, che raggiunte alcune comprensioni, non da un punto di vista concettuale, perche’ faticherei a spiegarle, alcune situazioni non si presentano piu’. Anzi, fatico a comprendere ora, come siano state possibili. Quel che voglio dire e’ che, per quanto mi riguarda, se ho raggiunto delle comprensioni, e, credo che in minima parte sia cosi’, non e’ stato frutto di un lavoro mentale, ma prettamente esperenziale. Con cio’ non voglio dire, che sono una stupida, non credo si possa far riferimento alla capacita’ intellettiva, ma che la mia meccanica sia tale che privilegi alcuni ambiti, che altri. Confido nella saggezza del mio corpo akasico e accetto di essere strutturata in un certo modo, cercando di superare i miei limiti. In qualche misura questo a contribuito a farmi vedere il limite dell’altro con maggior tolleranza e compassione.

Nadia

Come per Natascia, è chiara l ‘esperienza che passa per il piano akasico, senza la consapevolezza del processo mentale. Ciò che più mi ha colpito, sono i così detti campanelli di allarme che avvertiamo, circa il ripetersi di una scena e cioè aumento di turbamento, disagio, sofferenza. Indicatori che, non si è sulla strada giusta per la comprensione.

catia belacchi

Il post è da tenere a mente sia per quanto concerne il concetto di karma, sia PER il formarsi delle comprensioni. Quello che non avevo chiaro, è che tutto ciò che ci accade è di origine karmica, come spiega Moti. Ad esempio pensavo che gli psicosomatismi fossero esperienze per comprendere nella vita che si vive al momento, non che ce li portiamo come karma.

anna

Il meccanismo che porta alla comprensione è chiaro. Rifletto sul passaggio in cui la comprensione porta un cambiamento nel comportamento dell’individuo, per esperienza mi viene da dire spesso quasi impercettibile, che rispecchia e risuona a livello della coscienza. Il più delle volte deduco l’acquisizione di comprensioni proprio osservando come il mio comportamento verso l’altro cambia senza che questo sia stato messo in atto da un’azione volontaria della mente.

4
0
Vuoi commentare?x