Eccoci giunti all’apertura del nuovo ciclo di insegnamento (anno 1994/1995, volume 5 della collana Dall’Uno ai molti, ndr) che ci vedrà e vi vedrà impegnati ad affrontar argomenti di non facile comprensione.
Tuttavia riteniamo che i tempi siano maturi e che ognuno di voi, al proprio interno, dopo un lunghissimo lavoro di preparazione, sia pronto ad approfondire quelle tematiche che sino ad oggi sono state trattate in maniera superficiale. Ci auguriamo anche che ognuno di voi, in caso di difficoltà di comprensione, trovi l’umiltà di chiedere delucidazioni, per poter proseguire nella maniera più proficua per tutti.
Non anticiperò quanto verrà detto nel corso di questi nuovi incontri, anche se le premesse di questo erano già state anticipate nel corso dell’ultima seduta del ciclo scorso.
Sarà indispensabile il vostro impegno nello stilare domande precise, chiare e semplici nella loro forma, in modo da evitare quelle lunghe e confuse domande che nel passato hanno procurato, a volte, inutili dispendi di energie; questo anche perché sarebbe auspicabile che prima di formulare a noi i vostri dubbi, riusciate a trovare una risposta discutendo tra di voi, senza dare merito o discredito a qualcuno: in un gruppo c’è sempre la persona che arriva più vicino alla realtà, e quindi ognuno di voi potrà essere, a seconda dei casi e dei momenti, protagonista oppure semplice spettatore, ed in entrambi i casi dovrebbe, con umiltà, imparare a dire quanto ha capito o imparare ad accettare quanto viene detto da un altro indipendentemente da chi quest’ultima persona sia.
Stiamo entrando nel quarto anno di questo nuovo tipo di sedute di insegnamento e riteniamo che tutti voi siate ormai in grado di superare quelle che possiamo definire “antipatie” o “simpatie” personali, in modo da poter fare “insieme” – e per insieme intendo sia con gli “antipatici” che con i “simpatici” – un lavoro costruttivo per l’insegnamento. Fabius
In che modo e in quale misura io, individuo incarnato nel mondo fisico, sono responsabile del mio agire se – da quanto ho appreso fino ad oggi – rappresento soltanto un minuscolo tassello di un grande mosaico già completo nella sua vastità?
Questo l’interrogativo con cui si era chiuso il ciclo scorso, anche se una risposta – seppure in forma velata – vi era stata fornita.
La risposta non aggiungeva tuttavia nulla a quanto già sapevate: si fa parte del disegno in maniera sempre più consapevole fino ad arrivare non solo a sentirsi parte del disegno – il che è già tanto – ma essere il disegno stesso nella sua totalità.
Questo, in fondo – mi ripeto – lo sapevate già, vi era stato detto e ridetto e ribadito ancora in altri tempi, tuttavia nel porvi questa questione avevamo – come dire – scisso la parte spirituale dell’individuo da quella strettamente fisica o meglio ancora dall’Io fisico.
Cosicché ognuno di voi sapeva – e spero sappia – che la parte spirituale dell’individuo non va identificata con l’Io attuale, peraltro illusorio, e che essa (parte spirituale) vivendo una specie di “vita autonoma” (scusatemi l’improprietà del linguaggio ma non c’è di meglio per farci comprendere da voi) ha perseguito una certa evoluzione che l’Io non manifesta e continua a perseguirla, tramite le esperienze di quell’Io, quasi come se non gliene importasse nulla di quell’Io che è per lei soltanto un mezzo, uno strumento per acquisire nuove conoscenze necessarie al suo scopo che resta, sempre e comunque, quello di procedere lungo il proprio cammino evolutivo.
A questo punto ha ben ragione l’Io a dire: “Allora io che ne posso di quel che faccio, quale responsabilità mi può essere attribuita se il mio agire è finalizzato da qualcosa di diverso da me, e se il mio esistere è solo uno strumento di questo qualcosa di diverso“? Ne ha ben donde, non vi pare?
Eppure ultimamente sono state dette alcune cose per cui è evidente che le cose non stanno proprio in questi termini e da questo punto partiremo per cercare di dare una risposta più approfondita anche alla luce delle nuove conoscenze che siete venuti acquisendo in questi ultimi tre anni.
Devo però prima chiarire un punto che so essere oscuro per alcuni di voi. Anni fa era stato detto che l’individuo incarnato non manifesta il sentire acquisito. Ed era stato fatto un esempio: io ho raggiunto un grado di sentire 8, (rapportato ad una scala di valori da 1 a 10, dove il 10 rappresenta ovviamente il massimo sentire) ma manifesto nel mondo fisico un sentire pari a 4.
Qualcuno si chiede: “perché non manifestare il sentire raggiunto”? Sarebbe tutto molto più semplice, non sorgerebbero dubbi, incomprensioni da parte vostra e allora… noi cosa verremmo a chiarirvi, a dirvi?
Bando agli scherzi e ritorniamo al nostro discorso: che cos’è che impedisce al mio sentire 8 di manifestarsi come tale nel mio vivere quotidiano?
Non può essere altri che l’Io che impedisce la totale manifestazione del vero essere dell’individuo ed i motivi di questo “ostruzionismo” da parte dell’Io possono essere diversi e vari.
C’è però una sostanziale differenza tra chi possiede un sentire di livello 4 e chi possiede un sentire di livello 8 e manifesta un comportamento da 4.
Ma per capirci meglio facciamo ancora un esempio.
Io ho un sentire di livello 8 e nel mondo della materia manifesto un sentire 4.
II mio amico Ernesto ha un sentire 4 e si comporta nel mondo della materia come se possedesse un sentire 3, quindi senza notevoli differenze.
Assistiamo assieme ad una rissa senza fare nulla affinché il malfatto non venga perpetrato.
Parlandone assieme arriviamo alla conclusione che tutto sommato il nostro comportamento è giusto perché affrontare i rissosi, molto più numerosi di noi due, avrebbe avuto come conseguenza soltanto il fatto di prender “delle botte”, pure noi.
Ci convinciamo così di aver fatto bene a non intrometterci e ad esserci allontanati alla chetichella dal luogo del misfatto. Giusto comportamento da sentire 4!
A questo punto Ernesto se ne sta tranquillo, in pace con se stesso.
Io no.
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Dapprima mi assale un senso di disagio, poi via via mi vengono in mente le varie soluzioni che avrei potuto adottare senza compromettermi personalmente e fisicamente, e la cosa mi tormenta non poco e per un certo periodo di tempo.
Non solo, ma non riesco neppure a trovare il conforto della comprensione da parte di Ernesto; infatti, riparlando con lui dell’accaduto e della situazione interiore che mi si è venuta a creare, mi rendo conto che lui proprio non può capirmi, al contrario di me che invece mi rendo conto che la sua tranquillità è reale e che il mio turbamento non riesce a “turbarlo” minimamente.
A questo punto si potrebbe dire: “Ma già il fatto che uno abbia avuto un “rimorso di coscienza” significa che il suo sentire è certamente superiore e che la persona è molto più sensibile di quello che ha manifestato”.
Giustissimo, tuttavia questo non aggiunge nulla al comportamento da sentire 4 che io ho tenuto in quella circostanza. Certo, probabilmente ad una successiva occasione simile, il mio comportamento sarà diverso grazie all’esperienza precedente, ma non posso essere sicuro di non trovare nuove “scuse” per manifestare un sentire minore di quello da me realmente posseduto; forse mi limiterò a manifestare un sentire 5.
Spero sia più chiaro, ed ho voluto riprendere questo discorso proprio in questa occasione perché non è del tutto slegato e a sé stante da quanto andremo a dirvi nel corso di questo ciclo.
Infatti si dovrà parlare nuovamente di “sentire” nella speranza che vi sia chiaro quanto detto a tutt’oggi sull’argomento, ed in seguito anche di “varianti”, che hanno costituito per voi da sempre un punto ostico ma affascinante.
Riparleremo di “sentire” perché è molto facile cadere nell’errore – dopo aver appreso che tutto esiste, che tutto E’ immutabile nell’Eterno Presente, che il Disegno E’ presente eternamente nella sua totalità – di dimenticare il “sentire”, invece bisogna che ricordiate che ogni mutamento, ogni cambiamento individuale è “sentire”, che lo stesso virtuale frazionamento della Realtà è “sentire”, che la vita stessa del Cosmo è “sentire” e che il Grande Disegno che E’ nella sua totalità non è qualcosa di freddo e distaccato ma è governato eternamente dal “sentire”.
I due argomenti summenzionati “sentire” e “varianti” non sono poi slegati tra loro, ma sono dipendenti l’uno dall’altro, ed il numero di varianti che l’individuo si trova di fronte è direttamente proporzionale al grado di sentire. Ma il numero di varianti o la variante in se stessa, proprio per sua definizione implica una libertà di scelta, ed ecco che allora anche il “controverso libero arbitrio” – che avevamo cercato di chiudere fuori dalla porta – rientra dalla finestra e ci dice che è giunto il momento di parlare ancora di lui.
Anche perché va ancora una volta ricordato che ogni attimo delle vostre esistenze fa parte del grande disegno, ed è presente come fotogramma nell’Eterno Presente, che rappresenta la storia del Cosmo in cui voi vivete, ma anche questi fotogrammi, non sono – come erroneamente si potrebbe credere – freddi, distaccarti, ma sono registrati con la stessa intensità con cui ognuno di voi li ha vissuti nel momento in cui li ha incontrati, ed ogni nuovo fotogramma che vivete è una conseguenza di scelte da voi fatte in precedenza nell’ambito della vostra libertà individuale come conseguenza del vostro grado di coscienza o, se preferite, “di sentire”. Nel disegno quindi c’è tutto: le scelte fatte e quelle non fatte, non solo ma anche di fronte ai “passaggi obbligati” avete un numero di possibilità di scelta, quantomeno nel modo di affrontare l’esperienza.
Per ritornare all’esempio di prima: non è che io non avessi possibilità di scelta per cui mi dovessi per forza di cose comportare da sentire 4: sarebbe assurdo visto che il mio sentire in realtà era 8; ma le “varianti” a mia disposizione in quell’occasione erano varie: avvisare telefonicamente le forze dell’ordine di quanto stava accadendo; andare di persona a cercare aiuto, intromettermi nella rissa – e fermiamoci a queste tre più quella che io ho scelto. Ognuna di queste scelte rappresenta un grado di “sentire” differente, dal più basso a quello più consono al mio grado evolutivo, e quindi sono stato io a scegliere il comportamento da 4, pur avendo la possibilità di scegliere quello da 8.
Se poi, era previsto – nel disegno – che io non potessi portare alcun aiuto o alcuna modifica a quanto stava accadendo, ecco che allora sarebbero sorti impedimenti di natura diversa: non sarei riuscito a trovare una cabina telefonica, non sarei riuscito a farmi ascoltare e convincere altre persone a fare qualcosa, mi avrebbero dato un cazzotto in modo da farmi perdere completamente i sensi, ma avrei avuto comunque la possibilità di scegliere un comportamento più consono al mio livello evolutivo. Vito
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Eterno presente, grande disegno, varianti… concetti che restano astratti, in parte capiti e non so quanto compresi…
Vito ha comunque espresso chiaramente la questione del sentire non pienamente espresso. Grazie.
Sento molto sulla pelle questo racconto…
Adesso ho la consapevolezza che le scene che la vita ci pone servono per proiettarci verso livelli di espressione di sentirti più ampi.
Complesso ed interessante. Grazie.
Espressione di sentire più ampi
Ritenevo che manifestare un sentire inferiore a quello acquisito, durante una incarnazione, fosse dovuto al fatto che quel grado inferiore fosse necessario ad acquisire comprensioni o sfumature di esse ancora non possedute. Ora sono in confusione. Perché è l io artefice di questo grado inferiore di sentire e non l intenzione che predispone l incarnazione?
Mi sembra un pochino semplicistico.
Dalla mia parziale e limitata prospettiva e’ molto piu’ complesso.
Usare come metafora di partenza ‘’il livello di sentire’’, credo che porti fuori strada.
Restando nell’esempio di Vito, puo’ essere che il sentire di grado 8 di quell’individuo sia legato alla capacita’ di empatia e di razionalizzazione ma che sia molto piu’ limitato riguardo alla velocita’ di elaborare una scena e alla gestione delle paure basiche.
Ecco quindi che il livello di sentire piuttosto alto relativo al mettersi nei panni di chi sta subendo un violenza crea un spinta ad intervenire affossata da dinamiche del non compreso che offusca la vista e inibisce le altre possibilita’ di interazione con la scena se non quella della fuga.
La riflessione a freddo sull’accaduto spinge poi il soggetto a rielaborare, a confrontarsi sul limite espresso e ad indagare sulle radici di quello che viene percepito come una mancanza.
Quindi il sentire di grado elevato spinge a far luce su aspetti legati ad un sentire di grado inferiore relativo ad un’altra fascia di sentire stesso.
Se il sentire fosse una espressione lineare e a spettro completo, ad ogni umano servirebbero una manciata di vite per non aver piu’ bisogno di incarnarsi.
Una re-azione consona del nostro amico di grado 8 richiede magari il ripetersi della scena per decine o centinaia di volte, magari attraverso molte vite; un dettaglio nei movimenti, una inflessione della voce, una postura del corpo o il respiro stesso, possono cambiare radicalmente la scena o quantomeno i dati che se ne traggono.
Insomma, come gia’ detto molte volte, e’ un lavoro di cesello senza fine, se proprio vogliamo tirare in ballo la fine dell’opera, potremmo dire che, sul piano fisico, finisce quando si esce dalla ruota delle incarnazioni anche se poi continua su altri piani …
Faccio un esempio dove metto del mio che e’ quasi certamente capitato a tutti.
Domani o tra una settimana, se rileggero’ quanto scritto, notero’ degli errori e delle imprecisioni che magari mi faranno arrossire; percepiro’ la componente egoica tronfia di averle scritte ma vedro’ anche che queste parole sono sostenute da un certo sentire e grazie a questo certo sentire si evidenzieranno appunto le lacune su alcuni fronti creando, spero, l’opportunita’ di fare meglio.
Il sentire e le varianti…
Mi pare di capire che, seppur tutto contenuto nel Grande Disegno, è il sentire individuale che determina le scelte e cioè fa emergere e mette in primo piano quei fotogrammi specifici che saranno mezzo e strumento per proseguire nell’ acquisizione di gradi di sentire sempre più ampi.