Comunicare alle altre persone – e non soltanto ai propri figli o ai propri genitori – quello che veramente si pensa significa offrire la possibilità di comprendere meglio la persona che sta loro davanti.
Com’è possibile essere compresi se non ci si mette in gioco scoprendo una parte di sé stessi?
Certo, per farlo è necessario superare gran parte delle barriere che da soli si mettono perché si ha paura di mostrarsi deboli; ci si arrampica sugli specchi per trovare mille scuse e mille motivazioni per non fare ciò che in realtà si sentirebbe come giusto. “Io non ho ricevuto nulla da giovane, quindi non ho imparato a ricevere e cosa posso dare se non so, se nessuno mi ha insegnato a dare?”.
Voi ragionate con la mente dell’Io e questa si ferma alla vita che state vivendo attualmente; in realtà l’individuo che riesce a dare, lo può fare nel momento in cui ha compreso qualcosa, non perché il genitore gli ha dato a suo tempo.
Quanti casi esistono – che voi conoscete – in cui i genitori non sono stati dei modelli di virtù eppure hanno ricevuto tantissimo amore dai figli, e viceversa! Se fosse vero il concetto che avete citato, questo non sarebbe stato possibile. Questo significa che, al di là del dare e del ricevere peculiare della vita che si sta vivendo, vi è qualche cosa in più che permette all’individuo di dare agli altri; questo qualcosa in più, cari miei, non può essere che l’aver compreso e questa comprensione nasce da lunghi momenti di sofferenza, di dolore e, principalmente, di condivisione con gli altri di queste sofferenze e di questi dolori, in maniera tale da poter osservare se stessi attraverso il rapporto con gli altri; cosa che – non ci stancheremo mai di ripetervi – è essenziale per riuscire a raggiungere la comprensione.
C’è anche chi dice: “Ma se i genitori non mi amano e io non li amo, è obbligatorio essere amati da loro, o amarli?”.
Certamente non è obbligatorio, anche perché forse il concetto di amore con cui vi relazionate a volte non è un concetto reale, ma uno piuttosto travisato, interpretato dal vostro Io e che si risolve molto spesso nel “mi amano perché mi danno quello che voglio”, oppure “li amo perché li accontento”: quello non è amore, è opportunismo.
Non è obbligatorio amare ma è inevitabile che, nel momento in cui ci si trova a condurre una vita con delle persone – siano esse i genitori, o i figli – si instaura un rapporto e questo va costruito, fondandolo un po’ alla volta su una conoscenza reciproca, ed è questa conoscenza la base del rapporto d’amore; se non vi è conoscenza, se non vi è condivisione delle esperienze, se non vi è capacità di far comprendere all’altro come si è, non soltanto nel bene ma anche nel male, allora il rapporto d’amore diventa un rapporto obbligatoriamente conflittuale. Scifo
Leggendo, mi rendo conto quanto siano diverse conoscenza e comprensione e come spesso si tenda a dare inconsapevolmente per scontate delle cose che poi si rivelano o inesatte o del tutto errate, perché non supportate da un’adeguata comprensione ma legate evidentemente a elementi di conoscenza che non sono stati ancora declinati in tutte le loro sfaccettature e implicazioni e non sono quindi ancora divenuti elementi di comprensione stabili della coscienza.
Grazie
‘…in maniera tale da poter osservare se stessi attraverso il rapporto con gli altri;’
E ancora:
‘se non vi è capacità di far comprendere all’altro come si è, non soltanto nel bene ma anche nel male, allora il rapporto d’amore diventa un rapporto obbligatoriamente conflittuale.’
Credo sia questo il lavoro, uno dei pilastri fondamentali del cammino.
L’amore non può essere condizionato se no, non è amore. Quando l’identificazione lascia spazio alla compassione, tutti quei concetti di rivalsa, di rancore accumulato nel tempo, dovuti alle piccole o grandi ferite che inevitabilmente abbiamo subito, perdono potere nel condizionare le nostre azioni ed i nostri pensieri. Riesci a vedere l’altro per quel che è, vedi il suo limite e vedi anche il tuo. Allora non è più importante dimostrare quanto la Vita sia stata ingiusta, non resta altro che andare oltre, perché riconosci nell’altro il tuo limite. L’altro allora diventa strumento di apprendimento e non più artefice della tua infelicità. Non è un percorso né facile, né privo di sofferenza, ma credo sia l’unica via possibile per fare pace con gli avvenimenti dolorosi del passato.