D – Quando tu dici di non identificarci con la nostra azione, è pur vero che l’azione che noi compiamo è il frutto di quello che siamo. A me l’unico modo che viene per non identificarmi con la mia azione è cercare di capirne le motivazioni…
Sì, però certamente i livelli di capire sono vari; perché ci potrebbe essere un capire a livello dell’Io, che non è che serva molto, ma ci può essere invece quello che noi ormai diamo come il top della possibilità di capire, ovvero l’osservazione passiva.
D – Sì, ma anche l’osservazione passiva è non emettere un giudizio; è veramente difficile da capire questa cosa dell’osservazione passiva!
Non riesco a comprendere cosa trovate di così difficile in questa cosa! Mi rendo conto che è il vostro Io che dice: «Io esisto, quindi devo in qualche modo interagire e diventare padrone anche di questa tecnica che mi sembra così pericolosa». Non capisco la difficoltà che possiate trovare, non mi sembra così difficile.
D – Infatti, secondo me, il concetto è semplicissimo, il problema è stare a metterlo in pratica perché, comunque, senza renderti neanche conto esprimi giudizi ogni qualvolta poni l’attenzione su qualcosa che fai! Per esempio, un piercing potrei chiamarlo mutilazione e potrei chiamarlo piercing. Da noi piercing fa molto figo, se lo chiamo mutilazione…
Infatti, dando un’attribuzione al piercing, positiva o negativa, stai usando il tuo Io.
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D – Il punto non è che se io, nel momento in cui decido di nominare quella cosa, mi viene da chiamarla piercing o mutilazione, e prendo semplicemente atto che ho scelto mutilazione piuttosto che piercing e dico: «Boh, ho fatto questa cosa qua».
Quella potrebbe essere già una strada per arrivare a qualche cosa, ad esempio; chiedersi il perché di questa connotazione che si dà a una certa cosa e non si dà invece a un’altra.
D – Forse si pensa che l’osservazione passiva sia non avere nessuna opinione; se io vedo una macchina che investe una persona e rimango lì impassibile, se viene inteso in questo modo, io penso che sia sbagliato perché è ovvio che quando vedo un evento ho la mia reazione spontanea, poi, però, osserverò; è un «poi» osservare passivamente la cosa.
È un po’ sottile la cosa. Diciamo che l’osservazione passiva potrebbe essere assimilata in qualche modo alla conoscenza, al prendere atto della situazione. Quindi, per l’esempio che hai fatto, prendi atto che questa cosa è successa e osservi, ma cosa osservi? Osservi la persona che sta morendo? Osservi l’auto che si sta macchiando di sangue…
D – Osservo la mia reazione.
Osservi la tua reazione? Anche. E lì, a quel punto, ti rendi conto che, osservando passivamente, vedi che questi elementi esterni o interni in qualche modo fluiscono nel tuo interiore, producono delle reazioni al tuo interno e puoi osservare queste tue reazioni.
E se continui a osservare quello che ti sta succedendo in tutti questi vari elementi, un po’ alla volta arriverai alla comprensione di che cosa ti sta suscitando tutto questo.
D – Potrebbe essere che la difficoltà di comprendere l’osservazione passiva sia dovuta al fatto che viene intesa come un diventare neutri nei confronti del mondo: cade un asteroide e noi rimaniamo lì, come ebeti e non facciamo una piega.
Eh no, è proprio lì la differenza. Certamente restate con una parte di voi stessi inerti rispetto all’esperienza, ma con le altre parti di voi reagite sempre e comunque. L’importante è che quella parte di voi che resta inerte osservi come voi reagite.
D – Esatto, ci deve essere la reazione, altrimenti non c’è l’oggetto dell’osservazione. Cosa osservo se non ho avuto una reazione?
La vibrazione deve attraversarvi in circolo, quindi per forza di cose deve essere così!
D – Quindi, in sostanza, se io do un cazzotto a uno allora io subito osservo questa cosa: «Ho dato un cazzotto», dopo di che il discorso è chiedersi: «Perché gliel’ho dato?». Il problema mio è che scatta subito il giudizio: «Ecco, ho sbagliato a dargli un cazzotto» ecc. In realtà può anche partire il giudizio, l’importante è poi osservarlo, perché anche quello è un elemento di conoscenza, poi, alla fin fine.
Quando tu dai un cazzotto a una persona, cosa fai? Osservi che hai dato un cazzotto alla persona. Punto e basta. Sul momento non ti fai nessun elemento di giudizio sulla base di quello che hai compiuto; poi però, chiaramente, c’è la reazione di quello che hai fatto e allora cosa succede? Succede che ti rendi conto che c’è un motivo per cui hai dato quel cazzotto; questo motivo è un motivo tuo, principalmente è una reazione tua; allora quale può essere questo motivo?
Può essere qualche cosa dell’altro che si è riflesso in te e ti ha fatto reagire; può essere una mancanza tua e, per scusare il tuo comportamento, hai reagito aggressivamente; può essere che l’archetipo sociale dice che quando uno ti dice quella cosa devi reagire aggressivamente, ad esempio. In tutti questi casi che ho citato, comunque sia, c’è qualcosa di te che si è riflesso all’esterno e che è ritornato in te provocando la reazione del cazzotto.
Osservando passivamente tutto questo sommovimento, tu puoi arrivare a comprendere cos’è che ha mosso il tuo comportamento; cosa c’era, non dico di giusto o di sbagliato, ma cosa c’era alla base che spingeva il tuo comportamento; quindi, è un restare immobili all’interno del proprio movimento. Scifo
Nell’osservazione passiva, che credo mettere in pratica, a volte c’è il timore di portare il fatto sul piano mentale.
Allora cambio pensiero.
Mi pare di capire che l’osservazione passiva segua l’azione, come momento non di giudizio ma di osservazione del perché è nata quella particolare azione.
È necessaria dunque per la conoscenza e lo a comprensione.
Grazie