Chiarimenti sull’operare del karma [A207]

Dalle vostre risposte e dalle vostre reazioni ai nostri messaggi riguardanti il concetto di karma, risulta evidente che vi sia la necessità di fornirvi alcune spiegazioni che possano aiutarvi a comprendere meglio un argomento così complesso e intricato come quello del karma.

Di conseguenza, cercherò di rispondere ad alcune delle domande che vi siete posti, tentando di aiutarvi a considerare nella più giusta prospettiva tale concetto.

D – Mi risulta difficile cercare una giustificazione a certe situazioni davvero contrastanti dove forse la sfiga o la poca fortuna, chiamatela come volete, costringe qualcuno a dover soffrire per l’intera vita passandola in affanno e costrizione mentre qualcun altro può permettersi di spendere un sacco di soldi solo per fare il pieno alla barca per fare qualche miglio in posti elitari. Forse «il sia fatta la Tua volontà» non riesco ancora bene ad inquadrarlo!

Osservando l’effettuarsi del karma dal punto di vista dell’Io incarnato (e, quindi, con una prospettiva limitata di osservazione, sia nel tempo che nello spazio) risulta indubbiamente difficoltoso farsi una ragione dell’esistenza degli effetti karmici e, in particolare, dell’estrema giustizia ed equilibrio che essi manifestano.

Non dimentichiamo che, in fondo, i processi karmici hanno una loro ben precisa funzione all’interno dello svilupparsi del percorso evolutivo individuale, ovvero quella di riportare costantemente in equilibrio ciò che avviene, nel suo cammino evolutivo, non all’individuo incarnato ma all’intera individualità costituita dal suo molteplice immergersi nella materia fisica con i vari processi incarnativi che l’accompagnano. 

Il percorso evolutivo dell’individuo è costellato di molteplici disarmonie comportamentali se riferito a quanto dettato come “giusto” dagli Archetipi Permanenti e tali disarmonie conducono, inevitabilmente, a degli effetti che ricadono sull’individuo incarnato con lo scopo, come abbiamo sempre detto, non di punire l’individuo ma di indirizzarlo verso la comprensione degli errori commessi. Il concetto di punizione divina, così spesso usato e abusato dalle varie religioni, anche se alla sua base magari c’è il tentativo di dare ordine e tentare di sfavorire l’ingiustizia sociale dettando delle regole etiche che reprimano i comportamenti eticamente scorretti e dannosi per la comunità, concettualmente può essere ravvisato come un non senso.

Qualunque genitore sa che punire il proprio figlio per qualche errore che esso può aver commesso (al di là degli egoismi magari messi in atto dai genitori) non ha la funzione di danneggiarlo o di “fargliela pagare”, bensì quella di insegnargli, facendogli vivere le conseguenze derivanti dal suo comportamento inadeguato, che non è stato in grado di tenere conto altri che di se stesso e dei suoi bisogni.

Allo stesso modo non avrebbe alcun senso che l’Assoluto punisse i suoi figli per ciò che fanno in seguito alla loro incompleta comprensione. Ciò che il Tutto mette in atto è un processo che si proietta sulle sue creature dando vita a un succedersi di cause ed effetti che le indirizzeranno verso una maggiore comprensione e, di conseguenza, verso una minore possibilità di ripetere gli stessi errori fin lì compiuti.

Per fare un esempio banale e limitato nel tempo, se state facendo un lavoro di falegnameria e sbagliate un colpo di martello nel piantare un chiodo dandovi una martellata su un dito il dolore che ne seguirà non sarà una punizione per il fatto che siete stati maldestri o malaccorti bensì la conseguenza di una vostra mancanza e vi insegnerà ad essere più attenti nell’adoperare il martello.

Molte volte osservate intorno a voi gli effetti karmici in essere ed essi vi appaiono privi di senso o, addirittura, pesantemente ingiusti, ma tale vostra percezione non è altro che la conseguenza della visione limitata del vostro Io e della sua interpretazione soggettiva della realtà, concomitante con la sua presunzione di potersi erigere a giudice all’interno della realtà in cui si trova ad operare, senza neppure rendersi conto che, molto spesso, tale giudizio è poco obiettivo e che, altrettanto spesso, è messo in moto da incomprensioni che gli appartengono e che determinano la sua interpretazione della realtà: è frequente, per esempio, che ciò che viene vissuto dall’individuo come ingiustizia sociale nel vedere che certe persone possiedono molto e altre, invece, molto poco, nasconde sovente il desiderio dell’Io di appartenere alla limitata schiera di chi ha molto invece che a quella di chi meno possiede. 

D’altra parte, il limitato orizzonte di osservazione dell’Io certamente non può riuscire ad avere una visione reale del riequilibrio karmico, dal momento che esso è il risultato non della sola vita in corso (la sola che è passibile di osservazione diretta da parte dell’Io) ma ricade come effetti e conseguenze che si attivano per l’individuo nel momento in cui le condizioni della vita che sta conducendo lo permettono, e questo avviene quando l’individuo, grazie al manifestarsi degli effetti karmici, ha la possibilità, per sentire acquisito, di fare davvero sua la comprensione che fino a quel momento non gli era stato possibile raggiungere.

Chi, nell’oggi, possiede poco o ha difficoltà economiche, probabilmente in una o più vite precedenti aveva posseduto molto e aveva fatto cattivo uso di ciò che possedeva o, al contrario, chi oggi ha molto in esistenze passate aveva avuto poco e, magari, tale condizione lo aveva portato a comportamenti dannosi per le altre persone per cui, grazie all’avere di oggi ha l’occasione per verificare la sua comprensione attraverso l’osservazione dell’uso che fa di ciò che possiede.

In entrambi i casi il karma individuale che ne scaturirà fornirà alla coscienza dell’individuo, attraverso l’esperienza diretta, quegli elementi che gli mancavano per poter ampliare la sua comprensione. Difficilmente, e ricordate che lo abbiamo sempre affermato nei decenni come punto certo, l’Io può emettere giudizi fondati su ciò che riguarda altre individualità.

Questo non significa, ovviamente, accettare indiscriminatamente tutto ciò che l’individuo percepisce come ingiusto intorno a , anzi: è suo preciso compito cercare di operare, pur entro i limiti che la sua evoluzione gli pone, per riequilibrare ciò che percepisce come una possibile ingiustizia, diventando, quindi, collaboratore e non oppositore rispetto alla tendenza cosmica al riequilibrio.

Ma vorrei porre una domanda alle vostre coscienze: quanto spesso operate per eliminare le presunte ingiustizie e quanto spesso, invece, vi limitate a puntare il dito aspettando che siano altri a cercare di farlo? 

In questo caso mi sembra evidente che la vostra stigmatizzazione della presunta ingiustizia non sia spinta da un reale desiderio del vostro sentire di appartenere a un mondo più giusto (se, infatti, il vostro fosse veramente un sentire nulla gli potrebbe impedire di mettervi in prima linea nel cercare di correggere ciò che vi appare ingiusto) bensì da spinte che, osservate con quella sincerità e obiettività così estremamente necessarie nell’osservazione di se stessi, risultano conseguenza evidente di piccoli o grandi egoismi che vi appartengono.

D – Leggendo le vostre parole la conclusione alla quale arrivo è che in alcuni casi non ci sia bisogno di esperienza diretta per il riequilibro karmico, cioè in poche parole, che avvenga una sorta di «contagio» che passa da un sentire ad un altro. È così? 

Bisogna tenere ben presente il concetto che il passaggio di comprensione da un individuo all’altro avviene soltanto per quelle che abbiamo chiamato sfumature di comprensione e che la comprensione in senso più strutturato può avvenire solo grazie all’elaborazione interiore personale compiuta dall’individuo dopo aver acquisito e percepito come sue tali sfumature.

L’esperienza diretta può non essere necessaria nel momento in cui una sfumatura di comprensione viene condivisa: la limitatezza della sua portata è solitamente tale che l’individuo trova facilmente, nelle esperienze che ha già vissuto personalmente, situazioni che gli permettano di rivisitare le sue azioni e acquisire la sfumatura di comprensione, ma resta, invece, la necessità dell’esperienza diretta per quanto riguarda una comprensione più complessa, dal momento che essa è costruita sulla base del personale cammino evolutivo di ogni individuo. L’uso del termine “contagio” può portare fuori strada perché può suscitare l’idea che si tratti di qualcosa di eccezionale e, magari transitorio.

In realtà non è affatto così: vi abbiamo spiegato che la tendenza evolutiva della vita all’interno del Cosmo è quella di riunificare il sentire di tutte le creature in esso presenti, aggregandole in formazioni di sentire sempre più vaste (quelle che abbiamo chiamato “isole akasiche) e, ovviamente, strutturalmente sempre più complesse. Questo avviene attraverso la messa in comune (comunione dei sentire) delle comprensioni acquisite che, grazie alle simili qualità vibratorie, si allacciano tra di loro portando a una graduale espansione delle varie isole akasiche le quali tenderanno, con l’evolversi della coscienza all’interno del Cosmo, a collegarsi tra di loro fino a raggiungere, nel momento in cui ogni sentire avrà compiuto il suo percorso evolutivo, la completa strutturazione in un unico sentire comune, in un’unica coscienza cosmica il cui raggiungimento segnerà il termine evolutivo della coscienza cosmica e decreterà, di conseguenza, la fine dell’esistenza del Cosmo come entità frammentata rispetto al Tutto.

D – Come avviene questo “contagio”? È una cosa automatica, che accade solo per il fatto di avere qualche punto di collegamento all’interno della stessa isola akasica, oppure c’è una certa responsabilità da parte dell’individuo? La questione mi sembra analoga per il piano fisico, dove un individuo amplia la sua conoscenza semplicemente stando in un ambiente affollato, oppure deve fare qualcosa per essere “contagiato” dalle conoscenze altrui? Se io ho un karma da assolvere può succedere che si assolva solo attraverso tale «contagio»? 

Sappiamo che intorno a ogni individuo si forma un’atmosfera vibratoria, risultante dall’interazione dei vari flussi vibratori che attraversano i suoi corpi inferiori in concomitanza, ovviamente, con le vibrazioni che provengono dal suo corpo della coscienza; ogni atmosfera individuale, quindi, è composta da un intricato sviluppo di vibrazioni fisiche, astrali, mentali e akasiche che esprimono in maniera variabile col variare dell’interiorità dell’individuo stesso il suo modo, strettamente personale, di interagire con la realtà in cui si trova immersa nel corso della sua sperimentazione all’interno del piano fisico.

Per comprendere come avviene ciò che hai chiamato “contagio” bisogna comprendere che nelle atmosfere che vengono a contatto esistono dei punti vibratori di convergenza che tendono a collegarsi e a rafforzarsi vicendevolmente permettendo il passaggio di informazioni da un individuo all’altro (ancora una volta ci troviamo di fronte al concetto del “così in alto, così in basso” dal momento che questo processo che riguarda i contatti tra le atmosfere individuali riporta chiaramente alla memoria quanto abbiamo descritto poco prima sul processo che porta alla comunione dei sentire). Attraverso questi punti di contatto vibrazionale ecco che avvengono quelle reazioni (empatia, condivisione, partecipazione, attrazione, simpatia, amore ma anche rabbia, frustrazione, antipatia, violenza e via dicendo) che accomunano le persone nei particolari momenti di tale “contagio”.

Si tratta di un processo spontaneo, naturale e inevitabile in conseguenza della costituzione dell’individuo il quale non ha una responsabilità diretta nella questione e ha la funzione di fornire spinte e movimento verso la ricerca di comprensione all’interiorità dell’individuo.

Come mi pare abbiamo già affermato in passato è attraverso quest’interazione tra le atmosfere individuali che possono avvenire fenomeni talvolta anche rilevanti quali l’isteria di massa o, in senso più positivo, la percezione di altre persone come particolarmente attrattive sia dal punto di vista strettamente fisico che da quello emotivo o intellettivo.

Ovviamente, tale forma di “contagio” non può risolvere il karma individuale delle persone eventualmente coinvolte: la risoluzione del karma avviene solo con la comprensione, e la comprensione raggiunta da un’altra persona non può essere fatta diventare propria senza che venga compiuto il percorso interiore dell’individuo che trasforma in comprensione l’incomprensione, anche se la comprensione raggiunta dall’altro può fornire dei modelli utili sui quali strutturare il proprio personale percorso di comprensione.

D – Basta venire a conoscenza dell’esperienza di un altro per acquisire la stessa comprensione che lui ha tratto, oppure è necessario qualcos’altro? 

Certamente non è sufficiente conoscere l’esperienza di un altro individuo per acquisire la stessa comprensione che egli può averne tratto. Tale comprensione, infatti, non può essere altro che frutto del percorso interiore di ogni individuo e dalla sua personale acquisizione di nuovi elementi di comprensione e di sentire.

Affinché l’esperienza di un altro possa far germogliare comprensione in chi viene a contatto con essa è necessario che l’individuo si identifichi con il percorso compiuto dall’altro, ne comprenda le motivazioni e le senta, almeno in parte, anche sue in modo tale che, grazie a tale comunione di spinte, riesca ad elaborare un percorso personale verso l’acquisizione di comprensione che non necessariamente (anzi, difficilmente, dato che ogni percorso evolutivo si svolge lungo percorsi strettamente individuali) sarà composta totalmente dagli stessi elementi riscontrabili nella comprensione raggiunta dall’esperienza sperimentata dall’altro individuo in questione.

D – E’ stato detto che la possibilità di mutuare comprensione da altre individualità c’è solo per le sfumature, quindi se si tratta di una sfumatura non dovrebbe creare grossi scompensi nell’individuo, che magari potrebbe non fare troppa fatica a trovarla da sé, si tratta forse di un effetto dell’economia delle cause per cui, essendo proprio una sfumatura, non richiede lo «spreco» di energia in ulteriori esperienze ma si può mutuare da quella di altre individualità? 

Senza dubbio la cosa può venire osservata anche in quest’ottica.

D – Possiamo ipotizzare che gli allacciamenti dei corpi akasici nei piani superiori abbiano qualcosa a che fare con gli Archetipi Permanenti? 

Non può essere altro che così: gli Archetipi Permanenti dettano l’ordito evolutivo del Cosmo e tutto ciò che nel Cosmo avviene non può che muoversi lungo i percorsi che gli Archetipi Permanenti hanno programmato al loro interno.

D – Si è parlato di karma collettivo che è stato smosso nel corso della seconda guerra mondiale, quindi causato dalle incomprensioni di individui che erano in vita circa 60-70 anni fa (e qualcuno è ancora vivo o morto da poco) pertanto vorrei sapere come conciliare questo breve lasso di tempo con il fatto che l’individuo si reincarna ogni 200 anni circa. Si tratta solo dell’“inizio” del propagarsi di quel karma, che ricade su individui che si sono reincarnati velocemente, prima del tempo medio indicato? Oppure i gravi problemi attuali delle popolazioni sono solo la preparazione dell’ambiente per accogliere la ricaduta di quel karma collettivo? 

Sono vere entrambe le ipotesi.

D – Se gli archetipi transitori sono costituiti dalle comuni necessità di comprensione da parte di più individui, allora il karma è sempre collettivo? Ciò che definisce l’attributo di «collettivo» è il fatto di avere anche solo un elemento in comune? Per esempio: trovarsi nello stesso luogo, frequentare la stessa scuola, avere la stessa malattia? 

Il concetto di karma collettivo è molto più complesso da come potrebbe apparire dalla domanda fatta. Gli effetti karmici possono avere differente portata: quando il karma deriva da un’incomprensione individuale la sua ricaduta (anche se protratta nel corso di più esistenze) interesserà in maniera particolare e più intensa l’individualità che non ha compreso anche se, indubbiamente, i suoi effetti avranno conseguenze anche sulle altre persone a contatto con gli effetti karmici in azione.

Prendiamo il caso di una grave malattia invalidante e, quindi, di un effetto karmico molto forte che condiziona tutta la vita di un individuo incarnato. È evidente che il karma che questi starà vivendo sarà fortemente attivo su di lui e influirà pesantemente sulle reazioni della sua interiorità alla sofferenza che si trova a vivere in prima persona. Per le persone che vivono assieme a lui l’effetto karmico e che ne vedono gli effetti “dall’esterno”, il karma osservato avrà senza dubbio una diversa intensità di reazione (un contro è vivere un’esperienza direttamente e un conto, invece, è osservare come essa sia vissuta da un’altra persona). Senza dubbio la presenza di quell’effetto karmico potrà influire anche sulle altre persone e metterle davanti alle loro personali incomprensioni le quali, però, saranno ben diverse da quelle che hanno portato alla ricaduta della karma sulla persona in preda della malattia.

Apparentemente si potrebbe pensare che basti questo concetto a definire come collettivo qualsiasi tipo di karma ma il punto di differenziazione è diverso: non si basa sulle risultanze che la presenza di un karma provoca nelle persone che vivono accanto alla manifestazione karmica, bensì sulla comunanza dell’incomprensione: perché un karma possa essere definito collettivo è necessario che esso avvenga per avviare verso la comprensione di un ben preciso aspetto del sentire (anche se, magari, con diverse sfumature per ogni persona coinvolta) . Rodolfo

Ciclo sul senso di colpa

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