(Segue A173) Poste queste basi generali, forse anche un po’ banali e ripetitive ma, secondo me, necessariamente da tenere sempre in evidenza, dal momento che esse forniscono gli elementi essenziali per comprendere veramente i discorsi che stiamo facendo, ritorniamo al concetto di volontà.
Sulla scorta dei discorsi appena fatti mi sembra che sia possibile attuare alcune trasposizioni di quanto detto all’esame della volontà: distinguere tra volontà dell’Io e volontà della coscienza è, in fondo, abbastanza futile, in quanto è di un’ovvietà disarmante: è evidente, infatti, che quando il simbolo “volontà” arriva a manifestarsi sul piano fisico è sempre e comunque deficitario, in quanto contiene certamente (vista l’influenza esercitata dall’Io) qualche elemento di decodifica inesatto se non addirittura totalmente travisato rispetto al simbolo originario, decodifica inesatta che ovviamente non può che derivare dal grado di evoluzione raggiunta dell’individuo e, di conseguenza, dal tipo di decodifica che la sua comprensione incompleta ha potuto fargli attuare sul simbolo.
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Credo che vi possa interessare domandarvi se e dove sia possibile all’individuo che osserva se stesso individuare quale fase evolutiva sta attraversando la propria volontà o, più precisamente, a che punto sia la sua evoluzione.
La risposta, in definitiva, è piuttosto semplice: indubbiamente un metro di “quantificazione” della propria situazione evolutiva per arrivare a teorizzare per lo meno se l’evoluzione posseduta è di basso, alto o medio livello, può essere costituito dall’osservare lo sforzo che viene attuato dall’individuo per mettere in atto la volontà.
Se il nostro Alfieri fosse stato più evoluto non avrebbe avuto alcun bisogno di farsi legare alla sedia o di farsi rasare una parte dell’abbondante zazzera perché la sua volontà sarebbe fluita spontaneamente senza che vi fosse il bisogno di costrizione, portandolo ad agire in accordo con la sua comprensione senza alcuno sforzo particolare, dal momento che quando c’è una volontà del sentire essa viene messa in atto spontaneamente e senza sforzo alcuno, al punto che – come diciamo spesso – l’individuo quasi sempre non si rende neppure conto di averla esercitata.
Possiamo, così, trovare la risposta adeguata a una delle domande che vi avevamo posto: Chi è che mette in atto la volontà?
La volontà viene messa in atto dal sentire dell’individuo, il quale, però, può influire sull’estrinsecazione sul piano fisico dell’individuo solamente seguendo quello che ha veramente compreso fino a quel punto. È evidente, in quest’ottica, che fino a quando la decodifica non sarà compiuta totalmente e nella maniera più conforme al simbolo originario, la volontà che viene messa in atto non potrà che manifestare gli errori di decodifica che sono stati effettuati nel suo percorso all’interno dell’individuo e si rifletterà nelle azioni e nelle reazioni che il suo Io metterà in movimento nel corso della sua transitoria esistenza.
Non è lecito ricercare un colpevole in tutto questo processo, dal momento che la volontà espressa dal sentire individuale non commette errori volontari o finalizzati a qualche scopo egoistico (se vogliamo, possiamo anche prenderci la libertà di affermare – in modo magari anche inesatto e superficiale che il corpo della coscienza è sempre in buona fede, è sempre sincero e non ha mai altro fine che quello di aumentare la comprensione al suo interno: semplicemente attua ciò che, in quel determinato momento, gli sembra che sia definitivamente vero perché quelli sono gli elementi che ha a disposizione per motivare l’azione della sua parte incarnata all’interno del piano fisico.
È da questa concezione che deriva il nostro avervi detto spesso, in passato, che in fondo non è giusto giudicare o condannare nessun individuo incarnato per il suo comportamento perché, in realtà, tutto quello che fa – compresi gli errori, magari anche gravissimi, che compie – lo fa perché è ciò che solamente può fare, dal momento che non ha altri dati nel suo corpo della coscienza che gli possano permettere di comportarsi diversamente.
Questa concezione può portare, inevitabilmente, a essere totalmente comprensivi nei confronti sia di se stessi sia degli altri e può indurre l’Io a costruirsi la falsa idea che, allora, tutto è lecito, permesso e giustificabile.
Essa è indubbiamente vera al livello della coscienza dove non esistono reali colpevoli ma tutte le creature sono ciò che sono e non possono essere altrimenti. Quando, però, la coscienza dell’individuo arriva alla sperimentazione del suo sentire all’interno del piano fisico nel corso dell’incarnazione, non si trova più a sperimentare semplicemente se stessa, ma le azioni che induce nella sua parte incarnata hanno un’influenza e un effetto anche sulle altre persone, sull’ambiente e sulla società all’interno della quale sta conducendo la sua sperimentazione e questo mette in atto altri simboli presenti all’interno della sua coscienza che risuonano e fanno in qualche modo da contraltare tra quello che secondo la sua volontà è lecito e giusto che metta in atto e i risultati che tale esercizio di volontà provoca.
D’altra parte, come potrebbe l’individuo, altrimenti, ampliare e affinare il suo sentire e la sua comprensione se non vedendo gli effetti delle sue azioni intorno a lui? Come sempre l’esperienza è la principale maestra di vita! Senza il complesso intrico delle azioni e delle reazioni interne ed esterne all’individuo non potrebbero venire in essere i processi di equilibrio nell’ambiente cosmico e gli stessi processi karmici non avrebbero la possibilità di svilupparsi.
I “paletti” costituiti dalla possibilità per l’individuo di osservare e vivere direttamente, sulla propria pelle e facendo tesoro delle reazioni dei suoi corpi transitori, i risultati delle sue azioni, esistono per vigilare, come se fossero i cani da pastore di un gruppo di pecore totalmente indisciplinate, presenti e operanti affinché l’intero gregge si muova verso una stessa direzione comune, in accordo con le direttive fornite al Cosmo dalla Vibrazione Prima.
È da questo insieme di bisogni evolutivi che è nato, nelle varie società, il bisogno di formare un corpus di leggi che governino i rapporti al loro interno, tenendo conto non dei bisogni di una sola persona ma di tutti gli appartenenti al gruppo in cui sono inseriti, in maniera tale da cercare di garantire un certo equilibrio di giustizia e di equità al suo interno (dal momento che, quasi sempre, chi ha ideato il corpus legislativo lo ha fatto sulla spinta di una comprensione e di una coscienza almeno in parte, rispetto alla massa dei suoi contemporanei, più ampia).
Certamente, poi, tra il dire e il fare – come si suol dire – c’è di mezzo il mare ed è cosa comune che l’Io dell’individuo riesca a riconoscere la giustizia e la necessità delle norme (sociali ed etiche) vigenti ma tenda, nel contempo, a considerarle vere, necessarie e valide per gli altri ma un po’ meno applicabili a se stesso, con risultati spesso poco edificanti.
Sulla base di quanto abbiamo detto, risulta semplice – secondo me – dare risposta anche a un’altra domanda che vi avevamo posto: qual è il collegamento tra la volontà dell’individuo e la sua evoluzione e, quindi, il suo sentire?
Il collegamento che andiamo ricercando non può essere altro che la decodifica del simbolo in questione: tale decodifica è, come ormai sappiamo bene, calibrata dal sentire dell’individuo, e alimenta al suo interno un circolo che lo porta via via a ridecodificare il simbolo sulla base delle nuove acquisizioni di sentire, avvicinandosi sempre più all’esatta decodifica del simbolo così come è suggerito all’interno della Vibrazione Prima. Scifo