C’era una volta in un paese – e non vi dico qual era – un uomo che si chiamava Binda. Una mattina quest’uomo si svegliò e non riusciva più ad alzare la testa, ma continuava a restare con il capo completamente piegato in avanti e pesante.
Era un uomo abbastanza anziano che viveva solo in casa; era povero, non aveva amici e non aveva parenti, così non si curò di andare dal dottore perché «Ormai sono vecchio, cosa posso farci? Sono destinato, si vede, a finire i miei giorni in questo modo!» si diceva.
favole
Favola: la consapevolezza del valore di ciò che si possiede
Il principe Shirab attraversava la sua città tra un’ala di popolino festante: gli uomini piegavano il ginocchio al suo passare, le donne restavano per un momento incantate dalla sua bellezza, quindi arrossivano e abbassavano il capo pudicamente; i bambini cercavano di toccare con le mani le stoffe pregiate che l’avvolgevano, emettendo meravigliati sospiri nel sentire la morbidezza del lino o della seta e nello scorgere la delicatezza dei ricami.
Favola del cane consapevole
Un cane ingoiò con gusto una briciola che era caduta dal tavolo un attimo prima che scoccasse la mezzanotte.
Nella stanza c’era allegria, grida e rumori.
«Evviva!»
«Tanti auguri!»
«Buone feste!»
Favola del cobra: non fermarsi alla prima impressione
Un uomo passò davanti ad un cobra.
Si fermò un attimo spaventato, poi vide che aveva gli occhiali ed esclamò:
«Ah … è vecchio!».
Rassicurato, continuò per la sua strada, fino a quando non cadde morto per il morso del cobra.
La favola dell’upupa
Al canto dell’upupa il guerriero guardò l’intrico della foresta e pensò tra sé:
«Senti come strilla. Certo sta preparandosi a difendere il suo nido dall’attacco di qualche nemico!» e riprese il cammino.
Il pellegrino udì l’hup… hup… hup e meditò:
«Canta ancora, creatura, la gloria di Dio» e continuò lungo la via.
Il mercante, adirato per la cattiva giornata, nell’udire il suono dell’uccello gridò, irritato, alla foresta: «Brutta bestiaccia, hai poco da prendermi in giro. Fatti avanti, così mi consolerò con un buon arrosto!».
La favola dei tre fiori
C’erano una volta tre fiori, nati nello stesso giorno di sole e nello stesso prato rigoglioso, simili perché della stessa specie, ma dissimili in quanto ogni componente di una specie è, in se stesso, una specie a sé, differenziato non solo da elementi formali ma anche, e soprattutto, dal diverso modo d’essere.
Questi tre fiori appartenevano ad una specie che, per ragioni biologiche, richiudeva la corolla al tramonto per riaprirla non appena il sole illuminava l’aria.
Nel loro mondo, da fiori, tutte e tre le creature avevano i loro pensieri.
Quando si avvicinò il loro primo crepuscolo – cosicché la reazione di chiusura della corolla avrebbe dovuto venire messa in atto – il primo fiore così andò pensando mentre, con riluttanza,