Aggressività, durezza, lassismo nei genitori

Voglio riprendere un attimo un discorso che avevo iniziato tempo fa, a proposito dei bambini più o meno piccoli e del loro rapporto con gli adulti, o meglio ancora sarebbe dire del rapporto che gli adulti hanno con i bambini più o meno piccoli.
Avevo così, molto frettolosamente e genericamente, analizzato quali erano i rapporti piuttosto strani che gli adulti hanno nei confronti dei bambini piccoli, prendendo come adulti tutte le persone di una certa età, le persone cosiddette mature che in qualche modo avvicinano e abbordano i bambini; vorrei questa sera analizzare il problema sotto un altro punto di vista, prendendo degli adulti molto ma molto particolari, quelli che per il bambino sono i genitori: la madre e il padre.
Madre e padre che non è necessario che siano i genitori biologici del bambino, ma madre e padre quali figure di educatori del bambino.

Se il bambino si spaventa nel sentirsi urlare negli orecchi dagli estranei, se il bambino si agita nel vedere le facce “strane” che fanno gli adulti, se il bambino può restare turbato, impaurito o, in casi limite, terrorizzato, dalle “boccacce” che gli fanno gli adulti a pochi metri di distanza dal suo volto, non resta vinto da queste emozioni e da questi sentimenti quando questi adulti sono i genitori.
Quindi si può dire che un genitore, un padre o una madre, purché sin dall’inizio sia riuscito a stabilire un buon rapporto con la propria creatura, può fare qualsiasi cosa che il bambino non soffre, non ne risente in modo particolare.
Questo perché, se l’adulto è stato in grado di stabilire fin dall’inizio (e questo è importante e basilare direi) un buon rapporto con la propria creatura, questo figlio comincerà ad avere nei propri genitori un’estrema fiducia, fiducia che gli permetterà di lasciarsi fare dai genitori qualsiasi cosa.

Ma vediamo questi genitori come se la cavano nei rapporti con il loro figliolo; generalmente il genitore proietta sulla propria creatura tutti i sentimenti migliori, proietta sul proprio figlio quello che pensa sia l’amore, proietta quello che pensa sia la purezza, l’ingenuità, la nobiltà d’animo, l’onestà e cose del genere.
Ma purtroppo, se questa sua creatura ad un certo punto riesce (e molto spesso ci riesce anche bene) a stancare il genitore e farlo adirare, a fare i “capricci” al punto da fargli perdere la pazienza, ahimè, il genitore comincia col proiettare sul proprio figlio tutta la sua aggressività.
Ah, l’aggressività che si scaglia contro la propria creatura, o con il classico “sculaccione”, o con le parole dette con tono di voce “alterato”, o addirittura con “urla”, o con rabbia, o con sentimenti che fanno pensare quanto sia fragile, in realtà, l’amore che il genitore crede di provare per la propria creatura.
Oh, sei stato colto in fallo, Francesco; questo non l’avresti dovuto dire perché le Guide stesse hanno sempre affermato, e continueranno ad affermarlo, che chi ama veramente sa essere anche duro.
Questo è vero, mi sta bene, lo accetto, lo sottoscrivo e lo confermo: soltanto chi ama veramente, soltanto chi conosce l’Amore sa essere severo, duro con la persona che ama. Ma da lì, cioè dal saper essere duri con le persone che si amano, all’essere aggressivi la differenza è enorme.
Certo che anche il Cristo, almeno dalle cose che sono state raccontate su di lui, sembra che ad un certo punto, esasperato, esacerbato da certi comportamenti, abbia veramente perso la pazienza e sia andato – come si suol dire – un po’ “fuori di testa”, facendo qualcosa di non certamente attribuibile ad un “illuminato”, o ad un “figlio di Dio”, o ad una persona che sembrerebbe avere raggiunto veramente una evoluzione così elevata da costituire una meta per tanti altri individui.
Ed è qua che sorge il grande problema!
Perché, vedete, è molto importante fare delle distinzioni; è molto importante scegliere, distinguere tra quella che è pura e semplice aggressività, e quindi un bisogno dell’individuo di scaricare le proprie tensioni accumulate magari per chissà quali motivi, e durezza usata quale arma per favorire la comprensione della persona che si sta amando.

Quindi, cerchiamo di distinguere per questi genitori i vari momenti, e vediamo di fare un po’ di luce in questo discorso.
Mettiamo che io sia un padre; ho la mia creatura qua davanti, la mia creatura sta compiendo un’azione che potrebbe alla lunga arrecare a lei un danno. Prendendo come punto di partenza la favola di Ananda, il mio comportamento dovrebbe essere quello di dirgli: “Bada bene, figlio mio; sta’ attento” e poi ridirglielo, e poi ridirglielo ancora, poi ancora, ancora, e, alla fine, passare alle cosiddette maniere forti, affinché il bambino arrivi alla comprensione. E fin qua penso che siate tutti d’accordo, fin qua – come si suol dire – non ci piove; e la cosa mi sta benissimo, così come sta benissimo ad ognuno di voi.
Questo rientrerebbe nel giusto comportamento e sarebbe molto simile al comportamento tenuto dal Cristo in quel famoso tempio.
Ma io purtroppo sono una creatura umana, ho i miei momenti di rabbia, ho i miei momenti di tensione, tensione accumulata perché, chissà, magari in ufficio, dove lavoro, mi sono andate male le cose, perché il mio capoufficio ha trovato da ridire sul lavoro da me fatto, oppure perché non riesco a comunicare e a capirmi con la mia compagna, oppure perché, sempre in ufficio, è passata qualche signorina che mi è parsa un po’ più bella della mia compagna e mi frulla quindi qualcosa per la testa che non riesco a capire, o qualsiasi altro motivo si voglia.
Ecco così che il mio bambino, la mia creatura, la creatura che io ho ardito di mettere al mondo, fa qualcosa che mi infastidisce soltanto, qualcosa che – anche alla lunga – non arrecherebbe alcun danno, e questo stimola la mia reazione aggressiva.
Per essere ancora più chiaro: io arrivo a casa alla sera con una miriade di pensieri per la testa, di preoccupazioni, e quindi di tensioni, e trovo la mia creatura che si diletta nel suonare la trombetta.
La mia creatura suona la trombetta e si diverte e ride; quel suono di trombetta disturba il corso dei miei pensieri, mi innervosisce, mi fa saltare su i nervi, ed allora ad un certo punto accade che io uso la durezza nei confronti della mia creatura, durezza che non è motivata dal desiderio di far comprendere qualcosa a mio figlio, ma è durezza che nasce soltanto dal bisogno mio, egoistico, personalissimo, di avere un momento, due momenti, tre momenti, magari anche l’intera serata, di tranquillità per continuare il corso dei miei pensieri.
“Sì certo – direte voi – ma d’altra parte non è giusto che il bambino continui a suonare la trombetta per ore ed ore.” Ma sono d’accordo, ci mancherebbe altro; non solo infastidirebbe voi ma anche tutto il vicinato; ma da lì ad usare i metodi duri, utili soltanto per scaricare la propria aggressività su quella creatura, il passo, cari miei, è effettivamente enorme, perché lo stesso risultato – cioè far smettere il proprio figliolo di suonare la trombetta facendogli comprendere quanto quel suono possa stancare non soltanto me, ma anche tutte le altre persone che restano vittime di questo suono fastidioso – si sarebbe potuto ottenere usando altri metodi senza trovare l’innesco, la famosa goccia, per far uscire tutta la propria aggressività, per scaricare tutte le tensioni nate da problemi personali e non coinvolgenti quindi il proprio figliolo.

E questi errori, e queste cose, purtroppo, sono molto comuni ai genitori, sia le madri che i padri (e direi che, osservando gli uomini, questi comportamenti sono distribuiti in egual misura tra le madri e i padri, anche se correnti di pensiero tendono ad attribuire una maggiore aggressività agli uni piuttosto che agli altri), agiscono frequentemente in questo modo, anche se purtroppo (mi tocca dirlo ancora una volta) sono mascherati alla mente stessa dei genitori come comportamenti strettamente necessari affinché la loro creatura possa arrivare alla comprensione.
Eh no, cari miei, distinguete: io non voglio dirvi, intendiamoci bene, che dovete essere così evoluti nei confronti dei vostri figli da non avere mai il momento in cui perdete la pazienza; voglio dire che dovete stare ben attenti a come vi comportate nei momenti di durezza nei confronti dei vostri figli, per osservare quanto questa vostra durezza nasca veramente dalla necessità di far comprendere qualcosa alla vostra creatura, o nasca invece dal bisogno vostro di scaricare una tensione su quella creatura che in quel momento è lì davanti a voi e che così facilmente vi offre l’opportunità di farlo.
Questo è il punto molto importante, anche perché osservando gli uomini (ho lasciato il mondo fisico da parecchio tempo e quindi sto osservando gli uomini da tanto tempo sotto una prospettiva molto diversa, così ho potuto comprendere molte cose che prima non capivo) ho potuto vedere quanto queste forme di severità, di durezza nell’educazione, siano molto spesso associate a forme di lassismo senza limite quasi.
E questo è uno dei danni peggiori.

Ho notato, per esempio, che la trombetta suonata per ore in un momento di tensione stimola la reazione aggressiva, la reazione di durezza compiuta all’unico scopo di scaricare la propria tensione interiore; in un momento, invece, di rilassatezza, in un momento di tranquillità, in un momento in cui il genitore si trova in condizioni ideali perché tutto gli sta andando a gonfie vele, magari anche con quella signorina che suscitava pensieri un po’ strani, lascia che il proprio figliolo suoni la trombetta per alcune ore. Anche perché, tutto sommato, quel suono potrebbe apparire al genitore un inno di gioia proprio perché le cose gli stanno andando bene, dimenticandosi quindi di quanto fastidioso possa essere quel rumore, anche se suono, alle orecchie del vicinato.
Quante volte adottate una linea di durezza per certe azioni e, magari il giorno dopo, per quelle stesse azioni adottate una linea di accondiscendenza! Accondiscendenza e durezza devono andare di pari passo, essere equilibrate, date, usate al momento giusto e nelle condizioni giuste.
Se voi siete infastiditi per quella famosa trombetta e se ritenete che quella famosa trombetta possa danneggiare altre persone, se non proprio vostro figlio, allora ogni volta che lui suona la trombetta dovreste sempre cercare di fargli comprendere che non è giusto che lo faccia perché potrebbe disturbare qualcuno; e questo non sempre accade.
Così questo povero genitore che si trova di fronte a quella piccola creatura che è suo figlio, che ha avuto l’ardire di far nascere, che l’ha desiderato, che l’ha aspettato per tanto tempo, che l’ha visto venire al mondo così piccolo ed indifeso, bisognoso di cure, e che l’ha visto crescere ogni giorno, sviluppare le sue capacità fisiche, mentali, emotive; così, questo povero genitore, a volte, e con una certa frequenza in particolari ambienti, trova nella propria creatura un alleato per dare sfogo alla propria immaturità, alla propria insoddisfazione, alla propria incostanza, alla propria infelicità; infelicità che si sta costruendo da solo, quasi come se imputasse il figlio stesso di essere la causa di queste sue emozioni interiori; emozioni che egli prova e continuerà a provare finché non riuscirà ad amare veramente anche soltanto quella sua piccola creatura. Francesco


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Laura

Buonasera, oltre a seguire i messaggi tramite questa pagina mi piacerebbe avere con me un testo del Cerchio Ifior da leggere, ma non so da quale io possa iniziare. C’è un ordine consigliato che di solito suggerite di seguire per le letture? Grazie a chi mi risponderà.
Laura🌹

Alberta

Interessante.Grazie

Sandra

Materiale da ruminare, utile non solo per chi ha dei figli… grazie!

Alessandro

Sono stato genitore.
Posso vedere tante e tante volte, quando erano piccoli, quei momenti in cui li ho ripresi non per un loro bene ma per una mia tensione.
Di quante volte ho visto una ‘signorina’ del momento più intrigante di mia moglie o di una mia compagna ronzarmi per la testa e sento tutto il limite di quanto avrei potuto dare loro e non ho dato.
Penso anche a tutti i giochi insieme ai miei bimbi che ho fatto nei boschi, nelle pozzanghere dei cinghiali, nei torrenti impetuosi di montagna gelidi a gennaio, risaliti senza muta e che non avrei potuto fare all’interno di un rapporto che mi stava ingessando, in cui non stavo più dentro, per i miei limiti di ragazzo che si era trovato padre a 18 anni e che aveva scoperto dopo 12 anni un altro mondo fatto di colori (il grigiore precedente ovviamente era tutto il mio!).
Un grigiore di sofferenza che è l’esatta prosecuzione di ciò che ho seminato prima di questa mia attuale vita e che oggi sono opportunità di comprensione.
Ecco, senza accorgermene ho dato vita a quella presentazione di me stesso attraverso una lettera aperta di quello che è il mio cammino, in questo balcone di Portovenere sopra il porto, con la brezza di mare che entra prepotente a ricordarmi le mie origini marinare.

Laura

Grazie Roberto per la risposta e per il consiglio sui libri.
Laura

Alberto

Grazie ” Francesco” e grazie anche ad Alessandro.

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