Accettare e valorizzare la propria condizione [IB7]

Favola della farfalla e del ragno
Un giorno una farfalla stava posata su un fiore e muoveva le sue ali assaporando i raggi del sole. Poco più distante vi era un ragno che tesseva la sua tela con pazienza, con calma, in silenzio.

D’un tratto il ragno udì la farfalla che così si lamentava: «Ah! Come sono sfortunata! Povera me! Io ho delle bellissime ali colorate, io posso volare nell’aria, leggera, però la mia vita dura soltanto pochi giorni! Ah, che brutta fine faccio: è soltanto stamattina che sono nata e fra due giorni già non vi sarò più!» e intanto piangeva disperatamente.

All’improvviso il ragno così l’apostrofò: «Ehi! Tu bella creatura che sul fiore piangi, non ti devi disperare a quel modo: guarda quel lombrico che sta passando proprio sotto quel fiore su cui sei posata. Vedi com’è brutto, eppure vive molto e molto più di te. Devi essere piena di speranza nella vita: che cosa vale, in fondo, la sua vita più lunga, se deve portarsi dietro un corpo così brutto e rivoltante?»

La farfalla osservò il lombrico che passava e dovette ammettere tra e sé che, effettivamente, era un essere molto brutto. Tuttavia riprese a lamentarsi. «Ma che significato hanno queste mie belle ali se fra due giorni già non esisteranno più? Ah, se potessi essere io come quel bruco: certamente non avrei nulla di cui lamentarmi».

Il ragno che l’ascoltava le disse pacato: «Bella farfalla, io so il segreto del lombrico…»
La farfalla, fermando il suo pianto, cominciò a insistere: «Se lo sai devi dirmelo! Se sai qual è la ricetta della sua lunga vita, dividi con me questo segreto affinché anche io che sono così bella, possa portare questa mia bellezza ancora più a lungo per questi prati!»

Alla fine il ragno cedette e le disse: «Mia cara farfalla, vedi, il segreto sta tutto in ciò che il lombrico mangia; egli si nutre di terra ed è la terra che gli fornisce le sostanze che gli danno questa sua longevità.»

La farfalla meditò qualche tempo su ciò che aveva detto il ragno, osservò le sue ali, pensò al suo triste destino, ricordò che soltanto due giorni in più aveva da vivere e da volare, e allora si posò sul terreno e incominciò a mangiare la terra, dicendo: «Anch’io voglio vivere più a lungo, anch’io, anch’io…»

E quando ebbe fatto un pasto molto sostanzioso, era così pesante che non riuscì a sfuggire al ragno che le piombò sopra e la divorò.

Dunque, siamo arrivati al termine di questa mensile fatica in cui – tutti… insieme – abbiamo cercato i mille e più significati all’interno delle favole di Ananda, fermandoci qualche volta al centesimo, qualche volta al novecentesimo: però facendo capire che in realtà – se proprio si volesse ancora cercare, se si avesse tempo e valesse la pena di farlo – si potrebbe arrivare non ai mille, ma ai diecimila significati! In quanto – come diciamo sempre – chiunque interpreti, interpreta secondo la propria soggettività, che è sempre diversa da quella di un altro.

Ecco che qualunque interpretazione varia a seconda di colui che legge o ascolta: il che significa che se tutti gli uomini di questo mondo si mettessero a cercare d’interpretare – che so, io – la favola del pesce rosso, si avrebbe un qualcosa come cinque miliardi d’interpretazioni in qualche modo diverse.

[…] Ho, però, un’altra interpretazione, forse un po’ più sottile e anche abbastanza semplice poi, a ben guardare; una chiave psicanalitica, in qualche modo: infatti, teniamo presente qual è il desiderio principale della farfalla… A proposito, qual è?

D – Vivere a lungo!

Vivere a lungo, non avere più soltanto due giorni di esistenza: ecco quindi – e qua, fosse presente, il buon Freud sarebbe contentissimo – in quella sorta di lapsus, che la farfalla mette in atto, dimostra come il suo desiderio è talmente forte, che sarebbe tentata, desidererebbe ritornare allo stato di bruco, in modo da ricominciare nuovamente. Capite ciò che voglio dire?

D – Sì.

Una interpretazione molto semplice; però… che potrebbe essere valida, se consideriamo che questo accade così spesso a ognuno di voi. Ricordate che la farfalla, come tutti i personaggi delle favole, in realtà sono animali per comodità narrativa, ma rappresentano sempre l’uomo in qualche sua sfaccettatura; e ognuno di voi, dicevo, è prontissimo a desiderare di essere diverso, ad avere di più di quello che possedeva: al punto tale, magari, da cercare, agognare di ritornare a ciò che aveva in passato e che ha perso.

Una domanda d’obbligo, che ho sentito alcuni si facevano, poiché è sempre stata incontrata quasi sempre questa figura nelle varie favole, è quale sia il maestro all’interno dei vari personaggi. Voi, chi pensate possa essere il maestro: la farfalla, il bruco o il ragno? Anzi, il lombrico o il ragno? Già, perché c’è anche il lombrico: sul lombrico non avete detto nulla!… (Nessuno risponde)… Che silenzio!

D – Direi che la risposta più semplice è quella del ragno…

Mah, sì: direi che la risposta più semplice – ed anche più ovvia, banale; tant’è vero che ci arrivate tutti – è che sia il ragno, il maestro. In realtà poi, a ben vedere, il ragno potrebbe non essere altro, invece, che semplicemente un ragno, attivo nel suo ruolo da ragno. Il ruolo del ragno è quello di cacciare gli insetti; e quindi il ragno in realtà non fa altro che pacatamente e tranquillamente svolgere quello che è il suo compito, no? E quindi si ritrova ancora una volta il suo ruolo, volendo.

D – Però la farfalla l’ha presa con l’inganno, e non con la ragnatela!

La farfalla, è lì il punto forse divertente della cosa. Non è che il ragno ha preso con l’inganno la farfalla; è la farfalla, che si è messa in condizione da essere in balìa del ragno! È ben diverso, in quanto il ragno non ha detto menzogne alla farfalla: il lombrico – effettivamente – vive grazie alla terra, trae dalla terra le sostanze, che gli permettono di vivere più o meno a lungo.

Quindi, il ragno non ha fatto altro che dire una verità alla farfalla; è la farfalla che, smossa dai suoi desideri, dalle sue pulsioni, dai suoi impulsi, ha voluto essere ciò che non era e appropriarsi di un modo di essere altrui, che naturalmente non era adeguato a lei e quindi non ha fatto altro che provocare un danno: nella fattispecie, il fatto di finire tra le grinfie del ragno.

[…] Stavo dicendo, a proposito di questo birbone del ragno-maestro, che ha diverse possibilità di azione nei confronti del discepolo: infatti, cosa fa il ragno-maestro?
Per prima cosa, cerca di far rendere consapevole il discepolo che è sciocco lamentarsi, fare del vittimismo senza rendersi conto, senza godere di ciò che egli possiede, dei doni che la sua condizione gli conferisce: perché qualsiasi condizione, anche quella apparentemente più sgradevole, più brutta, in realtà ha in sé qualche cosa di piacevole, di utile per l’individuo.

Il discepolo, testone come tutti i discepoli, non lo sta ad ascoltare: allora il ragno cosa fa? Cerca di dare qualche altro stimolo; e, per dargli uno stimolo, fa riferimento a qualcosa che l’esistenza gli mette a disposizione. Non crea quindi uno stimolo dal nulla, ma approfitta della realtà che il suo discepolo sta vivendo all’interno del mondo fisico: e la Realtà gli mette a disposizione un lombrico, che in quel momento passa.

Ecco quindi che allora il maestro, indicando il lombrico al discepolo, riporta la sua attenzione sul mondo della materia: e gli mostra i difetti di questo lombrico, gli dice: «Sì, guarda, lui ha quello che tu desidereresti avere, però non ha i tuoi doni: cerca quindi di ragionare su questo, osserva la tua realtà e ciò che ti sta intorno; e renditi conto che ciò che magari invidi o desideri – che altri hanno – è compensato da molte cose che tu hai e gli altri invece non hanno».

Naturalmente sempre (ancora una volta) testona come tutti i discepoli, ahimè, la farfalla non si dà per vinta e continua – spinta da ciò che non ha compreso – a voler ottenere di più di quello che la vita, la realtà, la sua condizione, il suo ruolo (l’Assoluto, in definitiva!) le hanno elargito.

Il maestro alla fine – come in una favola che poi incontreremo più avanti – non può comportarsi in altro modo che “spezzando la bambola”, cioè mandando il discepolo incontro alla sofferenza; non provocandogliela lui, ma facendo sì che il discepolo si metta nella condizione di soffrire, subendo le conseguenze di ciò che ha compiuto.

Quindi lo mette nella condizione di provocare un karma di qualche tipo, perché sa che soltanto attraverso questo karma, attraverso l’effetto del karma, il discepolo riuscirà a comprendere – probabilmente – ciò che non aveva compreso per altre vie: ecco così la spiegazione del lombrico che ingoia la terra; l’abbuffata di terra da parte della farfalla; e il karma smosso, che porta la farfalla a perdere non soltanto quei due giorni, che ancora preziosamente le restavano, ma anche le sue belle ali e tutti i doni che aveva!

D – Quel paragone col corpo akasico, che avevo fatto e che ci era piaciuto abbastanza?

Certo, può essere validissimo anche quello, considerando il corpo akasico come parte dell’individuo, che cerca di spingere l’individuo verso la comprensione, quindi verso l’esperienza, quindi anche verso il karma.
È un po’ un abbassamento di livello del discorso del maestro, in realtà, considerando quello che voi chiamavate «maestro interno»; ché poi il maestro interno di cui parlavate non è altri che la Scintilla, in realtà, non può essere il corpo akasico. Il corpo akasico non può essere un maestro, in quanto ha già la funzione di comprendere; e, se deve comprendere, non può insegnare: è soltanto un acquisitore di comprensione.

D – Quando ci viene detto che in condizione di silenzio interiore potremmo sentire la Scintilla che ci parla, siamo proprio sicuri che sia questa, a parlarci, e non il corpo akasico?

Il discorso è assurdo, perché la Scintilla, in realtà, «parla» in continuazione! La famosa vibrazione, di cui abbiamo parlato più volte e che arriva, attraversando i vostri corpi, a manifestarsi sul piano fisico, quella è la voce della Scintilla, che arriva all’individualità ed ai suoi vari corpi. Il problema è se l’individualità è in grado di comprendere ciò che la Scintilla dice, e, senza la decodifica di un corpo akasico strutturato, non potrà mai arrivare a comprendere. Quindi anche se veramente riuscissi a fare un silenzio interiore – cosa che è più facile a dirsi che a farsi – in questo silenzio la voce della Scintilla si sentirà più forte, però parlerà inglese, magari, mentre chi ascolta sa soltanto il napoletano.

D – Scusa, maestro… ma la farfalla, dopo che è stata mangiata dal ragno, ha raggiunto una certa coscienza? (A questo punto non so se dire «coscienza» o «consapevolezza»)…

Questo è tutto da vedersi, da verificarsi con la successiva incarnazione della farfalla, la quale verrà messa di nuovo in condizione di desiderare qualcosa che non le appartiene; ed allora lì potrà vedere se ha compreso che ciò che non le appartiene, non le può appartenere: per quanto possa essere desiderabile, non è suo e quindi tanto vale non pensarci.

Bene, se non avete altro da dire vi lascio in altre mani, creature, se non dopo aver aggiunto ancora qualcosa. Come avete visto, questo ciclo è terminato: il ciclo era basato principalmente sui concetti base dell’insegnamento; ovvero, come ha riassunto la figlia Fernanda, sul conosci te stesso, sii ciò che sei, sul comprendere il proprio ruolo e via e via e via. Scifo


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Natascia

Comprendere ciò che si è, la vera nostra natura è il lavoro di tante vite, ma è solo l’inizio.
Confido che tutti siamo destinati alla riunificazione.
L’augurio è che si possa al meglio comprendere quello che la vita mi mette a disposizione.

Luciana

Molto eloquente!
Tanti spunti su cui meditare, dal maestro e come si presenta all’accettazione di ciò che è alla Scintilla e alla comprensione dei suoi input
Buon materiale per ben iniziare!

Nadia

Capisco bene il discorso ma mi ritrovo a volte ad essere come la farfalla.
Accolgo queste parole come seme, a suo tempo fiorirà!

Anna

Questo significa che solo quando saremo in grado di accettare la nostra condizione, solo allora saremo in grado di manifestare il divino che è in noi e quindi essere in grado di avvicinarci il più possibile al grado di comprensione disponibile ad ognuno in quella specifica forma che riveste. Questa la Via!
La valorizzazione è ancora un passo successivo…..

Maria balducci

Forse la condizione che precede l’accettazione della propria condizione è il perdono di se. È Attraverso il perdono del proprio limite derivante dalla frattura tra la spinta del sentire e la rappresentazione di noi che mettiamo in atto che si procede al suo superamento. Piccoli passi.

Roberta I.

La Scintilla parla in continuazione, ma senza la decodifica di un corpo akasico strutturato, l’individualità “non potrà mai arrivare a comprendere”.
Il ragno-maestro-scintilla parla alla farfalla-discepolo-individualità, ma quest’ultima non è in grado di recepire poiché non ha ancora un grado di sentire sufficiente per farlo.
Di qui la necessità di fare esperienze per maturare le comprensioni che la porteranno a valorizzare la propria condizione.
Man mano che le comprensioni si iscrivono nel corpo akasico, il sentire si amplia e dà all’individualità una sempre maggiore capacità di recepire il linguaggio della scintilla.
Molto interessante. Grazie.

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