«Non sappia la tua mano sinistra ciò che sta facendo la tua destra», sublime insegnamento del Maestro, fratelli.
Il Verbo del Cristo, carico d’amore, denso di umanità, voleva significare soprattutto che è necessario, giusto e bello che quando si compie un’opera di bene, quando si agisce con carità verso gli altri fratelli, non lo si deve fare allo scopo di far mostra di se stessi e della propria generosità.
La propria mano sinistra, quindi, non deve sapere che cosa sta compiendo la propria compagna destra; ma quante volte, invece, travisando l’insegnamento, andando oltre le intenzioni di chi venne a parlarvi, anche quella semplice frase è stata travisata, male interpretata, usata per i propri egoistici scopi?
La mano silenziosa che, discreta, compie la sua opera pia, è diventata e diviene ancora, purtroppo, la mano che, sì, compie l’opera di carità, ma all’unico scopo di controbilanciare l’opera rea compiuta al contempo dalla sua compagna sinistra.
Non questo intendeva il Maestro, fratelli, non questo era nelle Sue intenzioni, sorelle; il Suo insegnamento d’amore voleva soltanto avvertirvi che non è mostrandovi caritatevoli ed altruisti che potete salvare la vostra anima dalla sofferenza, non è comportandovi forzatamente in rettitudine che potrete raggiungere il vostro Paradiso, fatto di pace e serenità.
Ma le parole restano impresse nella memoria, fratelli, il ricordo raggiungerà prima o poi i vostri cuori, sorelle, e allora insieme così potremo parlare, per aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle più giovani:
L’amare gli altri implica rinuncia: se saprai rinunciare anche al più grande dei tuoi desideri, avrai posto la prima pietra per la costruzione del tuo grande edificio.
La rinuncia ai propri desideri implica dolore: se saprai affrontare, per il bene degli altri, un dolore, allora avrai aggiunto un altro piccolo mattone al tuo edificio.
II dolore implica il sapersi arrendere: se saprai arrenderti alla volontà di Colui che tutto ordina, sarai certamente giunto ad un buon punto nella costruzione del tuo edificio.
Il sapersi arrendere significa superare il proprio egoismo: se saprai superare veramente il tuo egoismo, vorrà dire che sarai giunto quasi al tetto del tuo edificio.
Superare il proprio egoismo significa darsi agli altri: se saprai darti agli altri incondizionatamente vorrà dire che avrai quasi terminato il tuo edificio.
Darsi agli altri significa annullare totalmente se stessi: e se saprai annullare te stesso, se dimenticherai te stesso, non perché ti viene imposto, richiesto, comandato, ma perché ti sentirai veramente uno con tutti gli altri tuoi fratelli, allora e solo allora potrai fermarti, perché la tua opera sarà finita, e potrai gioire nel contemplare l’edificio che hai costruito e che sicuramente sarà risplendente, luminoso e sicuro perché vorrà dire che l’avrai costruito su quelle solide fondamenta che si chiamano Amore. (Viola)
Figlio, vieni a me, abbandonati,
perché io sono la fonte che può dissetarti,
perché io sono la mano che asciuga le tue lacrime,
perché io sono la carezza che lenisce il tuo dolore.
Vieni a me e abbandonati al mio abbraccio,
perché io sono la goccia che riempie l’oceano,
io sono la parola che vive nel vento,
io sono la fertile terra che dona i suoi frutti,
perché io sono la verità che è ovunque.
Cercami e mi troverai,
ascoltami e mi sentirai,
amatissimo figlio.
Abbandonati figlio, abbandonati,
e lascia fluire ciò che io in continuazione ti mando,
perché io sono la luce che illumina sempre il tuo cammino,
io sono la stella che indica la via,
io sono il faro che rischiara la notte,
perché io sono il Tutto, l’Assoluto, la Verità,
e sono ovunque tu voglia cercarmi.
Abbandonati, figlio; abbandonati,
perché io non ti deluderò,
perché io saprò aspettarti,
perché io non ti chiederò nulla di più di quanto tu sia in grado di dare,
perché io ti amo, figlio mio,
perché io sono l‘Assoluto, l’Eterno, d’Onnipresente, l’Onnisciente,
perché io sono l’Amore.
Abbandonati, figlio mio,
abbandonati al mio Amore. Moti
Viola, “Darsi agli altri significa annullare completamente se stessi”, tu affermi. Questo succede quando ci si sente veramente uno con i propri fratelli, continui più avanti. Non so se in questa vita mi sarà dato di vivere una esperienza così totalizzante, ma credo che, finchè siamo incarnati possiamo sentirci gocce vicini e simili ad altre gocce nel mare, ma comunque con una certa individualità che persiste. Neanche il Maestro, che tu citi all’inizio, ha detto di annullarsi negli altri ma di amarli come amiamo noi stessi. Questo obiettivo, sebbene non facile, mi sembra più raggiungibile.
Grazie infinite per questi spunti di riflessione e continuate a fornirci.
La fase che sto attraversando è forse un deserto, e le parole iniziali le ho sentite lontane, qualcosa di irraggiungibile. Mentre nella poesia ho sentito l’accoglienza di una di una sorta di “pochezza” che spesso mi attraversa
Testo complesso…alcuni passaggi non chiari. Ad esempio questo:
“L’amare gli altri implica rinuncia: se saprai rinunciare anche al più grande dei tuoi desideri ecc ecc”
Forse è il termine desiderio è fuorviante nel senso che se riferito all’identità, allora è tutto chiaro; ma se per desiderio si intende la libera espressione dell’ individuo, allora perché rinunciarci?
“…e sono ovunque tu voglia cercarmi”.
Apre molto. Grazie
a Nadia
Secondo me per l’incarnato il desiderio è l’espressione di quello che vorrebbe acquisire per sé l’Io.
Perché rinunciarci?
Non credo che si ratti di una rinuncia nel senso comunemente inteso (una imposizione forzata sulla propria libera espressione) ma una rinuncia dettata dal sentire acquisito che permette all’individuo di mettere da parte i propri desideri egoistici grazie alla spinta che proviene dal sentire che ha acquisito sfumature maggiori dell’amore per gli altri, considerandoli non altro da sé, ma una parte di se stessi, al punto che, in realtà, fare per gli altri senza secondi fini diventa anche un fare per se stessi e un trovare una maggiore unitarietà con l’Assoluto.
Grazie Gianfranco per aver chiarito che si intende l’Io, l’identità e non è riferito alla coscienza.
La mia attenzione si ferma sulla frase:”se saprai affrontare, per il bene degli altri, un dolore”…
Mi chiedo: qual’è il bene degli altri?
A volte la rinuncia è una scelta identitaria, fatta più per incapacità di dire di no che per reale interesse per il bene dell’altro. Il bene dell’altro non coincide necessariamente con il farlo contento o con l’evitargli un dolore.
Non sempre siamo in grado di discernere qual’è veramente il bene dell’altro o forse dovrei dire (considerato che non possiamo sapere cosa l’altro sta realmente vivendo in conseguenza delle nostre azioni) non sempre siamo in grado di discernere la natura della nostra rinuncia, quanto sia intrisa di senso di gratuità e quanto dettata dai condizionamenti dell’identità. Allora ecco che in quest’ultimo caso, facilmente affiorerà prima o poi un bisogno di riconoscenza.
«Non sappia la tua mano sinistra ciò che sta facendo la tua destra»…