Ultimamente abbiamo affermato che non dovete credere che ciò che noi abbiamo detto fino a questo punto sia la parola finale dell’insegnamento spirituale, ma che anzi l’insegnamento spirituale che noi, di volta in volta, vi porgiamo è come la punta di un iceberg, e che quello che ancora vi è da dire è come il resto dell’iceberg, che è sotto le onde del mare e che sembra non esistere, ma che pure è così tanto, in confronto a ciò che emerge.
Infatti, l’insegnamento spirituale va sempre – come abbiamo già detto – vagliato ed aggiornato a seconda dell’intimo di ognuno di voi e dei vostri mutamenti; così potremmo con tranquillità riprendere quanto fino a questo punto già abbiamo affermato sulle varie tendenze, i vari problemi, i vari aspetti dell’individuo e ampliarlo enormemente, sotto angolature diverse e sotto sfumature diverse.
Per fare un esempio di questo vorrei questa volta parlare brevemente di una parte dell’insegnamento che, a prima vista, può sembrare già spiegata abbondantemente, ma che, invece, è stata soltanto abbozzata e che, pure, è una parte di insegnamento molto difficile, non soltanto da attuare, ma anche da comprendere fino in fondo.
Mi riferisco a quello che abbiamo detto a proposito dell’aiutare gli altri.
«Aiutare gli altri», qualcosa che l’individuo non riesce mai a superare completamente, non riesce mai a sottrarvisi completamente, non riesce a far tacere quell’anelito che lo spinge a tendere la mano verso chi, in qualche modo, dimostra di aver bisogno.
Lasciamo stare – per questa volta – le difficoltà che vi possono essere da parte di chi intende aiutare, difficoltà che molto spesso gli impediscono di farlo nel modo giusto, al momento giusto, perché spinto dai propri impulsi che, molte volte, lo inducono a percepire le cose in modo sbagliato o a mettere in luce certi aspetti solo perché, magari, per lui sono importanti, mentre possono non esserlo altrettanto per le persone che hanno bisogno d’aiuto; lasciamo da parte – ripeto – per ora, quest’aspetto che è a sua volta molto complesso, e affrontiamo l’introduzione di un altro aspetto dell’aiutare gli altri altrettanto e, forse, ancora più difficile e complesso.
Se, infatti, è difficile aiutare «una persona», le difficoltà diventano quasi insormontabili allorché si tratta di dover aiutare una coppia.
Come ogni persona che si interessa di problemi psicologici sa, i problemi della coppia, il dinamismo della coppia, sono talmente complessi e pieni di variabili che dall’esterno è molto difficile riuscire a dipanare una matassa estremamente ingarbugliata. Pensate che la coppia è costituita non da un solo Io, ma da due Io, che interagiscono tra loro, portando nel rapporto i loro difetti e i loro pregi, e da questo rapporto continuano a nascere scontri e incontri.
Le difficoltà da parte di chi osserva dall’esterno una coppia e si rende conto che ha bisogno di un aiuto per particolari momenti difficili, nascono dal fatto che il rapporto è guardato dall’esterno e che non sempre è facile riuscire ad andare al di là della maschera presentata singolarmente dai due individui componenti la coppia.
Come introduzione a questo problema – ripeto molto arduo e molto difficile – io ricordo a chiunque abbia la spinta, il desiderio di aiutare delle coppie, di cercare sempre di non agire mai su un solo componente della coppia; di ricordarsi che il più delle volte, quando una coppia sta attraversando uno di quei momenti che vengono definiti «di crisi», questo accade perché vi è qualcosa nel rapporto costruito che è soltanto unilaterale, che riguarda solo una delle persone in gioco.
Cosa succede, quindi? Succede che aiutando soltanto uno dei due individui si corre il rischio di allargare il solco tra questi due individui mentre invece, se è la coppia che si intende aiutare e non l’individuo, quello che conta è riuscire a far sì che i componenti della coppia riescano a costruire (o a ricostruire) insieme quello che deve formare l’elemento bello, utile della loro unione.
Questo è un aspetto molto importante da ricordarsi sempre: mai diventare, ad esempio, intimi o confidenti di uno solo dei due componenti della coppia, perché questo potrebbe aggravare la situazione allargando il solco tra di loro.
Naturalmente il problema può essere affrontato ancora più in profondità, ma io preferirei, per questa volta, fermarmi soltanto alla superficie; anche perché fare un discorso generale che possa contemplare ogni caso di coppie bisognose di aiuto, è praticamente impossibile, in quanto la dinamica di ogni coppia è una cosa a se stante, così come, d’altra parte, ogni individuo è una cosa a sé stante; per cui per aiutare gli individui non è possibile dare una regola fissa, ma bisogna di volta in volta riuscire a trovare la formula adatta per quel tipico individuo, mezzo che, magari, con un altro individuo può non avere gli stessi risultati o può essere addirittura dannoso.
Quindi a tutti voi, figli, che così spesso sentite la spinta ad aiutare gli altri, io chiedo principalmente di agire con prudenza, di sapere sempre ascoltare molto e con attenzione, e di cercare di seguire l’esempio che in tutti questi mesi noi vi abbiamo offerto, ovvero fare in modo che siano gli stessi individui a suggerire a se stessi come trovare una soluzione.
Questo, figli, secondo noi è il modo migliore per aiutare gli altri che hanno bisogno. Molto spesso sentire la partecipazione, la comprensione di altre persone può essere uno stimolo molto importante, tuttavia vi sono casi particolari, ad esempio, in cui questo comportamento può essere negativo e sortire degli effetti negativi; questo accade per quelle persone che fanno dei propri problemi, del proprio vittimismo, un modo per essere al centro dell’attenzione.
Ecco, molte volte per queste persone il comportamento migliore da tenere per aiutarle è quello non della dolcezza ma della durezza, ed il metodo della durezza, credetemi figli, è molto più difficile da attuare di quello della dolcezza.
State quindi attenti a come le persone che chiedono aiuto espongono i loro problemi e se vedete che si rivoltolano nel loro vittimismo, se vedete che lo usano per essere al centro dell’attenzione, se vedete che attraverso questo continuo proporre sempre gli stessi problemi e senza voler cercare una soluzione, non si curano più dei problemi degli altri, dei bisogni degli altri, degli affetti degli altri se non a parole, allora quello è il momento, figli, non di dare dolcezza, non di stare soltanto a sentire, ma anche di usare una certa durezza per far comprendere che, fino a quando questo vittimismo voluto, cercato, non verrà superato, difficilmente la situazione potrà essere diversa, sia per quanto riguarda l’individuo sia – e forse ancora di più – per quanto riguarda la coppia. Moti
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Per quel che mi è dato di comprendere, risulta chiaro. Sempre più consapevolezza è richiesta, anche verso quegli atteggiamenti che muovono gentilezza e generosità e che tendevano a interrogarmi meno perché inquadrati nella vecchia logica duale giusto-sbagliato, buono-cattivo.
Grazie.
Credo che, se non si è degli specialisti in questo campo, sia impossibile e non auspicabile aiutare una coppia, perchè come Moti ben precisa, le dinamiche di due identità che sono in così stretta relazione, sono difficili da cogliere e capire. Può succedere che una delle due parti chieda consigli, in quel caso, si può aiutare la persona a vedere le proprie azioni e reazioni nella relazione, cercando di modificare quello che è modificabile, senza mai emettere giudizi sull’altra persona.
Importanti stimoli anche per chi non fa della relazione d’aiuto una vocazione della sua vita. Quante volte ci capita di avere a che fare con un amico o un parente, che si rivolge a noi in cerca di ascolto e di comprensione. Possiamo non pensare nei termini di aiutare l’altro, ma di essere semplicemente disponibili ad accogliere chi abbiamo davanti, eppure anche in questa semplice disponibilità possiamo andare incontro ai rischi di cui parla il post in questione, dando consigli avventati e impropri o assecondando l’altro nel suo vittimismo.
“Praticare il metodo della durezza (mosso dall’amore) è molto più difficile di quello della dolcezza”. Parole sacrosante.
Molto spesso nel gesto di aiuto all’altro si cela un’identificazione. Molte volte l’ho sperimentato specie in passato. Poi ho mi sono vista protagonista anche nel dare e a volte nel dare male
Da diversi anni mi dedico alla “relazione d’aiuto”, nell’ambito del consultorio familiare di Senigallia. Non mi sono mai occupata di relazioni di coppia, ma solo di singoli. Il timore di essere parziale mi ha sempre frenato. Ho più volte detto che sarebbe necessario affrontare la consulenza in coppia, così da poter equilibrare le dinamiche. Purtroppo la scarsa presenza maschile, non ha mai reso possibile questa richiesta. Sono sempre stata critica nei confronti dei/lle colleghi/e quando ne coglievo il moto fortemente identitario di dimostrare quanto fossero bravi nel risolvere i vari casi. Ho cercato di mettere in guardia dal sentimento narcisista ed egoico, che muove taluni a fare volontariato nell’ambito della relazione d’aiuto, pensando di essere dei “salvatori”, mentre dovrebbero maggiormente porre attenzione sui propri moti identitari. Se da parte di qualcuno c’è stato apprezzamento e riflessione su questi concetti, per altri sono sembrati inopportuni e presuntuosi. Quando Moti afferma che a volte la durezza è preferibile alla morbidezza, concordo. Per me che naturalmente mi pongo in atteggiamento di accoglienza è stata una conquista riuscire a non essere sempre accondiscendente. Sempre in un’ottica di confronto e di crescita, ma non sempre compreso come tale. Il paradigma del Sentiero, è stato spesso illuminante, sia nella pratica consulenziale, sia nell’osservare le dinamiche dell’Equipe. Questo post, mi aiuta ancora di più a comprendere il lavoro che sto facendo. Grazie.
Non e’ così semplice nè scontato quello che si dice nel post. Quando mi e’ stato chiesto ho sempre avuto l’ impressione che le parole mi attraversassero , a volte sono state utili o almeno mi è sembrato. Devo rileggere meglio
Cogito