Fa’ agli altri ciò che vorresti ti facessero

Ognuno di voi vive la sua vita, e ognuno di voi si accorge, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, di quanto la vita e l’esistenza possono sorprendere offrendo in continuazione nuove esperienze, nuove difficoltà.
Ascolto un coro di voci che si leva dal mondo fisico, un coro di voci, molto spesso, soltanto mentali.
Cosa dicono queste voci?
Cosa chiedono a se stesse, alla vita, a Dio?
Di cosa si lamentano, cosa vorrebbero, cosa esprimono, cosa le accomuna?
Le accomuna il fatto che la vita di ognuno di voi è imperniata principalmente non soltanto su voi stessi, ma sulla vostra capacità di agire, di interagire con le altre persone che vi stanno accanto; è imperniata, cioè, sulla vostra capacità di convivere con gli altri.
Quant’è difficile questa convivenza, quant’è difficile incontrarsi e non scontrarsi con gli altri, quant’è difficile fare per gli altri e non aspettarsi che gli altri facciano!
Da queste difficoltà nascono molto spesso i turbamenti quotidiani che voi avete, turbamenti che investono le vostre famiglie, che si manifestano nella vostra incapacità di comunicare con gli altri, di creare dei rapporti solidi e sinceri, di trovare quell’affetto che a volte vi manca, di riuscire a collaborare con gli altri, di lavorare con gli altri; di costruire con gli altri, di creare con gli altri, di vivere, insomma, con gli altri.
Qual è il modo, figli, per uscire indenni da questi scontri, e non soltanto indenni, ma addirittura fortificati? Qual è il modo migliore per far sì che questo convivere diventi fruttuoso?
Qual è il modo migliore per non commettere errori, per non fare del male agli altri, per non nuocere, per creare armonia, pace, serenità, equilibrio, per diventare insomma, voi per gli altri, una fonte d’amore, di amicizia, di serenità?
Il modo migliore, figli, è ricordare sempre una frase detta molti secoli fa da un Maestro del passato che pure è sempre vivo e attuale e che continuerà a restare vivo e attuale fintanto che l’interiorità dell’uomo avrà bisogno di un insegnamento etico e morale.
Queste parole davano come norma di vita il non fare agii altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a se stessi.
Sembra così facile quest’insegnamento, sembra una frase, ormai, quasi scontata. Eppure, figli, voi tutti uno per uno, che ogni giorno vi lamentate di ciò che gli altri vi hanno fatto, o di ciò che gli altri non fanno per voi, o di come gli altri non vi gratificano o non rispondono al vostro sorriso, voi tutti, in realtà,

non vi accorgete che state facendo agli altri proprio ciò che imputate loro di fare a voi.

Se voi stessi, quindi, troverete sempre in voi un sorriso per gli altri, se voi stessi sarete pronti a riconoscere il valore degli altri, se voi tutti sarete pronti ad accettare il consiglio degli altri, se voi tutti sarete pronti a dire «Io ho sbagliato» e non «Tu hai torto», se voi tutti riuscirete, insomma, a fare spazio anche agli altri e non soltanto a voi stessi, state pur certi, figli, che il convivere con gli altri diventerà una cosa semplice e facile; e non perché vi sarete sacrificati per gli altri, ma semplicemente perché avrete fatto sì che nel mondo in cui vivete ci sia posto non solo per voi, ma per tutti; non soltanto per i vostri bisogni, ma per quelli di tutti coloro che vi circondano, che stanno assieme a voi nel mondo e che lottano, vivono, soffrono, piangono e gioiscono così come voi fate; tutti coloro, insomma, che non sono altro che delle variazioni di voi stessi.
Con queste parole, figli nostri, e con l’augurio che fin da domani voi riusciate a comprenderle – e non soltanto mentalmente, ma anche a metterle in atto, giorno dopo giorno, a partire da chi più vi è vicino, allargando poi sempre di più queste vostre azioni – io vi saluto, vi lascio la mia benedizione. Moti

Ultimamente c’è stato un messaggio in cui veniva spiegato come si vivono i rapporti con le altre persone e diceva che il modo migliore per costruire dei rapporti con gli altri è quello di seguire l’insegnamento del Cristo, quello che dice: «non fare agli altri quello che vorresti non fosse fatto a te».
Io stavo a sentire come tutti e mi dicevo: io non riesco a capire perché questo pessimismo del Cristo! Perché dare un insegnamento in quella forma? Perché dire «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te»?
Dire così, secondo me, vuol dire partire dal concetto che gli altri sono lì, pronti a farti di tutto, mi sembra, se capite quello che voglio dire.
Allora sono andata da papà Scifo e mi sono fatta spiegare il perché, e Scifo mi ha detto quello che si deve ricordare quando si leggono gli insegnamenti dell’antichità: gli insegnamenti dell’antichità erano rivolti all’umanità di quell’epoca, e l’umanità di quell’epoca era chiaramente un’umanità che aveva un’evoluzione molto diversa da quella di questa (a parte certi individui, questo è chiaro), ed era un’umanità che aveva proprio bisogno dell’indicazione di che cosa non doveva fare, non di che cosa doveva fare, perché doveva ancora capire che cosa non doveva fare. Capite la sottigliezza?
Così, per esempio, non poteva essere detto: «Rispettate la vita», ma doveva venir detto «Non uccidete».
La prima fase è quella dell’imposizione per abituare; poi, quando la cosa diventa naturale, allora si passa alla seconda fase.
Infatti se si dovesse dare l’insegnamento del Cristo all’umanità attuale (alla maggior parte, almeno, di quest’umanità), invece di: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te», si dovrebbe dire: «Fa’ agli altri ciò che vorresti che gli altri ti facessero!».
Sarebbe ottimista, a questo modo, l’insegnamento: i concetti sarebbero sempre gli stessi, ma la prospettiva è diversa, perché presuppone che la persona a cui stai parlando tenda a fare del bene invece che del male. Zifed


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Samuele

Molto persuasivo. Grazie

Samuele

A ben vedere, se il link che riporto è attendibile, Gesù già usava la forma positiva o ottimistica:
http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Mt7%2C12%3B+22%2C36-40&formato_rif=vp

natascia

A parte le sottigliezze, credo che il valore di questa frase, anche se posta nella sua accezione negativa, sia spunto di grande riflessione, rispetto a come traduciamo nella quotidianità la nostra capacità d’amare.

Roberta I.

Arriva un momento in cui “non nuocere” non può più bastare alle necessità evolutive di un individuo nel suo percorso da ego ad amore, vivere la propria vita in tranquillità senza fare del male a nessuno diventa una comodità improponibile. I fenomeni migratori di questi tempi, interrogano ognuno di noi e ci scuotono nei nostri egoismi. Certo fino ad un certo punto del percorso di una coscienza, smettere di uccidere o di rubare è il segno di una crescita importante, una tappa del lungo viaggio che porta alla coscienza dell’unità, successivamente l’innocuità diventa sempre più sottile, passando dal campo di manifestazione dell’azione, a quello delle emozioni e dei pensieri.
Pensiamo a quanto sia ancora difficile per molti di noi smettere veramente di giudicare. Chi di noi vorrebbe essere giudicato? Eppure in maggiore o minore misura continuiamo a farlo, non facciamo del male a nessuno, ma se cercassimo di applicare anche solo la frase formulata negativamente “non giudicare se non vuoi essere giudicato”, ci renderemmo conto di quanto il sentirci giudicati e la sofferenza che ne deriva siano in stretta correlazione con la nostra stessa propensione a giudicare.
Il progredire dell’innocuità non può rimanere svincolato dalla crescita dell’interesse verso l’altro, della cura, del servizio, i quali stanno a testimoniare il graduale superamento del senso di separazione e quindi del senso di un confine, di una proprietà da difendere. In realtà non esiste confine, non esiste proprietà, non c’è nulla da difendere, nulla da perdere.

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