D – La violenza è insita in noi sempre?
La violenza è la manifestazione di un tratto del carattere dell’individuo incarnato, in quanto nel suo DNA sono attivati quei particolari geni che possono più facilmente condurre a una reazione di tipo violento. In quest’ottica la domanda posta non può essere che affermativa.
Questo, tuttavia, non significa che l’individuo debba necessariamente manifestarsi a ogni contrarietà in maniera violenta: la manifestazione violenta può scatenarsi solo in seguito a particolari stimoli, così come può non manifestarsi affatto in assenza degli stimoli adeguati, oppure ancora la manifestazione può essere repressa dai condizionamenti esterni (archetipi sociali), non annullandola ma finendo, spesso, col rivolgerla verso sé stessi invece che all’infuori di sé stessi.
Infine, ma questo avviene piuttosto avanti nell’evoluzione dell’individualità, può venire trasformata nella sua manifestazione in una maniera che difficilmente può essere riconosciuta nel suo legame con la violenza. Per fare un esempio il “porgere l’altra guancia” è una trasformazione di quel tipo, in quanto la reazione violenta che potrebbe far seguito a quello cui la persona è stata sottoposta viene manifestata in maniera completamente diversa e resa, in qualche maniera positiva. È stata, come si diceva tempo fa, trasformata in dono.
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D – Può essere gestita attraverso la crescita, il cammino evolutivo, la comprensione?
Credo proprio che non possa che essere così, come d’altra parte avviene per tutti gli elementi che concorrono a determinare la personalità dell’individuo incarnato.
D – Tra i vari meccanismi che portano alla violenza come si inserisce l’omicidio?
Io lo immagino come la parte terminale di un picco emotivo fuori da ogni controllo. Ma questo, secondo me, non significa che sia sempre facilmente attribuibile a violenza vera e propria così come comunemente la si intende; basta pensare ai casi in cui l’assassino preordina l’omicidio, o l’apparente freddezza emotiva che sembra essere manifestata da certi assassini.
In questi casi molte delle caratteristiche che accompagnano la violenza non sembrano essere riscontrate (ad esempio le alterazioni fisiologiche all’interno dell’individuo). Questo può significare che il picco emotivo trattiene all’interno dell’individuo le energie turbolente che lo portano a commettere l’omicidio (e questo rende quell’individuo estremamente pericoloso, in quanto il picco emotivo non viene sfogato cosicché può facilmente reiterare il comportamento omicida), oppure che l’omicidio è il terminale, solo apparentemente a genesi violenta, di un picco emotivo che in realtà ha caratteri predominanti diversi dalla pura e semplice violenza (ad esempio un picco emotivo collegato principalmente al rancore, o all’odio e così via) che ha il suo sfogo nell’azione omicida.
D – La violenza psicologica è sempre negativa?
Qua bisognerebbe fare diverse distinzioni. Prima di tutto bisognerebbe chiarire negativa per chi: per chi la fa o per chi la subisce? Per chi la fa l’attribuzione di negatività o positività deve fare riferimento all’intenzione con cui essa viene messa in atto: la connotazione della violenza con cui reagisce la madre nel vedere il proprio figlio in pericolo non è certamente assimilabile a quella di chi accoltella per gelosia un’altra persona.
Per chi la subisce è spesso difficile capire dall’esterno quanto essa sia stata davvero negativa: non è raro che anche la violenza più efferata porti, alla lunga, a effetti positivi per la comprensione della persona che l’ha subita, per esempio per il fatto di aver imparato personalmente quanto dolore, quanta sofferenza possono essere compiuti sugli altri, predisponendola a non commettere le stesse azioni.
Credo che a questa domanda avrei dovuto semplicemente rispondere che non è possibile fornire una risposta generale, ma che la risposta varia da situazione a situazione e da persona a persona. Ma a volte mi piace complicarmi le cose!
D – Quand’è che c’è vera violenza psicologica?
Quando, consapevolmente, si costringe un’altra persona a sottostare a quello che si desidera in quel momento senza preoccuparsi di quali siano veramente i bisogni e le necessità dell’altro. Cioè quando il proprio egoismo riesce a sottomettere l’egoismo dell’altro sfruttandone le debolezze e le fragilità.
D – La violenza su se stessi è sempre positiva?
Anche in questo caso è difficile poter generalizzare la risposta: talvolta la violenza su se stessi è positiva perché, per esempio, indica il tenere conto degli effetti di una propria reazione violenta sulle persone che potrebbero subirla; altre volte diventa negativa quando è conseguenza di una repressione su se stessi messa in atto per nascondersi e cercare, magari, di apparire ben diversi da come interiormente si è.
D – È giusto dire che, come l’aggressività, anche la violenza è uno strumento e quindi può essere usata in positivo o in negativo?
Su questo non ci piove, ed è il motivo che mi ha fatto affermare nelle risposte precedenti che, in realtà, è difficile poter dare una risposta generalizzata a questo tipo di domande. Georgei
Interessante, grazie.
Letto. Ogni manifestazione sottostà alla legge dell’ambivalenza. Questo ci fa comprendere una volta di più quanto poco i sistemi morali basati sul dualismo sappiano cogliere della rilevanza esistenziali di tali atteggiamenti.