L’argomento di partenza era quello che abbiamo definito «rabbia sociale» e mi sembra, d’altra parte, però di averlo esaminato anche se non con un discorso lunghissimo, perché speravo che poi con le vostre domande si potesse esaminare più approfonditamente.
[…] Comprendendo la rabbia e i suoi picchi, potete arrivare a comprendere come questa possa comunicare, passare da un individuo all’altro all’interno di un gruppo, formare degli archetipi transitori, formare delle atmosfere di gruppo e alla fine esplodere in violenza, come abbiamo cercato di descrivere in quello che dicevamo prima.
Partendo dall’individuo si può arrivare a comprendere non solo la rabbia dell’individuo ma anche la rabbia del gruppo, perché la genesi è, comunque, nell’individuo e non nel gruppo.
Diciamo che la rabbia sociale è fatta, comunque sia, delle rabbie personali, individuali di tutti gli appartenenti al gruppo che esprime la rabbia. Quindi per comprendere la rabbia sociale si può partire dall’alto per arrivare al basso, o si può partire anche dalla rabbia individuale per comprendere la rabbia generale.
D – Ma tornando alle atmosfere: un gruppo di persone che vive sentimenti diversi, rabbia, felicità e il miscuglio che ne viene fuori: come avviene questo contagio e che risultati dà? È possibile che un numero relativo di persone che hanno un’atmosfera positiva, possano riuscire a influenzare in modo determinante chi vive invece una condizione negativa di rabbia?
Se si tratta di poche persone da influenzare è possibile, quando si tratta di vasti gruppi diventa molto più difficile. Prendete quello che è successo durante la partita: si trattava di poche persone rispetto alla totalità delle persone presenti allo stadio, giusto? Mettiamo che ci fossero trentamila persone, e cinquecento fossero quelle arrabbiate, teoricamente i ventinovemilacinquecento tranquilli avrebbero dovuto riuscire a creare un’atmosfera tale da calmare i cinquecento arrabbiati, non vi pare?
Per prima cosa teniamo presente che nel momento in cui c’è il picco è difficile poter fermare le reazioni perché ormai le reazioni sono partite: bisognerebbe che l’atmosfera degli altri fosse riuscita a influenzare prima l’esplosione della violenza e della rabbia delle altre cinquecento persone. Però pensate anche a un’altra cosa: le altre ventinovemilacinquecento persone secondo voi erano esenti dalla rabbia?
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D – Ad esempio la polizia non aveva un atteggiamento calmante...
Certamente, ma anche gli altri avevano le loro piccole rabbie personali, secondariamente molti potevano essere arrabbiati perché la partita non si poteva vedere, altri potevano essere arrabbiati perché rovinavano l’immagine della città… Quindi l’atmosfera che potevano lanciare, inviare per cercare di calmare queste altre persone non era in realtà pura, ma portava con sé elementi che potevano finire non dico con l’ottenere l’effetto opposto, ma alimentare invece di frenare la rabbia di quel piccolo gruppo di persone.
Quindi, ricapitolando: perché un gruppo di persone possa con la sua serenità riuscire a fermare, rallentare, calmare un altro gruppetto di persone che ha una reazione emotiva violenta, è necessario che il primo gruppo di persone riesca veramente a esprimere serenità, tranquillità e pace: se vi sono altri elementi al proprio interno che non soddisfano queste condizioni, il tentativo non avrà certamente buon esito o influirà solo in maniera superficiale sull’atmosfera del gruppo e, comunque, non in modo sufficiente a calmierarne i picchi.
D – Serve una vicinanza fisica…
Questo non è detto perché dipende anche da quanto sono grandi i gruppi e da quanto forti sono le vibrazioni che trasmettono.
D – Per riuscire a fare una cosa del genere non è necessario riuscire a capire la rabbia dell’altro, magari addirittura la motivazione?
Prendiamo il caso di due persone soltanto, così ci limitiamo a quello e poi semmai lo espandiamo al gruppo. Se tu hai una persona che si sta arrabbiando e tu invece sei tranquillo, sereno e pacifico e riesci a rendere partecipe l’altro di questa tua condizione interiore, vedrai che l’altro inevitabilmente finirà con il veder scemare le proprie reazioni emotive forti e a calmarsi, ma questo avverrà praticamente perché le tue vibrazioni tranquille porteranno tranquillità, cambieranno il ritmo delle vibrazioni perturbate dell’altro e questo senza bisogno di conoscere il perché dell’altro.
D – In un rapporto uno a uno?
In un rapporto uno a uno, certo; in un rapporto con più persone la cosa diventa più complicata, anche perché è più difficile trovare tante persone che siano veramente in una condizione di quel tipo. Invece la persona sola che cerca di calmare un intero gruppo difficilmente riuscirà veramente a farlo, per quanto serena e tranquilla possa essere, a meno che non sia un Maestro all’ultima incarnazione, allora è un altro discorso. Ma una persona di media, medio-alta evoluzione, comunque sia, non ha ancora delle vibrazioni tali da riuscire veramente a sanare, rallentare, tranquillizzare, a equilibrare le reazioni di un gruppo di persone.
D – In una classe di venti venticinque posso prendere la porta. Non ho speranza.
Non direi proprio così, anche perché entrano in gioco molti fattori; ad esempio, il fatto che con queste persone tu abbia un rapporto, il fatto che ti conoscano, il fatto che possano avere o no stima e fiducia in te; tutti questi sono elementi che portano già in partenza a moderare i loro picchi di rabbia.
D – Pensavo al caso del nazismo, dove ci sono stati comportamenti molto violenti per un lungo lasso di tempo: c’entra sempre il discorso del picco o c’era qualcosa di diverso, perché è durato così tanto ed era così estremo?
Non si trattava di un picco di rabbia, si trattava più di un archetipo creato da più persone che, però, avevano un’evoluzione non certamente alta, ed è partito, quindi, dal grado basso dell’archetipo. A quell’archetipo hanno finito col collegarsi, un po’ alla volta, tutte le persone che avevano un forte bisogno di sentirsi forti, potenti, superiori e non avevano ancora raggiunto comprensioni che potessero indurre a sperimentare, invece, la giustizia, la fratellanza, l’uguaglianza o l’amore.
D – Forse più che di rabbia di rancore, un insieme di rancori?
Ma, sai, un archetipo esprime diverse componenti, non c’è una componente sola: c’era la presunzione, c’era l’orgoglio, c’erano tanti elementi diversi, c’era anche qualche elemento positivo comunque sia, anche se è difficile vederli, ad esempio l’idea di «appartenenza», anche se distorta, dei componenti del gruppo, idea basilare dalla quale non si può prescindere per arrivare al concetto della fratellanza universale. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un livello molto basso nella sperimentazione dell’archetipo.
Al livello superiore, nel punto in cui, cioè, si sono sperimentate tutte le possibilità offerte dall’archetipo e, di conseguenza, la comprensione si è gradatamente strutturata, si trovano i concetti di «pacifismo», «non-violenza», «unione con gli altri» che hanno portato, in seguito, alla formazione di archetipi transitori come quelli che hanno dato vita al movimento hippy, o alla New Age o alla «rivolta non violenta» di Gandhi.
Voi vi chiederete se non era possibile intervenire per impedire quello che è successo. Vedete, creature, intanto non è possibile andare contro il karma, e vi garantisco che, dal punto di vista karmico individuale, molto ne è stato risolto attraverso, per esempio, l’aiuto fornito da molte persone alle categorie di individui perseguitate.
In secondo luogo, quegli avvenimenti dovevano far pensare le persone non aderenti a quell’archetipo e aiutarle a diventare consapevoli e a manifestare quello che era dentro di loro, ma che veniva tenuto nascosto al loro interno da un’Io timoroso di perdere qualche vantaggio per se stesso.
D – Volevo ritornare alla rabbia e agli archetipi transitori: è possibile cambiare la manifestazione della rabbia cambiando l’archetipo transitorio? So che l’archetipo transitorio si modifica, quando è finito se ne fa un altro con una manifestazione diversa.
Direi che quando si è collegati a un archetipo transitorio fino a quando non si è compreso tutto quello che l’archetipo creato ha lo scopo di far comprendere, non è possibile staccarsi da quell’archetipo.
D – Però, guardando indietro nei secoli, la manifestazione della rabbia è rimasta quella, sempre violenta.
Sì, è vero. Ricordiamoci, però, che l’uomo ha in sé un retaggio proveniente dalle sue incarnazioni in forma animale, e che le reazioni animali privilegiano innanzi tutto la sopravvivenza del singolo e della specie, quindi i meccanismo di difesa o di attacco; quando il DNA viene costruito per un individuo umano, ha ancora in sé degli elementi che ricordano questo trascorso come animale e che fanno da base caratteriale a come lui poi si rapporta con la realtà (ricordate il concetto di imprinting che avevamo espresso anni e anni fa?).
Quindi gli istinti di violenza, aggressivi, difensivi sono comunque presenti nell’individuo perché hanno fatto parte, per millenni, delle sue reazioni di sopravvivenza all’interno del mondo animale.
Grazie