Poniamoci per un momento la domanda più logica che sia possibile porsi nell’affrontare quest’argomento:
«Chi è che è vittima di se stesso?».
«Non c’è dubbio: è l’Io!».
[…] D’accordo, diciamo che è l’Io. Quindi questo significa che la risposta, in realtà, potrebbe venire enunciata nel seguente modo: «L’Io è vittima di se stesso».
[…] Vediamo allora, sulla scorta dell’insegnamento portato in questi molti lustri (per chi non lo sapesse «un lustro» significa cinque anni del vostro tempo), di trovare qualche elemento che, in pratica, permetta almeno di arrivare a mitigare la vittimizzazione di se stesso da parte dell’Io.
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In realtà è abbastanza facile ottenere ciò che andiamo cercando. Infatti basta applicare la base dell’insegnamento, quella che recita che l’«evoluzione dell’individuo passa attraverso tre fasi successive dell’evoluzione della coscienza individuale: la conoscenza, la consapevolezza e l’esperienza».
La conoscenza
Per mettere in atto il primo stadio, ovvero la conoscenza, è necessario e indispensabile che l’Io abbia acquisito la capacità di avere trovato almeno un minimo di sincerità verso se stesso: se l’Io non si vuole accorgere di avere un problema continua a convincersi che va tutto bene, che è il resto del mondo ad avercela con lui e che sono le persone con cui è a contatto che se ne approfittano della sua bontà, della sua disponibilità o, nella più coraggiosa delle ammissioni, della sua dabbenaggine.
Siete passati tutti da questo stadio. Anzi, molte volte ci provate ancora a fermarvi a questo punto, almeno finché l’esterno o la vostra coscienza vi costringono a prendere atto che le cose non stanno proprio così come vi farebbe comodo credere che stessero.
A forza di scontrarvi con la realtà e con gli elementi della vita quotidiana che continuano a «tramare» per farvi cadere quelle ben pasciute fette di prosciutto con cui cercate di coprire i vostri occhi per nascondervi la realtà, finisce che il vostro Io, forse per pigrizia o per stanchezza, arriva ad accettare l’esistenza di un problema.
Naturalmente continua a provarci a rendere il problema «non suo» non perdendo occasioni per sottolineare il problema quando si manifesta o almeno «sembra» manifestarsi nella vita degli altri. Come ha insegnato il Cristo «è più facile vedere la pagliuzza negli occhi di un altro che la trave nel proprio», più facile e più utile per l’Io, aggiungerei a mia volta!
Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) questo comportamento accomuna tutti gli incarnati. Ecco così che gli altri, al fine di non vedere le proprie travi, fanno esattamente quello che fate voi: colpiscono d’anticipo sottolineando e stigmatizzando quei vostri comportamenti che si rivelano essere palesemente poco adeguati rispetto a come affermate di essere.
Questa, bisogna proprio dirlo, è una cosa veramente seccane per l’Io! La sua prima e quasi automatica reazione è quella di difendersi attaccando a sua volta, magari manifestando nella maniera più eclatante possibile la propria infelicità per essere vittima innocente di una cattiva comprensione da parte dell’altro che «non ha avuto la sensibilità di accorgersi che quello che lui aveva cercato di esprimere era solo amore, affetto, partecipazione, condivisione senza assolutamente nessun secondo fine»!
E per un po’ il giochetto gli riesce anche, almeno fino a quando le voci esterne che concordano nell’affermare la stessa cosa riguardo al suo comportamento non diventano così tante e così insistenti che l’Io si rende conto di non poter proprio più reggere il ruolo che si era scelto a meno di non accettare di passare per stupido e l’Io, per fortuna, è sempre poco ben disposto ad accettare qualche cosa che lo etichetti come inferiore per qualche motivo agli altri Io.
La consapevolezza e la comprensione
Ecco così che è costretto a passare alla seconda fase ovvero alla consapevolezza che quel problema che sembrava affliggere gli altri non gli è del tutto estraneo ma in qualche misura «leggera, ovviamente, questo sia ben chiaro!», afferma con tutti mentre manifesta con soddisfatto orgoglio la sua indiscutibile capacità di essere sincero con se stesso gli appartiene.
Anche a questo livello, è evidente, in realtà l’Io è ancora fortemente vittima di se stesso. Per avere un’attenuazione di questa condizione bisogna arrivare alla comprensione, cioè bisogna che l’individuo raggiunga un punto evolutivo in cui nuovi e più importanti elementi di comprensione si inscrivono all’interno del suo corpo della coscienza, creando nuovi collegamenti tra le molteplici piccole comprensioni che erano magari già state raggiunte in precedenza ma che erano ancora poco collegate tra di loro, situazione cui le nuove comprensioni finiscono col porre parziale rimedio, cominciando a unificare tra di loro le varie briciole di comprensione che, fino a quel punto, risultavano solo relativamente utili perché troppo scollegate tra loro all’interno del corpo della coscienza.
Come dire: potete comprendere anche mille piccole verità, ma se vi manca la capacità o la possibilità di vederle nel loro insieme e nelle loro interazioni le vostra evoluzione resta una possibilità in avvenire e non una realtà costituita ed efficace.
È solo quando arrivate a questo punto che il vostro Io ha la possibilità di essere meno vittima di se stesso. Purtroppo come per tutto ciò che attiene il raggiungimento del sentire all’interno del corpo akasico non vi è il premio sperato col raggiungimento di questo risultato: il corpo akasico non opera per ottenere un premio o un posto in paradiso, ma ciò che compie (ovvero l’allargamento del proprio sentire) è un fluire spontaneo delle sue intrinseche qualità che lo fanno tendere a ritornare nella sede da cui era stato «riflesso» per ritrovare l’unità con Colui che E’.
Potrebbe il vostro Io, in condizioni normali, impedire ai vostri sensi fisici di percepire?
Potrebbe impedire al vostro corpo astrale di reagire emotivamente alle emozioni che lo attraversano?
Potrebbe veramente fermare i pensieri del vostro corpo mentale?
Io direi proprio di no, al di là degli eventuali deliri di onnipotenza del vostro Io!
Allo stesso modo certamente non potrebbe impedire alla vostra coscienza di «sentire».
Voi ricorderete senza dubbi che abbiamo definito l’Io come la risultante, nel corso dell’incarnazione, di quelle che sono sia le comprensioni che le incomprensioni del corpo della coscienza di ognuno di voi.
Questo ci dà modo di ampliare il concetto di «essere vittima di se stessi»:
l’Io diventa vittima di se stesso nel preciso momento in cui tiene conto solo delle sue incomprensioni per gestire le reazioni messe in atto nel corso della vita fisica e cerca di coprirle, di nasconderle, di abbellirle mascherandole quando, se volesse, avrebbe altrettante comprensioni che gli appartengono che lo renderebbero bello, dolce e più accettabile a se stesso e agli altri. Scifo
Sempre individuale il.lavoro ma inserito in un ambiente esterno di masse…inconsapevoli????come si perviene alla verita’
Se ciclicamente tutto si ripete?
In verità, nell’ottica del divenire, nulla si ripete ciclicamente, altrimenti saremmo imprigionati in una stasi e non avrebbe senso parlare di cammino di evoluzione.
Chi ritiene che tutto si ripete ciclicamente? Direi l’Io che è sempre un passo dietro le comprensioni raggiunte dalla coscienza: per cui si crea l’inganno che tutto si ripeta e che non si avanzi nella comprensione.