Nel vivere la vostra vita molto spesso vi lamentate con voi stessi perché sembra che ciò che vivete non cambi mai, sia un continuo ripetersi ossessivo di situazioni conflittuali, specialmente nel momento in cui si tratta di rapportarvi con gli altri che sono accanto a voi nel corso di questa esperienza terrena.
Vedete, questa sensazione è dovuta principalmente al fatto che voi siete continuamente in lotta: in lotta con voi stessi, in lotta con gli altri, con quello che voi pensate degli altri e con quello che gli altri pensano di voi; il vostro Io cerca in continuazione di avere la preminenza su quanto vi accade nel corso delle giornate e tollera malvolentieri le interferenze di eventuali altri Io che possano in qualche maniera interferire con quelli che sono i suoi desideri o i suoi bisogni.
[…] Nel corso di tutti questi anni d’insegnamento noi vi abbiamo portato più volte il concetto che non dovete giudicare gli altri ma, semmai, dovete più facilmente, potete più facilmente giudicare voi stessi. Purtroppo, questo insegnamento, messo nelle mani del vostro Io, è stato trasformato, male inteso, male interpretato e, alla fine, ognuno di voi risulta non aver compreso la differenza che c’è tra “avere un’opinione”, “formulare una critica” o “emettere un giudizio”.
Pensateci un attimo: senza dubbio, vi è una differenza tra questi tre termini, ma pensate di aver compreso qual è questa differenza?
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Avere un’opinione
Avere un’opinione riguardo a un’altra persona significa – secondo noi – pensare che questa persona ha un bisogno particolare e ha bisogno di un’attenzione particolare, di cui è manchevole; e, quindi, significa anche mettersi nella posizione di chi si rende conto del bisogno dell’altro e cerca in qualche modo di far sì che l’altro possa ricevere le proprie parole, il proprio modo di essere e di fare nella maniera più utile possibile per poter comprendere. Non vi è, quindi, possibilità di contrasto nell’esprimere un’opinione; non vi dovrebbe, per lo meno, essere.
Muovere una critica
Certamente il discorso cambia quando, più che un’opinione, quello che si afferma, quello che si dice è una critica. Emettere una critica verso il comportamento di un’altra persona comporta una quantità molto più ampia d’interferenza dell’Io, perché significa in partenza che la persona che emette la critica si ritiene superiore, come comprensione, all’altro; e si ritiene in grado di poter comprendere cosa sarebbe meglio per l’altro fare; ed ecco, quindi, che l’opinione diventa un elemento più forte, diventa un tentativo, sì, sempre di porre la mano all’altro, di aiutarlo, ma anche una spinta ad aiutarlo come si pensa – secondo il proprio metro – che l’altra persona debba essere aiutata.
Chiaramente, in questa condizione lo scontro tra Io diventa molto più facile; prima di tutto perché l’altro reagisce alla critica, a nessuno fa piacere essere criticato, per quanto una critica possa essere giusta; e, dall’altra parte, l’Io della persona che critica può facilmente reagire perché ritiene che l’altro non voglia capire.
Vedete, quando gli altri non capiscono, molte volte non è che non vogliono capire, è che proprio non riescono a capire, e voi stessi, per primi, dovreste riuscire a comprendere questo e, quindi, ad accettare la non possibilità di comprensione dell’altro.
Questo vi porterebbe ad annullare le vostre critiche e a fornire le vostre opinioni, in modo tale da non creare una posizione di contrasto e di lotta, bensì un’occasione di confronto e di dialogo in cui ognuno esprime la propria interiorità, il proprio pensiero, la propria razionalità, o anche, a volte, la propria emotività, ma senza pretendere che l’altro, per forza di cose, si esprima così come egli vorrebbe che si esprimesse.
Giudicare
Il terzo livello, quello più soggetto all’interferenza dell’Io, indubbiamente è giudicare gli altri; infatti porta con sé sia i pregi che i difetti dei livelli precedenti: in fondo c’è un tentativo – anche se molto sottomesso ai bisogni dell’Io – di aiutare l’altro, c’è il mettersi al di sopra dell’altro ritenendosi in grado di poter giudicare quello di cui l’altro ha bisogno, ma c’è anche l’ergersi a giudice dell’altro in maniera tale, però, da riflettere quelli che sono i propri impulsi interiori
O meglio, per essere più semplice, quando voi giudicate l’altro, non lo giudicate in realtà per ciò che l’altro fa, ma lo giudicate proiettando sull’altro il giudizio che avete di voi stessi. Ecco che, a questo punto, diventa importante rendersi conto che gli altri sono lo specchio di ciò che voi siete; quando voi giudicate – e molte volte siete intransigenti nei confronti degli altri – è perché, in realtà, c’è qualche cosa dell’altro che riconoscete in voi stessi, e nel momento che emettete il vostro giudizio, talvolta insindacabile, inflessibile e difficilmente modificabile, è perché di voi stessi avete quell’opinione che sull’altro proiettate.
Sembrano tutte sottigliezze, sembrano cose difficili da precisare e da comprendere, e anche più da attuare nella vita di tutti i giorni, eppure c’è un metodo molto semplice, c’è un elemento molto semplice che vi fa comprendere quale sia l’intenzione di partenza del vostro rapportarvi con gli altri; quelle intenzioni che, alla fin fine, se pensate bene a quello che abbiamo detto, stanno alla base di tutte e tre le motivazioni, di tutti e tre i gradi di rapporto con gli altri, di cui abbiamo parlato:
– chi esprime un’opinione è in grado poi di modificare la propria opinione se ritiene di aver acquisito altri elementi per poterla modificare e, quindi, renderla più adatta alla situazione;
– chi emette una critica potrebbe certamente modificare la critica che porge se riuscisse a rendersi conto che l’altro non capisce non per malanimo ma, semplicemente, per mancanza di elementi di comprensione;
– chi giudica, difficilmente, invece, modifica quello che è il suo giudizio. A parole, magari, certamente si dimostra accomodante, ma poi, alla prima occasione il giudizio ritorna, forse ancora più forte di prima; e l’elemento che vi dimostra, che vi può far vedere quale di questi livelli voi adottate nei rapporti con le altre persone è il fatto che voi riusciate o meno a chiedere scusa per i vostri comportamenti, ad ammettere con gli altri e con voi stessi che, magari, avete ecceduto nella vostra critica o nel vostro giudizio; che, magari, se dicevate le cose in maniera diversa, l’altro poteva accettare con più facilità quello che veniva detto e allora avrebbe potuto esserci un tavolo su cui dialogare, non un campo di battaglia.
Spero, con questo, figli, di aver chiarito un po’ di più quello che noi intendiamo dire quando vi chiediamo di non giudicare gli altri. “D’altra parte – voi direte – come sempre le prospettive sono due: c’è la prospettiva di chi giudica e la prospettiva di chi si sente giudicato.”
Finora abbiamo parlato di chi giudica, ma vediamo anche un attimo chi si sente giudicato.
Sentirsi giudicati
È indubbio, evidente, chiunque di voi può comprendere che, nel momento in cui una persona si sente giudicata da un’altra persona, questo avviene perché c’è qualche cosa per cui pensa interiormente che in realtà può essere giudicata negativamente dagli altri.
Questo significa che questa persona è la prima a giudicare se stessa e, come tutti gli Io di tutte le persone, un giudizio su se stesso arrivato da un altro individuo è più difficile da accettare che il giudizio che la persona stessa emette sul proprio comportamento, anche perché il giudizio che la persona emette sul proprio comportamento è facilmente travisabile, modificabile, abbellibile in maniera tale da rendere più semplice accettarlo e anche trovare delle giustificazioni per quel proprio comportamento.
Voi lottate, voi combattete; voi pensate – tra di voi, anche se non lo esprimete a parole – “io ho ragione e quell’altra persona ha torto”; in realtà, se ci pensate bene, nessuno dei due ha ragione e tutti e due hanno torto. Moti
Interessante.
Tutti questi “io” che affiorano anche in questo brano, ricordiamocelo, sono coscienze in lavorazione.
Materiale di vita e di vite, non bruscoline.
Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che sono giochi tra “io”, come se non fossero vita che si estrinseca in esperienze utili alla coscienza.
Riconosco quello stato di lotta di cui Moti parla.
Molta acqua è passata e molti angoli si sono smussati.
La presunzione, ha lasciato largo spazio all’umilta’, anche se una parte giudicante affiora talvolta.
Facilmente si riconosce e si ridimensiona.
Grazie a Moti per la chiarezza di distinzione tra opinione, critica e giudizio