D – Fin dov’è che c’è la responsabilità o non c’è la responsabilità?
La responsabilità c’è sempre e comunque, perché è sempre e comunque qualcosa che siete in grado di comprendere (?, si veda in seguito, ndr). Nel momento in cui vivete qualche cosa da cui non traete la comprensione, siete responsabili per non aver compreso.
D – Indipendentemente dalle nostre buone intenzioni?
Ma, sai, responsabilità e intenzione non è che siano poi molto distanti tra di loro. È difficile riuscire a separarle nettamente. Certamente – ripeto – voi siete, comunque sia, responsabili per voi stessi di quello che fate e di quello che non fate e del “perché” lo fate, principalmente; perché non è tanto l’azione che compite quanto il perché la compite.
D – Dobbiamo chiedercelo?
Certamente. È per quello che dicevo che l’intenzione è difficile separarla dalla responsabilità: perché la vostra responsabilità scatta nel momento in cui la vostra intenzione era egoistica e non avete voluto rendervi conto che era egoistica anche se interiormente potevate farlo, perché avevate gli strumenti per farlo. Certamente se, invece, all’interno di voi non avevate gli strumenti, non avevate la possibilità di rendervi conto che vi stavate comportando egoisticamente, voi avete molta meno responsabilità in quello che fate.
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D – E il non farlo?
Ah, è la stessa cosa del farlo, non cambia niente. Anche il non farlo è un’azione, alla fin fine.
D – Sì, ma se tu fai una cosa con buona intenzione però ti accorgi che magari fai del male a un’altra persona, è meglio non farla o farla comunque?
Qua ci cono sempre i due aspetti da guardare. Noi stiamo parlando della comprensione dell’individuo; per te, comunque sia, è importante renderti conto che c’è una situazione che puoi farla o non farla.
D – Nel mio caso non la faccio.
Allora, se non la fai, poi dovrai guardare perché non l’hai fatta: non l’hai fatta perché avevi paura di quello che dicevano gli altri, non l’hai fatta perché avevi paura … che so io … di finire in prigione, non l’hai fatta perché avevi paura di essere coinvolta, o non l’hai fatta perché così l’altro avrebbe potuto trarre un beneficio dal tuo non fare?
D – Semplicemente perché, secondo me, nuocevo facendo una determinata azione a un’altra persona.
È un po’ semplicistica così; bisogna che tu vada in profondità e vedere se veramente era quello che pensavi, che “sentivi” più che altro.
D – Generalmente cerco sempre di essere in sintonia con quello che dico e quello che penso.
Quello che pensi, ma quello che “senti” cara?
D – E quello che sento.
Ah, beh, sei un po’ troppo convinta …
D – No, no, affatto, altrimenti non sarei qui a farti delle domande. Cerco.
Ah, ecco, così è una forma un pochino più umile, che mi sembra possa andar meglio.
D – Cerco, ma non è facile. Non mi voglio esaltare, per l’amor del cielo!
Non ti facciamo santa, vai tranquilla. Comunque, senza dubbio, qualsiasi cosa fatta con quell’intenzione non porta responsabilità per quello che poi succede.
Ti faccio una domanda io; se tu dici: “Potrei fare quella cosa per quella persona, ma penso, sento proprio che a quella persona, se facessi questa cosa, potrebbe succedere qualche cosa di male” e non la fai; e poi ti rendi conto che, invece, quella persona aveva bisogno proprio di quello?
D – Io parlo anche a livello di parlare a una persona. A volte parli cercando di aiutarla questa persona, e magari o lei non capisce o tu non ti esprimi bene. Solo a quel punto; non materialmente farle del male, hai capito?
Tu dici: cercando di parlare… Tu dici: “Magari è meglio che non le parli, con quella persona, perché se le parlassi potrei aumentarle il problema” ad esempio, no? Quindi con la più buona intenzione di questo mondo; e se poi quella persona venisse da te e ti dicesse: “Ma, cara, se tu mi avessi parlato, per me sarebbe stato tutto diverso, sarei stata meglio”?
D – Grazie, comunque. Diamo spazio agli altri. Adesso mi hai messo in un bel casino!
Non volevo essere cattivo …
D – No, no, ma le faccio anch’io queste domande…
Ma ti spiego perché ho tirato fuori questo argomento: per cercare di farti comprendere – a te e anche a tutti gli altri – che non potete sapere quello di cui l’altro ha bisogno; non potete partire dal presupposto di dire: “Io non faccio questa cosa perché l’altro ha bisogno di questo”, partite sempre dal presupposto “Io non faccio questa cosa perché non ‘sento’ di farla”.
D – Eh sì, in teoria va bene..
E in pratica siete qua per imparare, siamo qua per imparare e impareremo; a forza di testate nei muri riusciremo a farlo tutti quanti. Georgei
Da riflettere sull’intenzione che ti muove o no, nel fare un’azione verso l’altro e il sentire ad essa collegato
” Non potete sapere quello di cui l’altro ha bisogno; non potete partire dal presupposto di dire: “Io non faccio questa cosa perché l’altro ha bisogno di questo”, partite sempre dal presupposto “Io non faccio questa cosa perché non ‘sento’ di farla”.”
Ancora una volta si riafferma quanto la realtà del divenire sia soggettiva e quanto poco possiamo sapere dell’altro: tutto parla di noi, del nostro sentire, del nostro non compreso.
Tutto molto chiaro, grazie!