Il mito della solitudine umana

Uomo solo, sono millenni che giri intorno al nocciolo dei tuoi problemi, adeguando te stesso ai tuoi bisogni e ai tuoi impulsi, creando complesse teorie per mascherare quanto siano questi bisogni e questi impulsi – peraltro facilmente governabili, se tu davvero lo volessi – a governare te stesso come capricciosi e crudeli padroni.
La solitudine dell’uomo e la sua eterna ricerca per annullarla: quanti romanzi, quante poesie, quante musiche, quante opere d’arte hai creato per giustificare ciò che tu vuoi essere, fino a far affondare le radici della tua stessa tradizione nel mito della solitudine umana, usato come scudo per occultare – inserendola in una falsa cornice di forza d’animo – la tua innata tendenza al vittimismo e all’autocommiserazione più gretta!
“L’uomo è solo anche in mezzo alla folla”, dici spesso.
E noi ti diciamo che non è così, perché se tu hai saputo vivere, se hai saputo amare la vita e le piccole e grandi cose che ti circondano – dal granello di sabbia tra le tue dita agli immensi abissi degli spazi celesti – non puoi non aver capito che non sei mai solo, che non puoi esserlo perché tutto ciò che esiste intorno a te è stato creato per esserti compagno.
Dici anche: “Meglio solo che male accompagnato”. Ed in queste parole sta il perché – il ricorrente perché – della tua solitudine, poiché non è possibile dire con parole più chiare quanto tu voglia essere solo, arrogandoti il diritto di giudicare gli altri; facendo di te stesso il metro di paragone ideale, isolandoti nella tua sciocca superbia senza capire che, diffamando gli altri, ti metti in una posizione d’inferiorità tale che, con qualche ragione in più, dovrebbero essere gli altri ad affermare di te: “Meglio soli che accompagnati da lui”.
“L’uomo muore solo”, dici a volte. Quale più immensa bugia, quale più assurdo mito spaventoso potevi creare, quale più anacronistico travisamento della realtà?
Tutto ciò che sei riuscito a fare è di avere reso il momento della tua vera nascita un momento fatto di ansia, disperazione, tormento e paura.
Non vi è, infatti, momento di tutta la vita in cui tu sia meno solo, perché è proprio in quel momento che riconoscerai di avere almeno avuto, comunque e sempre, accanto a te la più fedele compagna dei tuoi giorni, delle tue ore, dei tuoi secondi: la vita stessa.
Ancora dici: “L’uomo è solo davanti a Dio nell’ora del giudizio”. Ed è questa affermazione, così cara ai poeti ed ai religiosi, che dimostra come è lontano l’uomo dalla Verità, poiché ben poca cosa sarebbe un Dio che giudicasse le sue creature e lasciasse che esse – innanzi a Lui – si sentissero staccate da Lui stesso.  Moti


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natascia

Penso che la condizione di sentirsi soli, così come viene definita nel post, sia cosa diversa dal percepirsi diviso dall’altro e riconosce l’altro come qualcosa di originale e imperscrutabile. L’altro diventa il nostro specchio, uno dei protagonisti della nostra rappresentazione, ma mai sarà nella realtà soggettiva, quello che noi immaginiamo che sia, ma solo ciò che noi gli attribuiamo essere. A questo livello, credo sia possibile definirsi soli, salvo ritrovarsi ad un altro livello, quello che noi definiamo del “Sentire”, allora è giusto dire, non sono solo, sono solo “un granello di sabbia, in un deserto sconfinato”.

Marco Dellisanti

Grazie

Roberta I.

Ci si sente soli nella misura in cui ci si sente separati dalla propria radice. Ho conosciuto la solitudine nella mia adolescenza e successivamente in età più matura, nel momento dell’abbandono. Era una solitudine che derivava dal bisogno negato, il bisogno di compagnia, di attenzioni, di amore. Ma fu proprio in quell’esperienza di abbandono che, vivendo questa solitudine fino a raggiungere il fondo dell’abisso in cui ero sprofondata, scopersi che non esisteva alcuna solitudine. Quel giorno sentii il collegamento con il tutto e da allora, la solitudine cessò di essere motivo di sofferenza. Non dico che sia scomparsa completamente dalla mia vita, ma quando in paritcolari situazioni, mi capita di senrtirmi sola, questa solitune si immerge nel mare dell’essere, senza più creare vittimismo. Perché in fondo è questo che fa la differenza, il modo in cui viene accolta, se la si fa propria per nutrire il ruolo della vittima o se la si accoglie per quello che è, il canto dell’identità ferita, e si rimane collegati alla radice che affonda nell’immenistà dell’essere, dove solitudine e unione cessano di essere una polarità.

nadia

Questa è la prospettiva! Parole che risuonano, grazie.

Samuele Deias

Una bomba

Alessandro B

“…che non puoi esserlo perché tutto ciò che esiste intorno a te è stato creato per esserti compagno.”
Molto importante questa asserzione di Moti che mette in guardia dall’uso improprio di questa condizione. L’attitudine al vittimismo come farà senza?

Rimane però forse un’altra dimensione della solitudine quando è varcata la soglia del duale, ma qui rischierei di dire cose non ben masticate e allora pongo solo una domanda: in un momento di presenza totale e di allineamento, dove tutto è vivo e pulsante e tu semplicemente scompari nonostante la tua presenza non sia stata mai così pregnante, è possibile sentirsi soli?

Gian

Credo proprio di no, perché, secondo me, una volta superata la dualità si moltiplicano gli allacciamenti tra il proprio corpo della coscienza e tutti gli altri sentire che hanno raggiunto un equivalente grado di evoluzione. Questi collegamenti credo di aver capito che diventino dei “ponti” tra le coscienze permettendo ad ogni individualità di unirsi a quelle che le Guide hanno chiamato “isole akasiche”, cioè agglomerati di individualità dal sentire equivalente. Mi sembra logico arrivare alla conclusione che la percezione delle altre individualità all’interno delle “isole” non possa che tendere ad eliminare il senso della solitudine.

Sandra Pistocchi

Parole toccanti, Grazie! Nella mia esperienza è lampante la differenza tra isolamento (percepito dall’identità come condizione negativa) e solitudine. La solitudine vera, profonda è quella condizione che paradossalmente può portare a sentire e contemplare l’interconnessione, l’unicità dell’esistente. La realtà percepita dai sensi è frutto di una interpretazione, e quindi mai conosceremo fino in fondo l’altro da noi, e in questo si, siamo soli, profondamente soli, ma questa consapevolezza ci apre le porte all’essere, a quella realtà dove solo l’Uno è.

Alberta

Profondo questo post. Credo di non aver conosciuto la solitudine…

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