[…] «Vedi, figliolo, quella stella così lucente è Sirio ed è una delle stelle più grandi che possiamo osservare a occhio nudo dal nostro pianeta; la sua luce bianca, eppure così luminosa, è dovuta a una grande quantità d’idrogeno sulla sua superficie, la quale ha una temperatura che arriva quasi a dodicimila gradi…».
E così continuò, fornendo dati numerici e tecnici in grande quantità e tutti gli elementi, insomma, che egli trovò per cercare di rendere importante e interessante ciò che andava dicendo. All’improvviso il ragazzo si voltò a guardarlo e i suoi occhi erano pieni di lacrime; poi, senza dire una parola, mentre lo scienziato ammutolito stava a guardare, si mise a singhiozzare e fuggì via.
Perplesso, lo scienziato lo seguì e lo trovò nella sua stanza, sul letto, con gli occhi ancora pieni di lacrime puntati verso il soffitto.
Si sedette accanto a lui, tacque un attimo e quindi gli chiese: «Figliolo, perché piangi? Io ti ho detto cose grandissime, cose che ho scoperto proprio io, cose che pochi sanno, che pochi uomini hanno visto e sanno elaborare come io ho fatto per tutta la mia vita. E tu, perché piangi?».
Il figlio, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia e continuando a piangere, rispose:
«Padre, ma è possibile che tu non riesca a vedere quanto è bella?».
E così, per la prima volta nella sua vita, lo scienziato incominciò davvero a comprendere l’universo. Favola dell’astronomo, integrale.
Dunque, eccoci qua un’ennesima volta a rinnovare – come diciamo spesso – questo miracolo che segna la fusione tra due mondi apparentemente così diversi. Perché parlare ancora una volta di miracolo?
Perché, se ci pensate bene, figli nostri, l’intera favola è basata proprio su questo concetto. II bambino, alla fine, con quell’esclamazione che turba e mette in movimento il padre, non fa altro che affermare di aver compreso, di sentire, di aver visto, di accettare che la realtà non è fatta soltanto di fatti e che bisognerebbe saper andare al di là dei fatti, degli accadimenti, dell’evidenza materiale delle cose, per diventare consapevoli di quel miracolo che muove tutta la Realtà.
Quante volte noi, parlando, abbiamo detto che non è possibile non restare stupiti, meravigliati, da quel grande disegno che l’Assoluto è riuscito a creare e che soltanto Lui, nella Sua immensità, nella Sua perfezione, poteva tracciare con così tanti fili e così tanti particolari.
Bene, voi solitamente siete concentrati a osservare il colore dei fili, quanto sono lunghi, come s’intrecciano fra di loro, e tanto spesso vi dimenticate che tutti questi fattori non sono altro che il risultato di un miracolo che sta alla loro base.
Come si lega tutto questo con l’ottica in cui avevamo detto di osservare le favole di questo ciclo, ovvero i ricercatori, e in particolare i ricercatori legati a quell’ambiente infido e malsicuro che è la spiritualità, lo spiritismo, la parapsicologia, e via dicendo?
Si lega proprio per quanto detto prima in quanto tanti, veramente tanti, sono quei ricercatori in quest’ambito che si fermano abbagliati dall’effetto del miracolo, senza riuscire a scorgere ciò che al di là dell’effetto il miracolo è, significa, vuol dire, e qual è la sua vera importanza per chi al miracolo assiste.
In fondo, anche l’astronomo della favola non era altro che un ricercatore scientifico che osservava gli effetti dei miracoli: quei miracoli che sono i movimenti delle stelle e dei pianeti, delle galassie, dell’intero universo.
Certamente, egli cercava di guardare in fondo alla materia, a ciò che vi poteva osservare, vedere, sottoporre alla sua scientificità, però, forse nel far questo – perdendo di vista che l’uomo, per avere una vera umanità, deve essere completo in tutte le sue componenti – dimenticava che vi è qualcosa che tutto questo ha creato e fa muovere e, quindi, perdeva quel senso d’immensità e di gioia che può dare una scoperta di questo tipo.
Ascoltando i vostri commenti, figli, ho avuto l’impressione che tutti voi, chi più e chi meno, connotaste negativamente questo astronomo.
Siete stati pronti a vedere i suoi difetti, dove sbagliava, a cercare di psicanalizzarlo, così come, d’altra parte, tendete tanto spesso a fare con chi vi sta attorno.
Avete insomma, in qualche modo, giudicato questo personaggio. Però nel vostro giudizio (come altrettanto spesso fate nella vostra vita quotidiana) non avete cercato il positivo. Vediamo quindi, questa sera, visto che è iniziato un anno nuovo e che l’anno nuovo è sempre bene iniziarlo positivamente, di trovare cosa vi è di positivo in questa figura. Coraggio, figli. Chi si cimenta in questa cosa non facile, perché così poco d’abitudine per ognuno di voi? Moti
D – Intanto la prontezza che ha avuto nel cercare di capire l’atteggiamento del figlio e quindi modificare il suo essere che, in fondo, ha impostato tutta la sua vita nella ricerca in una direzione, ed esser pronto a fermarsi, a criticarsi e a vedere la situazione in un’ottica diversa. Questo, per me, è molto importante.
Sono d’accordo con te, figlia. Anzi, direi che è il punto più importante dell’intero personaggio, in quanto dimostra, alla fin fine, di possedere un’evoluzione non indifferente, di essere pronto a cambiare; e non soltanto, ma dimostra anche di possedere l’umiltà necessaria ad ammettere il proprio errore e, così a modificare il proprio modo di essere. Senza quell’umiltà difficilmente qualunque ricercatore potrà mai arrivare alla conclusione della sua ricerca in modo soddisfacente.
D – In realtà, non si accontenta d’iniziare una ricerca ma vuole approfondirla, vuole portarla avanti, e magari anche se non si era accorto degli altri aspetti, però, senz’altro, sempre attua una ricerca, non si è cristallizzato, l’ha voluta portare fino in fondo, anche se poi il bambino gli ha fatto capire che la sua ricerca non era finita.
Anche questo può essere. Fra l’altro, voi avete tutti compianto quella sposa che resta nell’ombra e chi la pensa brutta, chi la pensa sciocca, chi la pensa inutile all’economia della storia senza tener minimamente conto che nella favola, in realtà, non si sa come lo scienziato fosse all’interno della sua famiglia! Non sapete che marito e che genitore era.
In fondo, da quanto si può dedurre dalla favola, cercava di fare qualcosa per il figlio, cercava d’indirizzarlo, magari secondo il proprio Io, ma cercava tuttavia di adempiere al dovere di ogni genitore, che è quello d’indicare la strada al figlio. Non era quindi un genitore veramente riprovevole, in fondo, se non nel fatto che la sua umanità non era completa.
D – Io penso che fosse da considerare la sua buona fede, in quanto era forse «al massimo» di quello che lui poteva fare, al massimo del suo sentire, quella parte che è umanamente dimostrabile (del sentire). Cioè, noi non lo avevamo criticato; più che criticato l’abbiamo osservato, ma non era una critica negativa, in quanto ci sono appunto tutti questi aspetti positivi di buona fede, di cercare di fare del suo meglio, ecc.
Senza dubbio, però è sospetto il fatto che i punti positivi nessuno li abbia rilevati ma, anzi, tutti avete rilevato quelli apparentemente negativi i quali, se ci pensate bene, in fondo non sono altro che proiezioni di ciò che pensate di voi stessi, dei problemi che potete avere e che proiettate – come spesso accade – immedesimandovi in un personaggio, sopra il personaggio stesso.
Ricordatevi che quando discutete di un personaggio senza corpo come può essere quello della favola di Ananda, in realtà state discutendo di voi stessi, anche se non ve ne rendete conto.
D – Giudicandolo arrivista, quindi, vuol dire che chi lo vede così è un arrivista ?
No. Vuol dire che la persona che vede quell’aspetto ha qualcosa da comprendere su quell’aspetto, altrimenti non penserebbe quella cosa di quella persona.
D – Non è un po’ come ti ho chiesto? Non riesco a vedere la differenza…
È una cosa sottile, cara: il fatto di rilevare proprio quell’aspetto può significare che voi avete lo stesso difetto che sottolineate nel personaggio, ma può anche significare che quel tipo di comportamento altrui muove in voi particolari problemi e che, partendo da quei due punti (il fattore rilevato e la vostra reazione a esso) potreste arrivare a comprendere qualcosa che non avevate ancora compreso di voi stessi.
E ancora c’è un piccolo particolare: quel mese di Novembre che ha messo così in difficoltà la nostra amica Fernanda e sul quale, giustamente, avete soprasseduto. (Dico «giustamente» perché non è una cosa molto importante, se non dal punto di vista simbolico.
Infatti, ricordate sempre che tutte le favole di Ananda sono veramente zeppe di simboli e se qualcuno avesse il coraggio, la forza di farlo – ma lo sconsiglio vivamente – troverebbe un legame dalla prima all’ultima parola di tutta la favola).
Novembre, è stato scelto da Ananda perché è uno degli ultimi mesi dell’anno, ed essendo uno degli ultimi mesi dell’anno simboleggia che un ciclo sta per finire e qualcosa di nuovo sta per nascere; quindi Novembre in quanto l’astronomo era arrivato al punto che stava per comprendere qualcosa e da questo qualcosa sarebbe nato un nuovo uomo, quindi un anno nuovo. Non ci sareste mai arrivati, vero? Ancora qualcosa da chiedere?
D – Riguardo al bambino, al figlio dell’astronomo… qualcuno ha detto: «Allora il maestro era il bambino» perché siamo abituati dalle altre favole a distinguere maestro e discepolo; però il fatto che il bambino abbia pianto, abbia provato questa enorme tristezza verso l’insensibilità di suo padre, mi ha fatto pensare che in fondo conoscendo che l’evoluzione segue la sua strada, non c’è da piangere, non c’è nemmeno da provare tristezza, tanto meno da disperarsi, se qualcuno dimostra di non aver raggiunto certe comprensioni.
Questa è forse sbagliata come concezione, in quanto il Maestro incarnato, per il fatto stesso di essere incarnato, sottintende prima di tutto che ha ancora qualcosa da comprendere, altrimenti non sarebbe incarnato e, secondariamente, che è ancora legato alle emozioni del corpo; e, certamente, un Maestro incarnato prova quanto meno tristezza quando vede che un proprio discepolo non vuol capire anche se ha la possibilità di capire. Certamente non si dispererà – su questo posso essere d’accordo – ma sentimenti di tristezza, senza dubbio, li prova ancora.
Comunque, potremmo dire che il bambino non è un Maestro, non nel senso che abbiamo dato negli incontri precedenti a questa figura, però è un Maestro nel senso più lato che noi spesso vi abbiamo indicato, ovvero che chiunque di voi può essere maestro di un’altra persona nel momento che ha compreso qualcosa e ha la possibilità di mostrare, d’indicare questo qualcosa agli altri.
Il bambino, nella sua semplicità, nel suo essere ancora poco oppresso dagli schematismi, dalle tipologie dell’adulto, sentiva in questa favola la bellezza del miracolo, riusciva a percepirla. Il suo essere maestro è proprio quello di essere riuscito a comunicare questa sua percezione a quell’adulto accanto a lui, che forse, interiormente, era ancora più bambino di quanto lui fosse.
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D – Vorrei chiarire una piccola cosa che è stata detta nella discussione pomeridiana e che non mi ha convinto molto, e cioè che la grande emozione suscitata da uno spettacolo naturale, straordinario, il «grande libro della natura»… è possibile che questa sensazione che ti pervade e che ti fa provare addirittura un’esperienza mistica, e cioè tende a farti pensare al divino, che possa essere una cosa puramente astrale come è stato detto e, addirittura, propria di vegetali soltanto?
Io direi certamente di no, ma direi che ogni sensazione di quel tipo deve necessariamente provenire, in qualche modo, dal corpo akasico ed essere, anzi, la risultante di una vibrazione comune che attraversa i piani inferiori e l’akasico stesso; quindi un senso di completezza, di comunione interiore.
Che poi questo si possa riallacciare con ciò che nel corpo akasico sta scritto di quando l’individuo ha avuto esperienze all’interno di altri tipi d’incarnazione, questo può anche essere vero, una risonanza di qualche tipo senz’altro vi è, ma non è certamente quella o soltanto quella la parte principale e importante.
D – Mi pareva che avesse detto: «Secondo la mia esperienza personale, quando uno vede dei panorami bellissimi della natura e pensa alla creazione, a tutte queste belle cose”, però mi pareva di aver letto che le Guide avessero detto che, in ogni caso, era però sempre indotto dalla parte fisica».
Certamente. Infatti ho parlato di vibrazione che esiste nei vari corpi dell’individuo, quindi dal fisico all’akasico. Dal fisico immerso in qualcosa che comunica attraverso immagini, suoni, sensazioni, quindi ancora vibrazioni come può essere un tramonto.
Pensate a un bellissimo tramonto sui vostri mari, pensate ai colori che tingono il cielo e ricordate che i colori in fondo sono vibrazioni, e certi colori vi affascinano più che altro perché sono vibrazioni che magari, in quel momento, vibrano più all’unisono con quelle analoghe interiori che avete nei vostri corpi.
Chissà se un giorno riusciremo, figli, a darvi anche una sorta di fisiologia della vibrazione del vostro corpo. Sarebbe bello, sì, interessante ma anche… molto pesante. Ma vedremo cosa si potrà fare, se troveremo qualche fratello disposto ad assumersi un compito così gravoso e difficile. Moti
Tanti spunti su cui riflettere….come sempre
Il “miracolo” è che ogni volta ne viene indagato uno, il risultato non è mai uguale. Lati in ombra si schiariscono.
Leggere questi testi mi lascia sempre un senso di smettere di capire le cose…
Per riscoprire la capacità di meravigliarsi bisogna farsi bambini, liberi dai schemi, dai pregiudizi, dai condizionamenti della mente. Quella del bambino è un simbolo che attraversa numerose filosofie e religioni. Un simbolo potente nella sua semplicità
Il testo mi richiama “se non diventerete come questi bambini”
Grazie.
In ascolto. Grazie
Grazie.
C’è sempre attrazione per la simbologia delle favole. Tanti spunti per osservare e osservarsi ma è importante poi non insistere.